Conoscevamo bene il dolore che da tempo lacera l’Ucraina, l’aggravarsi del conflitto dopo l’annessione russa della Crimea, l’alternarsi di speranze e delusioni per i tentativi di mediazione internazionali. Ma di là dagli sforzi politici e diplomatici europei e anche italiani – di questi mesi, e dalle prime pagine di qualche giornale, quel dolore e quelle centinaia di morti nei combattimenti erano per molti lontani, confinati alla periferia orientale dell’Europa.
L’abbattimento dell’aereo delle Malaysian Airlines ha dato una dimensione nuova a quella tragedia, un po’ come accadde per l’11 settembre: l’ha resa globale, condivisa con tutto il mondo. E condivisa, quanto forte, è stata in queste ore la risposta. Di rabbia e di condanna di un atto intollerabile che come Italia ci ha di nuovo colpito, con la morte di due italo-olandesi, dopo l’uccisione in maggio di Andy Rocchelli . E politica poi, con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che chiede l’avvio di un’inchiesta internazionale, e con la decisione dell’Ue di rafforzare le sanzioni nei confronti di chi appoggia i separatisti dell’Est dell’Ucraina.
Decisione, come sempre è accaduto nei mesi passati, cui l’Italia ha contribuito e che è stata unanime. Il 17 luglio ha segnato una svolta: niente potrà essere più come prima. Avevamo sperato in molti, all’indomani della strage, che si trovasse il coraggio e la volontà politica di onorare quei morti nel migliore dei modi: fermando subito le armi nell’Est del Paese e sedendosi attorno a un tavolo per un vero negoziato. Così non è stato, almeno non per ora, e lo considero un errore che la storia non perdonerà a chi l’ha commesso.
La Russia ha garantito pubblicamente la sua disponibilità a trattare e lo ha anche fatto in diverse occasioni negli ultimi mesi, come a Ginevra e da ultimo a Berlino poche settimane fa. Ma quell’impegno non si è tradotto in atti concreti, e i risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti. Non credo che un ulteriore esercizio di questo tipo, in queste condizioni, avrebbe maggiore successo. Quello che manca, che è mancato fin qui, è la coerenza tra le intenzioni dichiarate e gli atti concreti.
Ed è sotto gli occhi di tutti in questi giorni la reazione dei separatisti davanti alla tragedia del volo Malaysian. È tempo che la Russia usi la sua influenza per garantire l’accessibilità piena dell’area, il rispetto per il dolore e lo strazio di chi ha perso i propri cari, l’avvio di indagini che portino a risultati attendibili, e per arrivare a un cessate il fuoco immediato.
Il momento è decisivo. Troppe occasioni sono state sprecate e troppi errori sono stati fatti. Nonostante questo l’Ucraina faticosamente ha imboccato la strada della stabilizzazione politica. Ero stata a Kiev pochi giorni prima di diventare ministro degli Esteri e ci sono tornata due settimane fa, scegliendo di fare Fl – e poi a Mosca – la mia prima visita dopo l’avvio del semestre di presidenza italiana dell’Ue. E in cinque mesi molto è cambiato a Kiev sul piano politico: il 25 maggio si sono tenute le elezioni presidenziali, e non era scontato, ed è iniziata la revisione della costituzione. Ma anche nel confronto con i separatisti. con il piano di pace del presidente Poroshenko e il sostegno dato al dispiegamento della missione Osce. E delle relazioni con l’Unione Europea, con la firma dell’accordo di associazione che ora ci auguriamo possa essere ratificato presto dal parlamento ucraino.
Ma sul terreno, nell’Est, e nei cieli dell’Ucraina, la situazione resta terribile e dobbiamo giustizia ai tanti, troppi, morti ucraini e cittadini di Paesi anche molto lontani. Per questo abbiamo deciso di far arrivare un segnale forte e unitario, da un’Ue cui si rimprovera spesso di avere una politica estera debole. Un segnale forte e unitario che speriamo tutti possa portare Mosca a colmare finalmente quella distanza insostenibile tra le intenzioni dichiarate e le scelte concrete.