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Giro: «L’Italia aveva già scelto il dialogo» (Avvenire)

Per lungo tempo, molti Paesi dell’Unione Europea hanno scommesso sul mantenimento dello status quo tra Cuba e Stati Uniti. L’Italia non è mai stata fra questi. Abbiamo sempre creduto nel dialogo e lavorato in tale direzione. Una posizione lungimirante e vincente. Che ora ci mette in una condizione di vantaggio». È soddisfatto del nuovo corso tra l’Avana e Washington, Mario Giro, sottosegretario agli Esteri. «I buoni uffici di papa Francesco hanno fatto avverare l’intuizione profetica di Giovanni Paolo II: “Che Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba”».

Quali le prospettive per l’Italia?

La nostra presenza nell’isola è già consistente. Abbiamo numerosi programmi di cultura e formazione, oltre ai progetti di cooperazione allo sviluppo. La strada, dunque, è tracciata. Si tratta di proseguirvi con impegno ancora maggiore.

Con il ristabilimento delle relazioni tra Cuba e Usa, il Continente americano chiude finalmente il capitolo della Guerra Fredda. Eppure lo sguardo europeo ed, in particolare, italiano sembra ancora prigioniero del passato.

Siamo, a volte, ingabbiati in stereotipi del secolo scorso. E non cogliamo lo straordinario dinamismo latinomericano. È un Continente in piena espansione, in cerca di amici. Che ama l’Italia e vuole cogliere le sfide del futuro al fianco dell’Unione Europea. Negli ultimi quindici anni, l’America Latina ha portato avanti la grande battaglia contro la povertà. Ora, il ciclo è concluso e si apre una nuova fase che implica uno scatto aggiuntivo. La sfida è, in questo momento, la lotta alla diseguaglianza per non restare intrappolati nella gabbia del “medio reddito”. Il Welfare europeo, in particolare italiano, rappresenta un modello di estremo interesse. Così pure il paradigma delle autonomie locali.

Eppure l’Italia è apparsa, per lungo tempo, poco interessata alla regione…

Fino al mutamento di rotta realizzato dagli ultimi due governi, l’America Latina è rimasta sullo sfondo della nostra politica estera. A fronte di questa assenza istituzionale, l’Italia è stata rap- presentata dalle sue collettività, numerose e vitali. E dalle sue aziende.

Che cosa chiede adesso l’America Latina all’Italia?

In primo luogo, “know how” relativo soprattutto al nostro modo di fare impresa. Le piccole e medie aziende italiane sono un modello che la regione considera particolarmente adatto per la propria realtà. Il Continente, inoltre, auspica una più intensa presenza culturale e scientifica, come è stato ribadito al recente forum italo-iberoamericano di Veracruz. Oltre che politica. Non solo sui temi bilaterali. L’America Latina sa che l’Italia può essere un interlocutore prezioso sui grandi dossier globali.

Se dovesse sintetizzare il futuro delle relazioni tra Italia e America Latina, che cosa direbbe?

Prima di tutto le imprese. Poi, al di là degli aspetti culturali – formazione archeologica per il Perù, creatività per il Brasile, cultura sociale per Argentina e Ecuador – tre parole riassumono il futuro dei nostri rapporti con la regione: amicizia, innovazione tecnologica e governo della globalizzazione. 

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