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Gentiloni: «La Serbia deve essere premiata per il coraggio di compiere quello che l’Eu le sta chiedendo» (Politika)

Il Ministro Paolo Gentiloni intervistato dal quotidiano ‘Politika’

Traduzione non ufficiale

 

L’Italia ha sempre sostenuto l’esigenza di una sollecita apertura di un primo capitolo negoziale con la Serbia, in considerazione del coraggio e della determinazione dimostrati dal Paese nell’affrontare le delicate riforme richieste dalla UE. Il coraggio e la determinazione vanno riconosciuti. I dubbi di altri Paesi europei vanno superati, afferma Paolo Gentiloni, il titolare della Farnesina, rispondendo alla domanda di Politika su perchè l’UE rivolge delle parole belle a Belgrado ma senza permettergli di passare ad un livello successivo nel processo di integrazione europea.

Gentiloni, che in un Governo di centro-sinistra del Presidente del Consiglio Matteo Renzi gestisce gli affari esteri da quando Federica Mogherini è diventata il Capo della Diplomazia europea, oggi è in visita ufficiale a Belgrado.

In un’intervista esclusiva concessa al nostro quotidiano, il Ministro ha ricordato che nonostante la buona volontà di alcuni Paesi che vedono la Serbia nell’ambito dell’UE, non ci sono tante scorciatoie dal momento della candidatura, status assegnato alla Serbia tre anni fa fino all’adesione all’UE.

Si tratta di un processo negoziale declinato in 35 capitoli ed inevitabilmente lungo, complesso e basato su condizionalità e procedure dal profilo fortemente tecnico e giuridico, per quanto abbia un’elevata valenza politica.

Quale messaggio sta portando alle Autorità serbe?

In occasione della mia visita a Belgrado ribadirò, in primo luogo, il convinto sostegno dell’Italia al percorso europeo della Serbia. L’Italia non ha mai mancato – e mai mancherà – di sostenere la piena integrazione della Serbia nell’UE, così come anche degli altri Paesi dei Balcani Occidentali. Per l’Italia, l’UE non è completa senza la piena integrazione della regione balcanica.

Nel corso dei miei incontri con i vertici istituzionali serbi, anche in previsione della prossimo Vertice intergovernativo e della visita del Presidente della Repubblica Mattarella, non mancherò di sottolineare la solidità che sta alla base delle nostre relazioni, che vedono il nostro Paese essere non solo un punto di riferimento fondamentale per le Autorità di Belgrado, ma anche il principale investitore e il principale partner commerciale della Serbia.

 

Si parla che uno di questi investitori potrebbe – FIAT potrebbe lasciare la Serbia. Che cosa ne sa?

Preferisco parlare di fatti più che di voci, e i fatti in questo caso sono che FIAT Serbia è il primo investimento straniero in Serbia (più di 1,2 miliardi di Euro) e lo scorso anno si è confermata come il primo esportatore della Serbia.

Più di 500 imprese italiane hanno investito due miliardi di euro, e quindi l’Italia è il principale investitore in Serbia. Inoltre, dal 2013, l’Italia è anche il primo partner commerciale della Serbia, con quasi 4 miliardi di interscambio nel 2014.

Come anche il suo predecessore, lei è contrario all’estensione di sanzioni alla Russia. La vostra posizione diventa isolata nell’UE?

Quello di una soluzione politica alla crisi ucraina è un obiettivo condiviso da tutta l’Unione Europea. Siamo fermamente convinti che non ci siano alternative a un compromesso che deve essere raggiunto tra tutte le parti coinvolte attraverso negoziati. A tal fine, noi guardiamo con favore gli sforzi messi in campo da Francia e Germania nel cosiddetto formato “Normandia”, i cui risultati incoraggianti, a partire dall’accordo raggiunto a Minsk, devono essere sostenuti e incoraggiati. A tal proposito, abbiamo condiviso la decisione presa dal Consiglio Europeo di collegare la durata delle misure restrittive imposte alla Federazione Russa alla completa attuazione degli accordi di Minsk.

Siamo convinti che Mosca debba riacquisire, non appena le condizioni lo consentiranno, il proprio ruolo di attore internazionale globale e capace di fornire un contributo per la soluzione delle principali crisi internazionali, dalla Libia alla Siria, dalla lotta al terrorismo internazionale al Processo di Pace in Medio Oriente.

Quando si creeranno queste condizioni, dato che la situazione diventa più aspra, la NATO sta facendo delle esercitazioni militari nelle prossimità del confine con la Russia, mentre  il Congresso statunitense invita a mandare armi a Kiev?

Le esercitazioni NATO sono difensive. Esse fanno parte delle misure di rassicurazione adottate in seguito al verificarsi della crisi ucraina e vale la pena ricordare che la Russia sta tenendo le proprie esercitazioni non lontano dai territori dei Paesi membri della NATO.

l’Italia sta pianificando delle attività di assistenza, anche attraverso la NATO, che non comportano il trasferimento di armi: posso ad ogni modo tranquillamente dire che siamo contrari a fornire armi all’Ucraina.

Il vostro governo è centro-sinistra, ma si ha l’impressione che, quando c’è di mezzo l’economia, il vostro Presidente del Consiglio prediliga le riforme nello stile liberal economico atipiche per la sinistra. Siete più vicini alla Germania della Merkel o alla Grecia siriziana?

 Abbiamo deciso di avvicinare la tradizione sociale delle nostre forze politiche di centro-sinistra alle esigenze dell’economia globale e delle società contemporanee. L’Italia sta compiendo grandi riforme e finalmente anche progressi economici. Il nostro modello? L’Italia di Matteo Renzi.

Secondo Lei, la Grecia uscira dall’eurozona e, se sì, che cosa vorrà dire per l’UE? 

E’ inaccettabile l’idea che un grande Paese come la Grecia possa uscire dall’Eurozona. Oltre ai costi economici immediati, sia per la Grecia che per gli altri Stati membri, un’eventuale uscita della Grecia finirebbe per indebolire l’intera struttura della moneta unica e pregiudicarne la credibilità di fronte ai mercati finanziari. Non dobbiamo inoltre sottovalutare i costi politici: l’Unione Economica e Monetaria resta anche un progetto politico, uno dei punti più alti raggiunti finora dal processo di integrazione europea, rispetto a cui l’uscita di uno Stato membro non potrebbe che segnare un passo indietro – un fallimento.  

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