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Gentiloni: “Ad Ankara attacco dei nemici della pace in Medio Oriente” (la Repubblica)

«A 20 GIORNI dalle elezioni la Turchia è stata sconvolta da una strage orrenda, per la quale io esprimo il dolore e la solidarietà dell’Italia al governo e al popolo turco. Siamo solidali con le vittime che partecipavano a una manifestazione per la pace e la democrazia, contro le violenze terroristiche che dalla strage di Suruc insanguinano il paese. La Turchia è un nostro alleato, siamo interessati alla sua stabilità allo svolgimento pacifico delle sue elezioni. È evidente che il riaccendersi di un conflitto aperto fra il Pkk e il governo non aiuta una dinamica di stabilizzazione del paese».

Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, non è ancora possibile saperlo con certezza, ma bisognerà ragionare sugli autori, sulle responsabilità. Possibile ci sia la mano dell’ Is?

«La violenza terroristica danneggia tanto il governo quanto le forze di opposizione democratica come l’Hdp di Demirtas promotore della manifestazione. Il primo soggetto che soffre è proprio l’Hdp, che è un partito che poteva dare uno sbocco pacifico alla causa curda».

E parallelamente si è riacceso il fuoco di una nuova possibile intifada fra i palestinesi.

«Siamo di fronte a una crisi gravissima, che conferma quanto sia sbagliato ritenere marginale il conflitto israelo-palestinese. Gli inviti di Hamas a una nuova intifada sono irresponsabili. Tutti, a cominciare dal governo israeliano, devono contribuire alla de-escalation. La mancanza di un barlume di speranza nel negoziato crea un clima pericolosissimo. Se sullo storico conflitto israelo-palestinese Daesh (l’acronimo arabo dell’Is, ndr) riuscisse ad issare la propria bandiera avremmo conseguenze incalcolabili. Nei Territori palestinesi e in tutto il mondo arabo».

Come si può far ripartire il negoziato tra Israele e Anp?

«A New York abbiamo compiuto un passo: un gruppo di paesi europei e arabi si sono riuniti assieme agli Usa per riprendere il filo del processo negoziale che freni reazioni disperate sul terreno. Il coinvolgimento della Ue e di paesi come Egitto, Giordania, Arabia Saudita non è uno strumento per imporre qualcosa a Israele e Palestina ma per rassicurarli sulle garanzie di tutti per il negoziato. Ripeto: se il Daesh arriva ad impossessarsi anche di questo simbolo sarà come innescare dinamite pura su un altro fronte di crisi».

Veniamo invece alla crisi su cui vi state concentrando direttamente, quella libica. L’Onu ha appena annunciato il governo di unità nazionale. Ce la farà anche solo ad insediarsi per davvero a Tripoli?

«È importante che ci sia stata questa intesa fra i negoziatori, che sia stato prodotto questo “allegato 1” che è la lista dei primi nomi del Governo di Accordo Nazionale. Ed è importante la forza con cui i paesi della comunità internazionale immediatamente hanno detto che bisogna andare avanti. Ma c’è ancora moltissima strada da fare».

Molti paesi arabi della regione si sono scelti una parte, una fazione e l’hanno tenuta in guerra contro i loro nemici. Siete pronti a sanzioni contro chi sabota il governo?

«Il successo del governo di unità nazionale dipende dai libici: noi possiamo aiutarlo ma sono i libici a farlo vivere. I potenziali sabotatori si isolerebbero da una dinamica molto chiara. Ormai i vari attori internazionali si sono uniti, spingono in una sola direzione. Ci siamo arrivati poco alla volta, ho visto maturare questa solidarietà nelle riunioni dei vari formati, per esempio negli incontri che l’Italia ha avuto con Egitto e Algeria che sono partner decisivi in questa partita».

Continuano voci su possibili missioni militari di stabilizzazione in Libia a guida italiana. Di cosa potrebbe trattarsi?

«L’Onu prevede che il governo di accordo nazionale libico dovrà insediarsi entro 40 giorni dopo il voto dei parlamenti. Tra l’altro si deve insediare a Tripoli, e sarà una bella sfida. Solo dopo farà le sue richieste alla comunità internazionale. L’Italia coordinerà l’impegno dei paesi occidentali e valuterà il suo impegno diretto, ma è assolutamente prematuro parlarne adesso».

Bernardino Leon, l’inviato Onu, ha avuto un compito difficilissimo, ma in qualche modo ha portato a casa il risultato che gli si chiedeva.

«L’Italia gli è molto grata, ha fatto un lavoro decisivo. Il ruolo degli inviati Onu per situazioni di crisi è sempre difficilissimo: penso all’italiano che lavora per la Siria, penso al Mali, al Sahara occidentale. Perché la loro missione è inutile se non ci sono le condizioni per un accordo, per la pace».

In Iraq il governo italiano stava per autorizzare l’uso dei Tornado in operazioni di attacco, perché poi avete congelato tutto?

«No, il governo non aveva preso nessuna decisione, e se dovessimo decidere un diverso impegno in Iraq lo decideremmo innanzitutto in Parlamento. Abbiamo in piedi una valutazione, una riflessione sul tipo di strumento militare; se fra qualche mese dovessimo verificare necessità diverse ne discuteremmo concretamente».

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