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Gentiloni: “Nessuno scambio fra Ucraina e Siria. Putin non usi la forza” (La Stampa)

Una tragedia. Il bombardamento all’ospedale di Médecins Sans Frontières è un errore tragico e non giustificabile, che accende i riflettori su quel che è accaduto la settimana scorsa, quando i taleban hanno preso il controllo di Kunduz, una città di 300 mila abitanti. Questo ci dice quanto delicata sia e sarà ancora la transizione in Afghanistan, dove opera una missione Nato non combat, la Resolute Support, in via di conclusione. Il cuore della transizione è la capacità delle forze afghane di resistere ai taleban al di là del ripiegamento della Nato, che è passata da una forza in campo di 150mila soldati a 13mila. Ma tutto il lavoro fatto in questi anni, e il sacrificio di tanti militari, consegnano al governo afghano un paese in parte ricostruito. Tredici anni fa non una bambina poteva andare a scuola nell’Afghanistan talebano, oggi sono centinaia di migliaia». Paolo Gentiloni è appena rientrato a Roma dalla lunga trasferta newyorchese per l’Assemblea dell’Onu.

Ministro, la Russia è rientrata nel grande gioco del Medio Oriente e tenta una strada di pragmatismo che potremmo definire kissingeriano, difendendo Assad contro l’Isis per difendere in realtà i propri interessi, a cominciare dallo sbocco nel Mediterraneo. Agli Stati Uniti tutto questo non sfugge, ma Obama non vuol ripetere gli errori commessi da Bush in Iraq e in Afghanistan. Lei che a New York ha incontrato tutti i capi delle diplomazie, che soluzione intravede per il rebus siriano?

«Obama, nel suo intervento all’Onu, ha riassunto bene la situazione dicendo: io che guido la macchina militare più forte al mondo vi dico che per risolvere la crisi bisogna coinvolgere i diversi attori. Alla luce degli interventi in Medio Oriente degli ultimi 15 anni si é visto che l’uso della forza non é risolutivo se manca un progetto per il dopo. Per la Siria non basta qualche strike aereo, serve un disegno di transizione politica che porti all’uscita di Assad ma senza lasciare vuoti di potere che oggi sarebbero riempiti dal terrorismo. Dunque, il coinvolgimento della Russia può essere molto utile per la transizione politica. Ma non certo con i bombardamenti su bersagli controversi».

A che punto sono i rapporti tra Obama e Putin, che all’Onu si sono rivisti dopo due anni di gelo?

«Credo che all’origine della ripresa di contatti tra Obama e Putin ci sia proprio la discussione sul ruolo di Assad e sulla transizione siriana. Un punto sul quale l’Italia aveva ragione, e la ragione si fa strada oggi in un contesto di enorme confusione. Non dimentichiamo che da parte occidentale fino a due anni fa si ragionava su una soluzione diversa: cacciamo Assad a suon di bombe. Adesso sono in molti a parlare di transizione, e intanto bene sarebbe concentrarsi su obiettivi limitati, corridoi umanitari, il no alle bombe a grappolo, insomma le richieste dell’inviato speciale Onu Staffan De Mistura nei colloqui con Assad e in quelli con chi lo combatte».

È possibile uno scambio alla fine della transizione? Putin abbandonerà Assad al suo destino in cambio di un allentamento della pressione occidentale per l’Ucraina?

«Della cosa si è parlato a livello di ministri degli Esteri. Da parte americana è chiarissimo che non c’è nessuna possibilità di uno scambio di questo genere».

Qual è la situazione della transizione libica? L’inviato Onu León lascerà presto. È tutto da rifare? Sarebbe stato possibile sostituirlo con un italiano invece che con un tedesco?

«León aveva un mandato, scaduto a settembre, e a fine luglio è stato deciso il suo successore: come da tradizione Onu non si scelgono quali inviati nel Paese cittadini di ex potenze coloniali in quello stesso Paese. Se il ruolo di un Paese si misura dal passaporto dell’inviato Onu abbiamo in mano le chiavi della principale crisi odierna, visto che l’inviato in Siria è italiano. Dobbiamo anche abituarci al fatto che non c’è una singola superpotenza o due superpotenze che con un paio di telefonate sistemano le crisi. Le crisi si risolvono coinvolgendo gli attori fondamentali e trovando soluzioni anzitutto diplomatiche. La Libia negli ultimi 4-5 mesi ha fatto molti passi avanti, bisogna ricordarsi che all’inizio le diverse parti non entravano nemmeno nella stessa stanza. Venerdì scorso ho incontrato le parti libiche con Ban Ki-moon, John Kerry e i diversi Paesi della regione all’Onu, ora il punto di discussione è sui cinque nomi del Consiglio del governo. Occorre fare in fretta perché il 20 ottobre scade il parlamento di Tobruk. L’ultimo miglio di una trattativa è sempre il più complicato. Stiamo lavorando ostinatamente, è in agenda lunedì (oggi per chi legge n.d.r.) una nuova riunione di León con le controparti in Marocco».

Alcuni opinionisti, a cominciare da Stefano Stefanini sulla Stampa, ritengono che l’Italia non sia abbastanza influente in politica estera e che si limiti soltanto ad alcuni dossier. Lei non si sente escluso, quando l’Europa si riunisce in «formato Normandia»?

«L’Italia svolge un ruolo centrale: del resto, ci troviamo nel Mediterraneo, all’incrocio delle maggiori crisi, e abbiamo un ruolo fondamentale anche in altri contesti, come l’Afghanistan, grazie alla qualità delle nostre forze armate. La lotta al terrorismo, la Siria, l’Iraq, la Libia, l’immigrazione sono i fronti di questa condizione in cui l’ordine mondiale si costruisce faticosamente, scenario per scenario. Su molti dossier abbiamo un ruolo cruciale e anche leadership, come sul tema dell’immigrazione. L’Italia in questo è considerata un paese che ha indicato la linea, come ripete spesso Ban Ki-moon. Quanto al formato Normandia tra Francia e Germania affonda le sue radici nella storia…».

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