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Gentiloni: «Asilo europeo per salvare Schengen» (La Stampa)

In Europa c’è la corsa a rialzare gli steccati interni. Ne è sorpreso, ministro Gentiloni?

«È un pericolo che segnalo da tempo. Sull’altare di Dublino si sta rischiando di sacrificare Schengen. La difesa rigida di regole per l’immigrazione superate dai tempi incrina una delle maggiori conquiste europee: la libertà di circolare».

E come mai non si superano i vecchi accordi di Dublino?

«Perché su questo tema l’Unione somiglia a un condominio dove ciascuno litiga coi vicini, salvo poi prendersela tutti insieme con chi sorveglia l’ingresso di casa, in questo caso la Grecia».

Un problema là però esiste…

«Certo. Ma sa quanti profughi sono arrivati nel 2015 in Grecia? Oltre 850mila. Pensare che, in quanto paese di primo arrivo, da solo potesse assicurare a tutti un asilo fa a pugni con la realtà. L’asilo dev’essere europeo rendendo permanente il meccanismo che chiamiamo “relocation”. E per chi non ha titolo per essere accolto, anche i rimpatri debbono essere un compito europeo. Stiamo parlando di centinaia di migliaia di persone da rimandare in paesi “sicuri”».

Molti dicono: creiamo una polizia comune da schierare alle frontiere. E’ d’accordo?

«Ne sarei felicissimo. Tutto quello che c’è già di comune, da Frontex a Triton, è nato dall’iniziativa italiana. Però colgo troppa ipocrisia in certi discorsi sulla difesa delle frontiere esterne. L’Europa ha già una flotta navale nel Mediterraneo. Domando: per difendere le frontiere esterne deve respingere i barconi dei profughi in fuga dalle guerre?».

Non si potrebbe pretendere dalla Turchia un’azione più forte di contenimento?

«Il flusso migratorio può essere contenuto ma eviterei l’illusione che la Turchia possa funzionare come un rubinetto. In ogni caso, l’Unione ha stipulato con Ankara un accordo che include la ripresa dei negoziati su un possibile futuro ingresso in Europa. E’ un percorso che l’Italia sostiene da 15 anni, ma altri l’avevano bloccato. E il tempo perso non ha fatto bene alla Turchia».

Ci rimproverano di essere lenti nella registrazione dei migranti che sbarcano da noi. E’ così?

«L’Italia è assolutamente in linea con il programma approvato a Bruxelles. Sulle registrazioni stiamo facendo quello che dovevamo, mentre su ricollocazione e rimpatri l’Unione è molto molto indietro».

L’Italia è rassegnata alla fine di Schengen?

«Niente affatto. Le sospensioni decise da alcuni Paesi membri debbono restare straordinarie e limitate nel tempo. Però un’assunzione comune di responsabilità deve arrivare entro la primavera, cioè prima che riprendano flussi migratori molto consistenti».

In caso contrario?

«La situazione diventerà difficile per tutti».

Vuole dire che anche l’Italia potrebbe sigillare i confini?

«No. Significa che servono impegni e risorse adeguate».

A Bruxelles qualcuno teme che l’Italia ceda alla tentazione dei pugni sul tavolo…

«Difendere gli interessi nazionali è doveroso. Tutti lo fanno e, tra l’altro, evita regali all’antieuropeismo. Ma rispetto ad altri il governo Renzi coltiva un’ambizione in più: contribuire al rilancio dell’Europa in un passaggio tra i più delicati della sua storia. Ne parleremo tra due settimane in un incontro a Roma tra i ministri degli Esteri dei sei paesi fondatori».

Che rilancio ha in mente l’Italia?

«In un’Unione di 28 membri è venuto il momento di immaginare livelli diversi di integrazione. Abbiamo bisogno che il nucleo di quanti come noi vogliono più integrazione politica ed economica, possa convivere con un cerchio più largo, composto da chi crede nel mercato unico e nella Ue attuale ma non vuole spingersi oltre».

Un anno dopo il massacro a Charlie Hebdo, Parigi è sempre nel mirino. Che cosa le fa pensare il nuovo attacco?

«Alla straordinaria marcia di un anno fa. Alla forza di Parigi e della nostra solidarietà».

In Libia continuano si susseguono sanguinosi attentati firmati Isis. Quale dev’essere la risposta?

«Procedere con i passi decisi nella conferenza di Roma e in Marocco, che prevedono la nascita al più presto di un governo di accordo nazionale. Ogni ritardo su quella strada è un regalo a Isis».

E’ ipotizzabile un intervento militare?

«Nel momento in cui il nuovo governo libico lo chiedesse, l’Italia e altri paesi non farebbero mancare un sostegno alle esigenze di sicurezza. Però dev’essere chiaro che nessuno pensa a blitz e a esibizioni muscolari ma solo ad accompagnare la stabilizzazione».

Il mondo arabo è infiammato, oltre che dai fondamentalisti, pure dal braccio di ferro tra Iran e Arabia Saudita. Come si regolerà l’Italia?

«Farà di tutto per sminare le tensioni. Entro gennaio saremo il primo paese occidentale visitato dalla leadership iraniana dopo l’accordo nucleare. Non perderemo l’occasione per promuovere la distensione».

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