Signor Ministro, quali temi discuterà con il Consigliere federale Didier Burkhalter?
Discuteremo delle crisi internazionali e di alcuni temi bilaterali che stiamo affrontando nel quadro delle eccellenti relazioni tra Italia e Svizzera.
E di cosa, più precisamente?
Ad esempio il Protocollo sullo scambio automatico di informazioni con il mio Paese o la collaborazione transfrontaliera fra guardie di confine italiane e svizzere.
L’Italia e la Svizzera potrebbero migliorare la loro collaborazione
La collaborazione cresce. Dobbiamo renderci conto che il problema dei profughi non può essere risolto in poche settimane. E di certo non chiudendo una delle frontiere nazionali. Se non altro dal punto di vista della libera circolazione delle persone sarebbe una specie di suicidio per l’UE, che rappresenta un grande progetto politico a lunga scadenza.
La Svizzera non vuole chiudere le frontiere ma vuole finalmente attuare l’iniziativa sull’immigrazione di massa.
Rispettiamo il risultato del referendum ma dobbiamo anche renderlo compatibile con uno dei pilastri dell’UE e precisamente la libera circolazione delle persone. Anche la libera circolazione delle merci con l’UE, molto importante per la Svizzera, è strettamente legata alla libera circolazione delle persone. Sono fiducioso che dopo la votazione in Gran Bretagna, sulla Brexit, fra Berna e Bruxelles si giungerà ad una soluzione condivisa. L’Italia è molto interessata a questo risultato.
Cosa succederebbe se la Svizzera senza alcun accordo decidesse unilateralmente di fissare un tetto massimo annuale per l’immigrazione?
Non trovare una soluzione condivisa avrebbe ripercussioni molto negative per l’economia della Svizzera e dell’Italia. Sarebbe anche un segnale negativo per il futuro dell’Europa, a livello politico e culturale. Abbiamo troppi interessi comuni, per cui è necessario ponderare molto bene gli eventuali rischi derivanti da misure unilaterali.
In quest’ottica anche la variante del Governo ticinese di dare una temporanea priorità di impiego ai cittadini svizzeri in determinati settori non sembra essere una soluzione.
Ogni soluzione va condivisa tra l’Unione Europea ed il Governo federale svizzero.
La Svizzera e soprattutto il Ticino vorrebbero anche che i loro istituti finanziari avessero il libero accesso al mercato italiano.
La richiesta è senz’altro legittima ed è legata all’accordo sullo scambio automatico di informazioni, firmato nel febbraio del 2015. L’entrata in vigore di questo accordo da parte del Parlamento italiano è prevista il prossimo giugno. Questo faciliterà le discussioni sul libero accesso delle banche.
Come si presenta la situazione in merito al nuovo Accordo parafato sui frontalieri? I ticinesi chiedono una quota del gettito fiscale del 10% superiore a quanto proposto dall’Italia.
Rispettiamo il sistema federale della Svizzera, ma il Governo italiano fa accordi con il Governo federale.
In tal caso anche le misure ticinesi di richiedere ai frontalieri un estratto del casellario giudiziario e di obbligare gli artigiani italiani a registrarsi non sono accettabili?
Entrambe le misure sono in certo qual modo discriminatorie
L’Italia insiste dunque sulla revoca?
I Ministri dell’economia dei nostri due Paesi in occasione del loro incontro al Forum di Davos hanno ribadito che la firma definitiva dell’Accordo sui frontalieri è legata all’andamento delle trattative fra l’UE e la Svizzera e all’eliminazione delle discriminazioni per i frontalieri italiani. In questo senso sono fiducioso che queste discriminazioni de facto vengano superate. Anche perché stimo molto l’avvedutezza e la prudenza del mio omologo svizzero Didier Burkhalter. E il suo modo di risolvere i problemi.
Negli ultimi mesi l’Europa è stata investita dall’aumento del flusso di rifugiati sulla rotta balcanica, e ora ci si aspetta ad una nuova rotta. A questo punto ci si chiede se queste persone decideranno di deviare utilizzando una rotta adriatica e da li arrivare di nuovo numerosi in Svizzera attraverso l’Italia.
In questo momento non vedo nessun indizio che lasci credere che la rotta attraverso il Mar Adriatico possa diventare un’alternativa alla rotta balcanica. Stiamo comunque lavorando in stretto contatto con le Autorità dei Paesi balcanici, in particolare con quelle albanesi. Lo scopo è quello di impedire che i trafficanti organizzino i trasporti illegali, al fine di favorire l’apertura di un canale via mare verso l’Italia.
E quindi la situazione sulla rotta che attraversa i Balcani non si calmerà?
A questo proposito aspettiamo che venga applicato l’Accordo raggiunto venerdì fra l’UE e la Turchia (i rifugiati colti nel Mar Egeo dovranno essere rimpatriati rapidamente in Turchia, N. del Redattore).Si tratta di un passo avanti anche se dovremmo verificare la sua concreta attuazione. L’Italia ha chiarito che lo stesso impegno comune dispiegato nel Mare Egeo andrà dedicato ai flussi che dalla Libia attraversano il Mediterraneo centrale.
Una missione navale dell’UE sotto comando italiano si trova in acque internazionali di fronte alle coste libiche con il compito di impedire il passaggio di barche con rifugiati. Che cosa manca?
È operativa nella raccolta di informazioni e nell’azione contro i trafficanti in acque internazionali. Per poter estendere questa azione nelle acque territoriali libiche e per interventi mirati in determinati punti lungo la costa, è necessaria una richiesta formale da parte di un legittimo Governo libico.
Che non esiste ancora.
Stiamo lavorando per sostenere il Governo di Accordo Nazionale guidato dal premier Sarraj. Mi auguro che riesca a stabilirsi presto a Tripoli e a consolidare la propria legittimità.
Le Autorità elvetiche lamentano il fatto che devono rimpatriare in Italia molti più rifugiati, rispetto a quanto accade con altri Paesi UE. Ma in futuro come si possono gestire i flussi migratori?
Serve una politica comune che solo negli ultimi mesi sta cominciando a prendere forma. E non basta riferirsi al cosiddetto regolamento di Dublino. L’accordo raggiunto venerdì con la Turchia sancisce un principio: i richiedenti asilo che arrivano in Grecia non sono solo un problema dei Greci, ma di tutta l’UE.
Cio’ significa?
Il fenomeno può essere gestito riducendo i flussi e non lasciando l’onere della gestione ai soli paesi di primo arrivo.