La visione di un leader
Barack Obama conclude i suoi otto anni alla Casa Bianca con un alto grado di popolarità. Ha trovato un’America colpita dalla più grave crisi economica del dopoguerra e proiettata con centinaia di migliaia di soldati in guerre sempre più difficili da giustificare. Lascia un’America molto diversa.
Una robusta dose di risorse pubbliche ha salvato il sistema finanziario e rilanciato la crescita economica. Obamacare ha realizzato almeno in parte la riforma sanitaria, una delle maggiori aspirazioni frustrate dei democratici Usa in un quarto di secolo.
Non tutto, naturalmente, è andato per il verso giusto. L’America resta divisa. E la crescita non è riuscita a raggiungere le tasche degli strati più poveri e più colpiti dalla crisi della middle class americana.
Quanto al ruolo degli Usa nel mondo, qui Obama ha raccolto diverse critiche ma anche ottenuto, a mio avviso, i maggiori successi. Non mi riferisco a singole questioni, pure importanti: la vittoria su Al Qaeda, l’accordo con l’Iran, il disgelo con Cuba.
Penso alla gigantesca riconversione strategica operata in questi otto anni. Non si è trattato della ritirata di un leader riluttante o della presa d’atto di un declino. Al contrario, Obama ha delineato una visione della leadership americana capace di adattarsi al nuovo secolo.
Una leadership non più affidata all’invio di ingenti corpi di spedizione nel mondo: di questa impostazione ancora paghiamo le conseguenze. Una leadership basata sulla capacità di guidare coalizioni, di colpire in modo selettivo e controllato, di dispiegare il soft power delle grandi democrazie.
Insomma: di adattarsi a un mondo del tutto diverso da quello piatto e pacificato immaginato alla fine degli Anni Novanta. Un mondo più difficile. In cui dilaga in forme nuove l’ipersovranismo nazionale. In cui, per citare Obama all’Onu, gli Stati falliti sono forse più pericolosi degli Stati canaglia.
In questo mondo in cerca di ordine la grande incognita per gli Stati Uniti del dopo Obama sarà l’Europa. Alle prese con la sfida geopolitica russa e corrosa al proprio interno dalle reazioni ai flussi migratori, l’Europa, la più grande alleata della democrazia americana è oggi la più seria fonte di preoccupazione per una Casa Bianca il cui esordio era stato all’insegna del Pivot to Asia.