Mentre attende di partire per Bruxelles, dove stamane si riuniscono i ministri degli Esteri europei, Angelino Alfano confessa di non immaginare una vittoria di Marine Le Pen che spacchi l’Ue, anzi. Ammette anche di non trovare «scandaloso» che nella dichiarazione del vertice romano del 25 marzo si possa parlare di Unione a più velocità. Poi passa a migranti e Libia, tema ricco di notizie. Venerdì il capo della Farnesina ha parlato del futuro di Tripoli con l’omologo russo Sergei Lavrov (lo vedrà il 16 a Bonn), per l’ultimo di una serie di contatti che ha coinvolto gli altri duri della vicenda, Emirati e Qatar che sostengono Haftar. «Ho registrato la volontà di cooperare – concede -. Tutti si rendono conto che la Libia per noi sul versante dell’immigrazione e per altri sulla sicurezza – ha un connotato strategico che non può essere sottovalutato».
Un buon segnale da Mosca per la diplomazia del Sahara?
«Questo non vuol dire che noi siamo leader di un nuovo processo, ma che la diplomazia riconosce l’esigenza di rivolgere alla questione un’attenzione molto più ampia rispetto all’accordo italo-libico. Ciascuno deve fare il proprio dovere, per creare sinergie, senza troppo badare ai formati liturgici: così si va nella direzione della Pace».
C’è bisogno anche degli Usa?
«Serve anche l’impegno americano per stabilizzare la Libia. Ne parlerò con Tillerson, è un incontro che avverrà presto. Serve l’impegno di tutti. Non dobbiamo nuovamente attribuire agli americani i galloni di gendarme universale».
Come avanza il dialogo?
«Abbiamo spiegato alla nuova amministrazione americana la specificità della Libia e detto, a loro come agli altri, che una Libia unita può tutelare la stabilità del Paese e dei vicini. Le ipotesi che prevedono la prevalenza di una parte sull’altra costituiscono un pericolo per tutti».
La Libia collabora?
«Siamo in fase di sperimentazione e apprezziamo la buona volontà. Alcuni fatti consentono di andare avanti: l’approvazione della legge di bilancio consente a Tripoli di pagare le forze dell’ordine, mentre le numerose vittorie a Sirte sull’Isis liberano uomini per la protezione del territorio. Sono segnali importanti».
Dopo Malta, l’Europa saprà andare oltre le belle parole?
«L’Ue deve rafforzare la cooperazione con i paesi di origine e transito, deve mettere mano al portafoglio, usando il Trust Fund for Africa e realizzando accordi simili al nostro con la Libia. Solo rafforzando le frontiere estere e firmando intese mirate risolveremo il problema».
Parliamo della signora Le Pen. I populisti avanzano.
«Il sistema politico europeo si è diviso in due grandi emisferi. In uno, c’è chi ritiene che l’Europa sia comunque una parte delle soluzioni di cui abbiamo bisogno, sebbene tra mille limiti e lentezze su cui intervenire. L’altro accoglie chi considera che sia un problema irrisolvibile, anzi il problema che origina tutti gli altri. Io gioco la mia partita nel primo emisfero, quello di chi la vuole cambiare e non abbandonare. E mi batterò con forza per impedire che in Italia prevalga chi vuole salutare l’Unione».
Il Front National non ci sta. Vuoi far saltare il tavolo di Bruxelles, con l’Ue e la Nato.
«Spero che i francesi scelgano di restare in Europa. Hanno lo status e la storia che accomuna i padri fondatori. Sono stati nel trio di testa con Italia e Germania, non va dimenticato. Devono restarci nel momento in cui c’è da dare una risposta a chi non ha un lavoro, soprattutto ai giovani, nel tempo in cui servono grandi investimenti e sforzi comuni per garantire la Sicurezza».
Ma se Marine vincesse sarebbe la fine dell’Europa?
«Facciamo un passo alla volta. C’è una campagna elettorale in corso, alla fine della quale io sono convinto che le tesi dei sostenitori dei valori della Repubblica francese, di Fillon e Macron, insieme con quelle dei socialisti, saranno nella loro somma europeista sufficienti a fermare chi vuole lasciare l’Europa».
Alla Le Pen piace Trump, che ha avuto una telefonata «affettuosa» con Gentiloni. Avete giudizi simili nati da intenti diversi. Come si spiega?
«Sono uno dei pochi che, prima del voto americano, non si è espresso a favore dell’avversario di Trump. Certo abbiamo una visione diversa su qualche grande questione, ma Trump sta realizzando quanto ha promesso agli elettori. Questo va rispettato. Poi sono certo che lui riconosca l’importanza del legame transatlantico col nostro Paese così noi facciamo con lui».
Vi intendete anche sul muro messicano e sul freno ai migranti?
«Abbiamo una posizione diversa sulle migrazioni. L’Italia ha fatto il possibile per sposare solidarietà e sicurezza. Abbiamo salvato migliaia di vite e difeso il Paese. In altri Paesi, per realizzare questa solidarietà, è stato necessario pagare un costo. Ciò non toglie che possiamo intenderci. Nella difesa globale, nella lotta contro Daesh e nella collaborazione per stabilizzare la Libia.
Angela Merkel vuole un riferimento alle “più velocità” nella dichiarazione di Roma sull’Europa del 25 marzo. Si può fare?
«La nostra Europa è già a più velocità, dunque l’idea non mi scandalizza. E’ un formato di cui occorre prendere atto. In piena libertà, senza coercizioni, si possono unire Paesi di ambizioni più grandi che non hanno voglia di cedere poteri ad altri Paesi che magari hanno voglia di fermare o di frenare per esigenze sovraniste o populiste. La Difesa, in questo senso, è un esempio perfetto».