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Alfano : «Lavoriamo per i Balcani nell’Ue» (Il Piccolo)

II summit di Trieste sarà sicuramente un passaggio fondamentale per i sei Paesi dei Balcani occidentali che aspirano ad entrare nell’Ue. Ci sarà da lavorare, ma le premesse e i progetti  infrastrutturali, commerciali e sociali o culturali che saranno loro offerti contribuiranno a creare quel collante inter-regionale che contribuirà a superare anche le dolorose fratture del passato. Insomma non sarà facile, ma l’Italia già da tempo sta lavorando, come conferma il ministro degli Esteri Angelino Alfano, a fare di Trieste un momento chiave di tale processo, forte anche della sua conoscenza della realtà balcanica.

Il summit di Trieste può essere una svolta nel processo di avvicinamento dei Balcani occidentali all’Unione europea?

Se si tratta o meno di una svolta ce lo diranno i mesi successivi, anche in funzione del lavoro e della volontà politica che saremo in grado di mobilitare. Di sicuro sarà un momento importante nel percorso di avvicinamento. A Trieste vogliamo riconfermare l’inequivocabile prospettiva europea dei Balcani occidentali e dire loro che la porta dell’Europa resta aperta. Ovviamente c’è un processo da compiere, delle riforme da adottare, ma il risultato finale non potrà che essere quello di un destino comune.

La situazione nella regione è però alquanto instabile. Il premier albanese Rama ha evocato la Grande Albania, tra Serbia e Kosovo il dialogo c’è, ma molto timido e in alto mare, mentre la Macedonia resta un punto interrogativo viste le forti pressioni interne da parte degli albanesi…

I Balcani occidentali sono indubbiamente una regione che nel recente passato ha conosciuto guerre e gravissime situazioni e che è tuttora contraddistinta da forti complessità. L’area può essere definita instabile se paragonata all’Unione Europea, ma certamente lo è molto meno rispetto a pochi anni or sono. Credo anzi che vi siano ragioni per coltivare un certo ottimismo, in quanto i segnali positivi sono numerosi e sopravanzano sicuramente quelli di segno opposto. La cooperazione regionale è viva e si svolge sia a livello bilaterale che nell’ambito di varie organizzazioni a ciò deputate – ad esempio quelle sorte anni addietro su iniziativa italiana, ovvero l’Ince e la lai. Sinceramente, non credo che il soffermarsi su singole affermazioni di leader regionali per cercare di trarne indizi di un peggioramento del clima renda un buon servizio ne ai Balcani occidentali, ne all’Europa. È invece importante cogliere ogni occasione per rafforzare e incentivare quel percorso di integrazione europea che i sei Paesi dei Balcani occidentali intendono perseguire.

C’è poi il tema Bosnia-Erzegovina. L’architettura di Dayton scricchiola per le pretese di annessione della Republika srpska alla Serbia e per le richieste dei croati di essere riconosciuti come entità alla pari di serbi e bosgnacchi…

La Bosnia-Erzegovina può certamente essere vista come un “concentrato” dei Balcani. Lì le guerre degli anni ’90 hanno raggiunto l’intensità maggiore, lì sono state commesse le peggiori atrocità e lì le divisioni in seno ai popoli costituenti apparivano le più radicate ed insanabili. A 22 anni da Dayton, tuttavia, e pur senza negare la delicatezza di determinate situazioni, la Bosnia-Erzegovina ha presentato richiesta di adesione all’Unione Europea ed è impegnata su un cammino di riforme socio-economiche concordato con Bruxelles, la cosiddetta “reform agenda”, pensato anche

per predisporre il Paese a una futura integrazione nell’Ue. È inoltre un Paese che ha saputo dimostrarsi in più occasioni partner affidabile e che partecipa in maniera positiva a quello sforzo di approfondimento della cooperazione regionale. Concluderei sottolineando come anche nel caso della Bosnia-Erzegovina – anzi direi particolarmente in questo caso – il percorso di integrazione europea rappresenti la migliore prospettiva e la più idonea garanzia di un progressivo superamento delle divisioni interne.

Su tutto aleggia il fantasma della cosiddetta rotta balcanica dei migranti. Slovenia e Croazia restano separate dal filo spinato e con la massima allerta…

La crisi lungo la rotta balcanica del 2015 e 2016 ha reso evidente agli occhi di tutti i rischi del mancato coordinamento tra i Paesi convolti dai flussi. In quei mesi Schengen e la libertà di circolazione hanno corso un serio pericolo: diversi sono stati i nostri partner risoltisi a reintrodurre temporaneamente i controlli alla frontiera, ma senza che tale misura si sia tradotta in un effetto alcuno sull’entità dei flussi, almeno non fino alla dichiarazione Ue-Turchia del 18 marzo 2016.

E il confine sloveno-croato?

Il confine tra la Slovenia e la Croazia è poi particolare: si tratta infatti di due Stati membri dei quali però uno, la Croazia, non è ancora ufficialmente parte a pieno titolo dell’area Schengen. Questo detto, è stato certamente triste veder sorgere in Europa nuove barriere, ma ecco che già oggi Slovenia e Croazia si coordinano efficacemente nell’applicazione pratica della nuova normativa Ue che prevede controlli sistematici alle frontiere esterne dell’area Schengen.

Che cosa ci insegna questa esperienza?

L’esperienza della crisi del 2015-2016 dovrebbe aver insegnato a tutti che la soluzione alla questione migratoria non è “a valle”, nella chiusura delle frontiere e nella diversione del flusso verso il proprio vicino, quanto “a monte”. La Uè è intervenuta in Turchia, all’origine dei flussi incamminatisi lungo la rotta balcanica, per migliorare le condizioni di vita dei rifugiati siriani in quel Paese. L’obiettivo è permettere ai rifugiati siriani di rimanere vicino al loro Paese, in modo da permettere loro di tornare più agevolmente in Siria quando la crisi sarà finita. In Africa stiamo lavorando per intervenire sulle cause profonde del fenomeno migratorio, attraverso mirate azioni di cooperazione di sviluppo, ma anche di promozione di sistemi locali dell’asilo o di rafforzamento delle capacità in tema di riammissione di migranti irregolari.

Sullo stesso tema quali i rapporti con Vienna dopo i fatti del Brennero?

La collaborazione bilaterale con l’Austria sul fronte migratorio rimane improntata, come già per il passato, ad uno spirito costruttivo e alla tutela dell’interesse comune. Le autorità austriache hanno in più occasioni manifestato all’Italia apprezzamento e soddisfazione per la gestione del fenomeno migratorio e per il controllo dei flussi al Brennero, nonché peri i fatto che tutti gli impegni presi siano stati mantenuti. Tale collaborazione ha evitato, ed evita tuttora, che il confine del Brennero venga chiuso al pari dei confini austriaci con gli altri Paesi Ue. Si tratta di un importante contributo alla salvaguardia della libera circolazione in Europa. Nonostante le ultime dichiarazioni del ministro Doskozil (che fanno evidentemente parte di una retorica elettorale), da parte austriaca vi è piena consapevolezza che le misure messe in atto nei mesi passati e i servizi di monitoraggio dalle nostre Forze di Polizia hanno contribuito al sensibile decremento dei transiti di migranti dall’Italia verso i Paesi del centro e nord Europa. L’Italia si è impegnata inoltre nell’ulteriore cooperazione delle attività di Polizia al confine dopo l’entrata in vigore ad aprile scorso del relativo accordo bilaterale.

Quali prospettive vede per il Friuli Venezia Giulia e per Trieste il cui porto è molto ammirato dai cinesi nell’ ottica della Via della seta?

Lo status di porto franco fece già la fortuna di Trieste. In condizioni geopolitiche certamente diverse Trieste oggi può nuovamente avvantaggiarsi di questo speciale statuto nell’ambito delle iniziative volte a promuovere e rafforzare la connettività euro-asiatica. Penso innanzitutto alla “One Belt One Road” cinese. L’obiettivo condiviso con Pechino è quello individuare progetti comuni di investimento nel settore dei trasporti e delle infrastrutture digitali. Oltre che sul piano bilaterale, operiamo a tale fine anche in una dimensione europea mediante la “Eu-China Connectivity Platform” volta a stabilire sinergie e tra i progetti cinesi ed europei in materia infrastrutturale (nella lista di progetti pilota di potenziale interesse ve ne è anche uno che riguarda Trieste). Su un piano generale i porti italiani dell’alto Adriatico rappresentano tutti una eccellenza. 

E Trieste in particolare?

Trieste in virtù della geografia e anche del suo passato, ha la fortuna di poter gravitare su un bacino retrostante tra i più ampi e dinamici d’Europa e con grande potenziale di espansione verso l’Europa orientale. Del resto voglio ricordare come, guardando a Est, le prospettive future del ruolo di questa regione affondino le proprie radici nella storia. Il Friuli è stato all’avanguardia nel contatto tra l’Occidente e l’Oriente fin dal XIII secolo. Anche oggi il tessuto imprenditoriale friulano più dinamico si proietta verso la Cina.

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