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Moavero Milanesi: “Bisogna ricucire con Parigi. Salvini-Di Maio? La linea la dà Conte” (la Repubblica)

II rapporto con la Francia è garantito da norme e trattati europei, dall’alleanza atlantica e da relazioni commerciali solide, dalla prossimità geografica e dall’amicizia tra i due popoli».

Ma è la crisi più grave tra i due Paesi dal dopoguerra, ministro Moavero. Si deve ricucire?

«In questa cornice ci possono essere interessi e punti di vista diversi, ma bisogna intensificare i contatti istituzionali e gestire i confronti politici per superare una misura come il richiamo dell’ambasciatore».

Esagerata?

«Non giudico una decisione presa in piena autonomia dal governo francese. Piuttosto mi colpisce che in questa campagna per le Europee, per definizione un momento di democrazia, si manifesti una dialettica cosi contrapposta. Fa parte della politica, è accaduto e dobbiamo farci i conti».

La scintilla, non giriamoci attorno, è stata l’incontro tra Di Maio e i gilet gialli. Un atto grave, non le pare?

«Luigi Di Maio ha detto che l’ha fatto in quanto leader politico. La circostanza che sia anche membro del governo ha verosimilmente creato il cortocircuito. Ma è proprio il punto dell’attuale fase. Mi spiego».

Prego.

«La fase elettorale europea in corso mostra, perla prima volta, contraddittori diretti tra esponenti politici dei due Paesi. Noi siamo abituati a toni così aspri nell’arena politica nazionale, molto meno tra politici di Paesi diversi. Se tutto questo resta nell’ambito di una dialettica politica, è una questione di toni che si possono sempre misurare. Ma quando i leader politici hanno anche responsabilità di governo, allora si crea il corto circuito tra governi».

Ministro, parliamo di moti di piazza. Di una ferita nazionale. Di Maio ha incontrato un leader dei gilet gialli che incita al golpe.

«Da quanto hanno dichiarato, i politici italiani hanno vissutogli incontri nell’ottica di un’alleanza elettorale. Dalle dichiarazioni del ministro dell’Interno francese, invece, si capisce che per loro quelli dei gilet gialli è una questione di sicurezza nazionale. Dunque, più specifica dal loro punto di vista e va tenuto conto del fatto che non lo considerano alla stregua di incontri con altri partiti rivali. E’ necessario parlarsi con lealtà e rispetto reciproco. Un chiarimento a ben guardare è già in atto, basta leggere le dichiarazioni di queste ore. La comprensione dei punti di vista è la precondizione per un dialogo che consenta di ritrovare il corretto modus vivendi istituzionale».

Dunque una mediazione è ancora possibile?

«Sono certo che normalizzeremo i rapporti istituzionali. Resterà però la contrapposizione politica profonda, forse anche aspra nei toni, che riguarda i partiti. E d’altra parte, ricordiamo quandoTogliatti chiedeva scarponi chiodati per prendere a calci De Gasperi? Eppure quei partiti si sono comunque confrontati in Parlamento per decenni facendo la storia della Repubblica».

Resta il fatto che un membro del governo dovrebbe mettere davanti l’interesse nazionale rispetto al ruolo politico, o no?

«Non parlerei di interesse nazionale, ma dell’interesse comune dei Paesi alleati e dell’Ue a evitare conflitti difficili da gestire. Bisogna chiarire subito quando ci si esprime da esponenti di partito e non da membri di governo. Così la conflittualità tra partiti non si trasferisce alla dialettica tra Stati».

Che scaletta diplomatica immagina per la ricucitura?

«Prima è il momento della diplomazia con la D maiuscola, fatta di colloqui informali, mediazioni silenziose. Infine immagino che servirà una parola al più alto livello: un colloquio tra Giuseppe Conte ed Emmanuel Macron».

Anche Mattarella ha preso posizione. Ed è stato molto duro con voi del governo.

«È interesse del Capo dello Stato e di questo governo ricondurre a fisiologia i rapporti intergovernativi con la Francia. L’abbiamo detto tutti, è un obiettivo condiviso del governo, verso il quale come ministro degli Esteri sono assolutamente determinato».

I vicepremier continuano però a usare toni duri. Si è discusso della debolezza del premier in questa fase. Non dovrebbe intervenire sui vice? E non dovrebbe essere sua la sintesi?

«Come e quando intervenire spetta al premier deciderlo. È certo che negli ultimi anni tante decisioni importanti del governo hanno una dimensione di politica estera. E dunque, ogni membro del governo nel suo quotidiano deve preoccuparsi di tale dimensione. A maggior ragione è importante mantenere una linea unitaria, per questo ci sono le riunioni di vertice e i consigli dei ministri, dove la sintesi spetta al premier».

Questa crisi pregiudicherà le già poche speranze di trovare un accordo su Alitalia e Tav?

«Non credo. Penso che nei rapporti tra imprese sia sempre l’interesse aziendale a guidare le decisioni, non questioni di bandiera».

L’Italia non ha riconosciuto Guaidò in Venezuela, isolandosi rispetto all’Europa. Perché?

«Il governo è per una soluzione pacifica, per affrontare subito l’emergenza umanitaria e arrivare al più presto a nuove elezioni Presidenziali. L’atteggiamento più cauto sul riconoscimento di Guaidò punta ad agevolare il percorso di riconciliazione e arrivare davvero e rapidamente al voto».

Esponenti del governo o della maggioranza, penso a Di Battista, chiedono all’Europa di sganciarsi dagli Usa. Si oscilla tra chavismo e filo putinismo. Il governo ha smarrito le antiche coordinate di politica estera?

«La mia posizione quale ministro degli Esteri vede per l’Italia due capisaldi inequivoci. Il primo è che siamo nella Nato, con gli Stati Uniti quali alleati principali. Anche quando nell’alleanza abbiamo opinioni diversificate, siamo sempre trasparenti e negli snodi fondamentali siamo totalmente leali. Il secondo punto è che crediamo nel processo di integrazione europea».

Quindi ritiene che quelle posizioni radicali non incidano sulla linea del governo?

«Nei consigli dei ministri nessuno ha mai messo in dubbio queste scelte di fondo».

Dica la verità: resta in questo governo per la riduzione del danno? Non sente disagio a farne parte, tra spinte nazionalistiche e battaglie contro alleati storici?

«Sento il senso del dovere verso la funzione che sono stato chiamato a svolgere ed è tipico della politica estera smussare le spigolosità e intermediare».

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