«Il ritorno dell’ambasciatore francese a Roma era nelle cose».
Pace fatta, ministro Enzo Moavero Milanesi?
«Da quanto si è capito, il richiamo è dipeso più da dinamiche politiche, che dai rapporti diplomatici tra i due Paesi ed è importante che l’ambasciatore sia rientrato in tempi relativamente brevi. Francia e Italia hanno molti legami, ci sono mille ragioni per mantenere un quadro sostanziale di normalità».
Eppure il ministro e vicepremier Luigi Di Maio non si è fatto tanti scrupoli nel provocare lo strappo, il più grave dal 1940.
«Le relazioni fra gli Stati, specie nell’Unione europea, sono caratterizzate da una vivace miscela di cooperazione e competizione. Non bisogna mai meravigliarsi delle contrapposizioni. L’effervescenza è inerente alla normalità. L’importante è preservare sempre garbo e attenzione alle sensibilità dell’altro Paese».
Di Maio ha incontrato il leader dei Gilet gialli Christophe Chalencon, golpista dichiarato, dalle cui parole incendiarie ha poi dovuto prendere distanza. Non pensa che il vicepremier avrebbe dovuto essere più prudente?
«Luigi Di Maio ha preso esplicite distanze da una persona che professa modi di pensare e di agire che ovunque verrebbero guardati con preoccupazione. Un fatto positivo che rasserena il clima».
Non teme altre crisi diplomatiche, vista la continua competizione elettorale tra di Maio e Salvini?
«L’aver riportato la normalità diplomatica nelle relazioni con la Francia non deve far pensare che ora tutto sia solo rose e fiori, complimenti e galanterie. I due sistemi-Paese sono in concorrenza e quindi vedremo ancora confronti e divergenze. Poiché la dialettica continuerà, anche sul piano della visione politica, vale la pena di badare agli snodi che possono generare incomprensioni eccessive».
Lei per ricucire auspicava un colloquio tra Conte e Macron, invece l’Eliseo ha invitato il nostro capo dello Stato. Per i vertici Ue l’unica voce affidabile in Italia è quella del presidente Sergio Mattarella?
«La Francia è una Repubblica presidenziale, non è così straordinario che ci sia un contatto diretto tra il loro e il nostro capo dello Stato, finalizzato peraltro ad agevolare la soluzione. È solo positivo. Ancor più protocollare è l’invito al presidente Mattarella a recarsi in visita di Stato a Parigi, spetta a lui fare queste visite e la regola prevede che sia accompagnato dal ministro degli Esteri».
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte non è più un interlocutore credibile, per i vertici della Ue? Al Parlamento europeo gli hanno dato del «burattino».
«Stiamo passando da una arena politica nazionale a una arena politica europea e siamo ancora in una fase di transizione. Quanto è accaduto a Strasburgo è indicativo, i toni fra politici europei si accendono e anche troppo. Esponenti di forze politiche tradizionali, come popolari, socialisti e liberali, adesso dominano il Parlamento Ue e temono, criticano e attaccano le forze nuove più atipiche, come Lega e M5S».
Non crede che l’attacco rivolto a Conte nel Parlamento di Strasburgo puntasse a smascherare la debolezza del premier italiano, stretto fra Salvini e Di Maio?
«Alcuni, dimentichi del garbo, hanno usato un linguaggio ruvido e deprecabile. Non è la prima volta che succede. Ma, soprattutto, non scambiamo l’epiteto di un politico di un partito avversario con il giudizio di un giudice o di un arbitro».
Per Ppe e Pse è il «canto del cigno», come spera Conte?
«Lo diranno gli elettori il 26 maggio. Per ora i sondaggi non sono univoci, ma sovente il voto stupisce. Leggere le elezioni Europee in chiave nazionale è riduttivo. Andremo a votare per eleggere un Parlamento europeo che decide leggi su innumerevoli temi che toccano il quotidiano di tutti noi cittadini. Per la prima volta, forse, ne siamo ben coscienti, si vota per dire come sarà l’Europa di domani».
Siamo la pecora nera d’Europa?
«Non confondiamoci. Se nel Parlamento Ue è schierata una maggioranza avversa, il nostro premier raccoglierà commenti avversi, come è accaduto. Siamo chiari, dare del burattino al capo di un governo, invitato a parlare in una cornice solenne, è un insulto grave. Si è voluto colpire in Conte la maggioranza di governo in Italia, gli avversari politici. E, in modo abrasivo, fare notizia, come la politica richiede».
II governo gialloverde reggerà fino al 26 maggio?
«Ci sono due dinamiche distinte in atto. Ogni governo riceve sempre un impatto nei momenti elettorali, è fisiologico. Più specifiche sono le elezioni Europee, perché le due forze di maggioranza in Italia sono in minoranza nel Parlamento europeo e cercano spazi e alleanze diverse. C’è emulazione reciproca, ma non impedirà al governo di arrivare alle Europee».
Se fermerete la Tay, come farete a recedere dai quattro trattati internazionali ratificati?
«Per la Tav è indispensabile appurare in modo chiaro e meticoloso i fatti, le regole e gli accordi, se del caso anche con un passaggio parlamentare. Serve un atto di assoluta, inoppugnabile trasparenza davanti al Paese».
Sul Venezuela resterete isolati, o riconoscerete Guaidò?
«La nostra priorità è garantire al popolo venezuelano l’afflusso degli aiuti umanitari. Sotto il profilo politico, non riconosciamo legittimità all’elezione di Nicolas Maduro, mentre la riconosciamo all’elezione dell’Assemblea nazionale. Vorremmo favorire una riconciliazione che permetta nuove elezioni presidenziali. Abbiamo dunque lo stesso obiettivo della maggioranza dei Paesi europei».
Matteo Salvini sta cercando una strada per approdare a Palazzo Chigi prima delle Europee?
«Alla luce dei sondaggi la sua figura di leader è molto cresciuta, l’azione di Salvini raccoglie il favore di tanti italiani. Sul futuro del governo il vicepremier farà le sue valutazioni politiche, ma per il momento sto a quanto lui stesso dice pubblicamente e cioè che questo governo deve continuare a lavorare».
Non è geloso della visibilità internazionale di Salvini?
«Quando il ministro dell’Interno si occupa di migrazioni, necessariamente si proietta in una dimensione estera. Non sono geloso, anche perché allora dovrei esserlo di ogni ministro che è obbligato a gestire anche una dimensione estera. Diventerei peggio di Otello, che almeno di rivali ne aveva uno soltanto».