La Commissione europea ha espresso un “parere”, per usare il termine giuridico: è severo, ma significa che la discussione può e deve continuare subito e durante l’iter parlamentare italiano della legge di stabilità», diceva ieri Enzo Moavero Milanesi sulla bocciatura del progetto di bilancio presentato a Bruxelles dal governo di Giuseppe Conte. Quando ieri ci si è incontrati per questa intervista al Corriere della Sera, la scrivania del ministro degli Esteri era piena di informative su mezzo mondo. Oggi l’agenda di Moavero sarà imperniata sul Mediterraneo. Spetterà al giurista chiamato a far dialogare l’Italia con gli interlocutori più ostici per il governo Cinquestelle-Lega aprire la conferenza annuale Med, organizzata da Farnesina e Istituto per gli studi di politica internazionale nell’Hotel Parco dei Principi a Roma.
Ministro, lei a Bruxelles è di casa. Benché nel governo le deleghe su Economia e Affari Europei siano dei suoi colleghi Giovanni Tria e Paolo Savona, quanto le pesa vedere che l’Italia nell’Unione Europea è isolata come lo è sulla legge di stabilità?
«Mi dispiace molto. Per di più l’Ue è diventata un arcipelago. Purtroppo sono tante le situazioni divisive e di isolamento che riguardano sia gruppi di Paesi sia singoli Stati: l’uscita della Gran Bretagna che è una ferita grave per l’Unione, Ungheria e Polonia che sono sotto procedura per violazione di principi fondamentali, il “gruppo di Visegrad” che rifiuta di accogliere i rifugiati, le Spagna che si irrigidisce su Gibilterra».
Vero, però ciò non fa che appesantire la situazione.
«L’Ue è di fronte a uno dei bivi della storia dell’integrazione europea: deve ritrovare lo spirito collaborativo e solidale, rivedere parti della sua architettura complessiva. Va ricomposta l’unità dell’arcipelago. Ad esempio, è grave che manchi una vera politica comune sulle migrazioni: l’Europa dovrebbe fare molto di più sebbene a piccoli passi ci siano progressi».
Quali correzioni di rotta ritiene necessarie nelle politiche sul Mediterraneo?
«Non dobbiamo guardare al Mediterraneo e all’Africa soltanto con il timore di migranti. L’Africa rappresenta per noi un’opportunità enorme. Non possiamo sottovalutarla. Abbiamo davanti una grande occasione per investimenti e interscambio commerciale su basi inedite rispetto al passato».
Perché aumentano gli affari e la popolazione?
«Sì, in Africa c’è una notevole crescita economica e demografica. Un’espansione che, se ben fiancheggiata, può assorbire le migrazioni favorendo lo sviluppo in loco. Grazie alla rivoluzione tecnologica, il continente può bruciare tappe saltando quelle intermedie dell’evoluzione industriale, le più dannose per l’ambiente e le esigenze sociali. Per l’Italia l’Africa deve diventare una priorità».
La conferenza sulla Libia tenuta a Palermo ha reso evidente una ridefinizione della posizione italiana nel Mediterraneo. La partecipazione del presidente Abdel Fattah al Sisi ha riportato i rapporti con l’Egitto a pieno regime dopo i contrasti sull’uccisione di Giulio Regeni. Quella del premier Dmitry Medvedev ha fatto risaltare la sintonia del governo con la Russia. L’Amministrazione Trump è parsa affidarsi molto all’Italia per stabilizzare la Libia. Non teme tuttavia che così gli Stati Uniti evitino di impegnarsi ?
«L’amicizia e l’alleanza con gli Stati Uniti, la collocazione dell’Italia nella Nato sono punti fermi e uno dei fili conduttori del nostro impegno nel Mediterraneo. In questo c’è una visibile sintonia con il riequilibrio dell’attenzione della Nato verso il suo fianco Sud, deciso nel vertice dello scorso luglio».
La Russia aumenta le sue attività in Libia. Da quando Vladimir Putin ha mandato nel 2015 militari in Siria, riconfigurare gli assetti del Medio Oriente è impossibile senza il consenso di Mosca. Ci conviene davvero che Putin abbia in Libia lo stesso potere?
«Nelle sue varie versioni storiche — Russia imperiale, Unione Sovietica, Federazione attuale — l’interesse russo per il Mediterraneo è una costante. Non deve meravigliare. Pur rimanendo saldo il nostro ancoraggio nella Nato, se davvero vogliamo una stabilizzazione in Libia non possiamo prescindere da un dialogo con la Russia. A dover trovare un accordo sono innanzitutto i libici, fra loro. Tuttavia se lasciamo fuori interlocutori di rilievo le soluzioni diventano più difficili».
E quanto lo sono adesso i rapporti con la Turchia? La delegazione inviata dal presidente Recep Tayyip Erdogan ha lasciato la conferenza di Palermo. Ankara ha peggiorato i suoi rapporti con Israele, nella Nato non è lineare. Una Turchia ondivaga e più illiberale non crea difficoltà all’Italia, suo partner tradizionale?
«Ankara è un altro interlocutore indispensabile, arduo misconoscerlo. La Turchia intrattiene autonomi rapporti bilaterali che possono essere più o meno buoni. Bisogna coinvolgerla, male sensibilità mostrate a Palermo sono sintomatiche di quanto siano complesse le relazioni nel Mediterraneo».
Per la pace e la stabilità in Libia un’intesa tra Italia e Francia non basta, però sembra una condizione necessaria. Come la si raggiunge se i contrasti tra i governi italiano e francese spaziano dall’immigrazione alla ferrovia Torino-Lione? Il 2018 sta per finire e dell’annuale vertice italo-francese non è nemmeno annunciata la data.
«Anche in un contesto integrato come l’Ue una competizione tra sistemi-Paese è normale. Per la Libia non vedo una faglia di rottura con la Francia sul comune intento di arrivare a una soluzione di stabilizzazione e democrazia. Ciò detto, è naturale che ognuno cerchi di avere un ruolo maggiore».
Quali passi prevede la nuova fase di rapporti con al Sisi, preparata da una visita sua e una del ministro Matteo Salvini al Cairo?
«L’Egitto ha una lunga frontiera con la Libia ed è un attore fondamentale nella regione. Il suo coinvolgimento nella ricerca di soluzioni nel Mediterraneo è nell’ordine delle cose. Ma per noi resta importantissimo ottenere giustizia per la terribile uccisione di Giulio Regeni come ci è stato assicurato dalle autorità egiziane».