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«A volte questi incidenti sono teatro d’ombre» – Ambasciatore Federico Failla (Giornale di Sicilia)

L’eredità siciliana mi ha insegnato a vedere oltre le apparenze In diplomazia questo è determinante Osvaldo Baldacci «L’eredità siciliana mi ha insegnato a guardare oltre le apparenze della cronaca contingente, e questo in diplomazia è determinante». L’ambasciatore Federico Failla, nato a Noto, rappresentante d’Italia in Corea del Sud, è a Roma per la XIII Conferenza degli Ambasciatori e delle Ambasciatrici d’Italia organizzata fino venerdì dal Ministero degli Esteri. Proprio ieri nei cieli coreani un grave incidente: aerei di Seul hanno sparato colpi di avvertimento contro velivoli militari russi accusati di aver violato lo spazio aereo. I russi – che stavano svolgendo con aerei cinesi «la prima missione congiunta di monitoraggio aereo dell’Asia Pacifica» – negano di aver violato i confini coreani, e accusano Seul di fare manovre per ostacolare la libera navigazione aerea. 

Ambasciatore, un brutto incidente. Che succede?

«Quelle sono zone complesse, dove capita che si verifichino tensioni e incidenti, e su cui cisono interessi e ambizioni strategiche di molti Paesi di primo piano. Vedremo. Però non sempre è tutto come appare dai giornali, noi in Sicilia questa cosa la sappiamo, c’è sempre un teatro delle ombre, bisogna saper guardare oltre».

Come è attualmente la situazione in Corea?

«In una fase di evoluzione. C’è stata una situazione di picco di tensione nel 2017 con i test missilistici oltre che nucleari della Corea del Nord, poi è seguito un riavvicinamento, la prima sorpresa del vertice di Singapore fra Trump e Kim, il secondo vertice che è andato male, e a fine giugno l’incontro sul confine, che ha rilanciato un dialogo che sembrava congelato. L’importante è sempre non eccedere né in ottimismo né in pessimismo. E bene che ci si parli e non cisi spari, anche se per arrivare a una definitiva condizione di distensione e convivenza ci vorrà tempo».

In che senso?

«Bisogna riguadagnare la fiducia. Non c’è neanche ancora un trattato di pace. E una situazione con tante sfumature, e con tanti sviluppi eventuali. Il problema primario è che ci si torni a fidare l’uno dell’altro, per decenni non c’è stata nessuna fiducia, se non in alcuni momenti il cui ottimismo poi però è stato tradito. Ci vuole tempo di maturazione e consuetudine di dialogo. In questo è ammirevole il presidente sudcoreano Moon: lui sa che non può essere il risolutore finale, ma, sapendo anche incassare qualche atteggiamento non proprio rispettoso dal nord, ha insistito e ha saputo creare le condizioni perché il dialogo sia possibile».

Quale può essere il ruolo dell’Italia in Corea?

«La Corea è il Paese asiatico con cui dovremmo confrontarci meglio, anche perché è il più simile all’Italia per numeri. E il Paese asiatico che ha le maggiori importazioni pro capite dall’Italia, non solo il classico made in Italy ma anche macchinari e tecnologie. Su questo però potremmo fare di più: dobbiamo meglio far capire ai coreani le nostre eccellenze tecnologiche che pure abbiamo. In Corea iniziano ad esserci molti ricercatori italiani assai stimati, e molti studenti».

E per quanto riguarda la Corea verso l’Italia?

«Non tutti sanno che in Italia arrivano più turisti coreani che giapponesi, più di un milione all’anno. Ora il nostro compito è quello di farli tomare. E in questo gioca un ruolo importante la capacità di far capire le differenti ricchezze delle diverse località italiane».

Come la Sicilia?

«Certamente. La mia terra è meravigliosa e ricca di ogni attrattiva, e devo dire sta attirando sempre di più gli stranieri, ma possiamo fare ancora di più nella promozione».

Cosa porta di siciliano nel suo lavoro intorno al mondo?

«Il concetto di sicilianità è molto complesso. Di sicuro la storia della nostra isola ci ha dato una forma mentis che aiuta a contestualizzare le cose, a vedere un po’ più lontano della semplice attualità. Poi ho la fortuna di poter promuovere nel mio piccolo i magnifici piatti siciliani, anche grazie a mia moglie.