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Moavero: «L’Italia resti aperta al mondo Non scordiamo i nostri interessi» (Corriere della Sera)

Enzo Moavero Milanesi, 65 anni, ministro degli Esteri da 15 mesi, usa i pomeriggi della domenica per mettere a posto il suo studio in una Farnesina avvolta nel silenzio.

II suo collega Giovanni Tria dice che le divisioni interne all’Italia fanno sì che non ci accorgiamo di ciò che accade fuori. Concorda?

«È inevitabile che una nazione dia peso alle proprie questioni. E’ tipico della democrazia, specie nei momenti di fermento e non accade solo in Italia. Ma è vero: non bisogna eccedere in un’ottica centrata su dinamiche interne. Questo fa sottovalutare l’orizzonte più ampio, come è accaduto in Gran Bretagna».

Teme che la crisi politica porti il Paese a perdere di vista i propri interessi in Europa e nel mondo?

«Spero di no. L’Italia non è un sistema chiuso, né autosufficiente o marginale. Restiamo protagonisti sul piano internazionale. Siamo una realtà globale importante. L’industria realizza il quinto maggior surplus commerciale al mondo e la nostra economia funziona in interdipendenza con gli altri Paesi».

Qual è l’orizzonte che rischiamo di non vedere?

«Sta cambiando il contesto in cui eravamo inseriti e inseriti bene. Le tecnologie accelerano la fluidità. Pensiamo al G7, nato negli anni `70 con le prime sette economie del mondo di allora. Oggi due di queste, Italia e Canada, non sono più fra le prime sette e altre due fuori dal G7, Cina e India, lo sono. Fra vent’anni nessuno Stato europeo avrà un’economia fra le prime sette del mondo. Invece l’Unione europea e la stessa area euro, nel loro insieme, saranno saldamente sul podio delle tre grandi».

Lei conosce le critiche: con questo governo l’Italia si è isolata e ha perso peso.

«Non vedo l’Italia isolata. II vero punto, però, è l’influenza: tutti ambiremmo averne di più. Ma non è certo un problema nato oggi ed è una sindrome che ritrovo in tanti altri Paesi. L’Italia conta e aggrega quando presenta agli altri idee di qualità: per esempio, al Consiglio Esteri dell’Unione europea ho portato proposte concrete per governare i flussi migratori che stanno ricevendo attenzione e sostegno. Un altro esempio: si è detto che ci siamo isolati sulle sanzioni alla Russia, in realtà siamo sempre rimasti allineati ai nostri partner».

Si è sentito a disagio per l’adesione del governo alla Via della Seta della Cina?

«Semmai stupito, per la percezione fuorviante dell’accordo stesso. Anche in questo caso, non ho mai avuto dubbi sulla netta precedenza da dare alla lealtà verso le alleanze dell’Italia e alla sua sicurezza, rispetto ai rapporti commerciali. L’odierna fluidità delle relazioni internazionali scompiglia riferimenti, ma penso che dobbiamo mantenerne tre ben saldi: l’Onu, foro di discussione per la pace; il processo d’integrazione europea, via maestra per il futuro dei popoli d’Europa; la Nato e l’amicizia con gli Stati Uniti, garanzia di sicurezza di fronte a rischi vecchi e nuovi».

Non è una cornice multilaterale in crisi?

«Organismi come il G7, l’Organizzazione mondiale del Commercio, l’Onu o la stessa Ue necessitano di riforme. Occorre rinnovarli per rafforzarli. Ma ancor più, credo che l’Italia debba anche darsi alcune linee di proprio diretto interesse».

Quali sono le priorità?

«In questi mesi ne ho perseguite quattro. Primo, un Mediterraneo finalmente stabilizzato e pacificato, senza conflitti, che divenga una zona economica di libero scambio e un’occasione enorme per noi. Secondo, esiste una via marittima a semicerchio dall’estremo Oriente, via Sud Est asiatico, India e Golfo, fino al Canale di Suez e al Mediterraneo: una rotta che tocca aree fra le più dinamiche al mondo e al termine, i nostri porti in grado di imporsi quale porta d’ingresso in Europa. È un’opportunità eccezionale. Terzo, smettiamo di pensare all’Africa solo come origine dei migranti: è un continente dall’economia in crescita notevole, dove la democrazia avanza: lì possiamo fare investimenti, dare lavoro e favorire la formazione di dirigenti qualificati. Quarto, l’America del Sud con le naturali affinità, dove molti discendono da italiani: c’è grande interesse verso le nostre aziende e università».

Con questa visione di un’Italia aperta, si è mai sentito incompatibile nel governo uscente?

«Ho sempre lavorato proprio per prevenire o smussare quanto avrebbe potuto creare difficoltà. Di qui la necessità di operare il più sovente in silenzio, con lealtà, evitando la ribalta dichiaratoria e i battibecchi».

E se ora la Ue facilitasse la vita di un governo Pd-M5S, chiudendo un occhio su tutto pur di liberarsi del sovranismo leghista?

«Affinità o contrasti politici in Europa ci sono sempre stati e cresceranno con l’europeizzarsi dell’arena politica. Ma le regole restano le stesse ed è corretto attendersi dalle istituzioni Ue linee d’azione, valutazioni e decisioni assolutamente conformi ai loro doveri di indipendenza».

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