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Di Maio: “Non si batte il terrorismo nel Sahel se viene separato dal dossier libico” (La Stampa)

La minaccia terroristica in Libia, così come in altre aree, ad esempio il Sahel, è autentica e l’Italia è pronta, attraverso un approccio olistico ma con una visione più ampia che affronti questioni tra loro legate”. Lo dice il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in questa intervista esclusiva a La Stampa, dopo il suo intervento alla Conferenza della Sicurezza di Monaco. In questa 56esima edizione l’Italia ha ritrovato voce dopo qualche anno vissuto in sordina. Il ministro è soddisfatto del blitz bavarese; ha partecipato al vertice del Follow Up Committee (la struttura a livello ministeriale per far avanzare l’agenda berlinese sulla Libia), ha incontrato l’omologo iraniano Zarif al quale ha chiesto lo sforzo dell’Iran a riattivare le politiche di non proliferazione e ha incassato un’apertura notevole dalla Germania che per bocca di Kramp-Karrenbauer, ministra della Difesa, ha proposto di allagare il team degli E3 (Francia, Germania e Regno Unito) all’Italia sul dossier iraniano. Una proposta che ci fa piacere, ragiona Di Maio, ma “è appunto un’apertura, solo quello per ora, dobbiamo ragionare”. Va a passo più spedito sul dossier libico il ministro, l’Italia avrà la co-presidenza del Follow Up Commitee (per questo mese) che si riunirà il prossimo 19 marzo a Roma. «Non bisogna essere Alice nel paese delle meraviglie, lo vedo che continuano a esserci razzi su Mitiga, che si combatte, che ci sono violazioni della tregua». Eppure, prosegue Di Maio, ci sono spiragli.

Quali?

«Ho visto Haftar il 17 dicembre, era refrattario ad accettare un percorso come quello avviato il 19 gennaio a Berlino. L’ho incontrato questa settimana, ora riconosce che quella via può essere la soluzione».

Ad Haftar ha parlato dello sblocco dei pozzi petroliferi, l’ha trovato disponibile anche su questo terreno?

«Diciamo che è disposto al dialogo, ma da qui a dire che toglierà il blocco nei prossimi giorni è prematuro. Questo è un tema chiave, non solo lo stop alla produzione sta paralizzando e impoverendo il Paese e la gente, ma fra un po’ Tripoli dovrà attingere alle riserve. Il governo non avrà più i soldi per pagare gli stipendi – anche a quelli della Cirenaica – e la situazione diventerà ancora più instabile».

L’embargo delle armi è quantomai urgente. Stando alla contabilità dell’Onu ci sono state 150 violazioni della tregua. Come pensa lo si debba implementare?

«Ne parleremo domani (oggi, ndr) a Bruxelles con i ministri degli Esteri. Ma per noi significa prima di tutto monitoraggio aereo. Il pattugliamento dei cieli ci consentirebbe anche di visionare i confini terrestri e scoprire le violazioni. Ovviamente serve anche un pattugliamento marittimo e terrestre».

Considera praticabile l’ipotesi di una missione militare europea? Da più parti, anche dal Pd si è parlato di “boots on the ground” in caso di necessità.

«Parlare di una missione militare europea è improprio. Il vero tema è sfruttare il mandato che la risoluzione delle Nazioni Unite ha garantito per far rispettare l’embargo. Il pattugliamento aereo non lo faremo certo con i Cessna, ma riferirsi a una “posture militare” europea è complicato».

Parlare di embargo con al tavolo due dei soggetti, russi e turchi, che hanno un ruolo nell’influenzare il conflitto in Libia sembra quasi paradossale, non trova?

«Abbiamo concepito la Conferenza di Berlino anche per avere al tavolo proprio gli “influencer”. Se l’Italia e l’Europa hanno perso terreno è perché i libici, da entrambe le sponde, chiedevano armi e soldati. Ma adesso sia Sarraj sia Haftar convengono che devono discutere e dialogare. E in questo clima noi, italiani ed europei, possiamo riprendere terreno. Il Comitato militare intralibico 5+5 ha iniziato a lavorare, è un passo importante».

Ministro, si fida dei francesi?

«Mi fido della Ue. Tutti ora stanno convergendo sullo schema “berlinese”. È un momento di svolta, da afferrare».

Parigi è in difficoltà nel Sahel e ha chiesto una mano agli europei, l’Italia ci sta?

«La stabilizzazione lì non è solo militare. Serve un approccio olistico, gli strumenti per fare questo la Ue li ha nella sua cassetta degli attrezzi: favorire la crescita economica e lo sviluppo sociale è decisivo. Ai miei omologhi ho detto e oggi ribadirò: se si parla di Sahel noi ci siamo, ma vincoliamo il tema al pacchetto libico. D’altronde la sicurezza dell’area passa proprio per la Libia, è lì che finiscono i mercenari e combattenti che vengono anche dai confini meridionali. Ma c’è un’altra questione importante, che spesso si sminuisce».

Quale?

«Sono i Paesi dell’Ecowas (la cooperazione dell’Africa nord occidentale) a dover ricoprire un ruolo. La leadership deve essere soprattutto africana, attraverso le Organizzazioni regionali di riferimento».

Cosa ha detto a Zarif?

«Per noi è fondamentale che l’Iran riattivi l’accordo di non proliferazione nucleare. L’Italia ha con l’Iran legami culturali importanti e questo è un canale che ci consente di tenere “ingaggiato” Teheran. Ci sono sensibilità diverse nella comunità occidentale, ma noi siamo per il dialogo a oltranza per abbassare la tensione nella regione».

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