Milioni di Musulmani stanno celebrando il Ramadan in tutto il mondo in questi giorni. Il Ramadan indubbiamente costituisce non solo un altissimo momento spirituale, ma anche un’occasione di riflessione sul senso della vita di ciascuno e delle comunità. Pochi giorni fa Cristiani ed Ebrei hanno celebrato la Pasqua e la Pesach. E nel mondo domina il Covid-19. Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite ha lanciato un appello per il cessate-il-fuoco, accolto subito da Papa Francesco, sostenuto poi dall’Alto Rappresentate della Commissione Europea Borrell e da molti paesi nel mondo, tra cui l’Italia.
Poche ore fa è giunta la notizia che il generale Khalifa Haftar ha annunciato un cessate-il-fuoco unilaterale durante il mese sacro del Ramadan, dando ordine che le operazioni militari vengano interrotte. E pensare che solo poche ore prima Haftar aveva attaccato un ospedale a Tripoli con dei razzi. Vedremo se quest’annuncio avrà un seguito e se alle parole seguiranno fatti concreti in grado di rivitalizzare il processo negoziale stabilito alla conferenza di Berlino. Volgendo lo sguardo all’Afghanistan i Talebani hanno affermato chiaramente che non applicheranno il cessate-il-fuoco durante il Ramadan perché la tregua non è razionale, intensificando piuttosto gli attacchi contro le forze governative. E’ possibile dunque un cessate-il-fuoco globale?
Partiamo dall’utilità di una simile misura. Si tratta di una sospensione temporanea della violenza che pur non risolvendo il conflitto, costituirebbe di certo un primo passo. Numerosi i vantaggi: cambia di fatto lo scenario sul piano politico, perché il cessate-il-fuoco consente di riflettere, allentare la tensione, apre la possibilità di un negoziato che quando le ostilità sono al culmine non è possibile.
Consente alla popolazione di riacquistare una parvenza di normalità nel quotidiano, permette di riattivare un dinamismo positivo nella società, permettendo anche ad attori che nel conflitto hanno ridotta possibilità di azione, di operare per la pace. L’effetto più importante del cessate-il-fuoco, però, è l’interruzione del ciclo della violenza, che genera ogni tipo di reazione e conseguenza: se si interrompe la violenza, si può ritornare a un certo grado di razionalità – contrariamente a quanto affermano i Talebani – che può aprire la strada a un cambiamento di rotta.
Ma il cessate-il fuoco non è sufficiente di per sé. Servono posizioni politiche chiare, un impegno dichiarato apertamente, un obiettivo definito, altrimenti si rischia che i buoni propositi svaniscano rapidamente. Serve una guida forte anche perché il cessate-il-fuoco deve essere il frutto anche di un consenso di tutti gli attori coinvolti nel conflitto, da ciascuna parte. Si deve essere in grado di rispondere alla paura che permane, alla diffidenza, alla perplessità.
Il sospetto che il cessate-il-fuoco venga utilizzato (come talvolta è purtroppo accaduto) per prendere tempo, per riorganizzarsi per il conflitto attraverso lo stoccaggio di nuovi armamenti piuttosto che per preparare un negoziato di pace, può sortire l’effetto contrario, portando le parti a rafforzare l’atteggiamento di ostilità più che a cominciare la de-escalation. Come in tutti i processi politici, la fiducia resta sempre l’elemento fondamentale, come ci insegna il grande sociologo Piotr Sztompka. Riacquistare la fiducia o costruirla ex-novo è un processo lungo, che può essere anche molto affollato da persone, parole, azioni. Mettere ordine è fondamentale.
L’appello di Guterres è chiaro: oggi c’è solo una battaglia da vincere, ed è quella di tutti, uniti contro il Covid-19. Se non si attua concretamente il cessate-il-fuoco subito, non si possono consegnare aiuti alle popolazioni più vulnerabili al Covid-19 nel mondo. Le conseguenze della diffusione del virus in contesti fragili sono di tipo economico ma anche sociale, securitario.
L’impossibilità di esercitare i diritti civili, ad esempio, considerato che diverse elezioni sono state posposte nel mondo a causa della pandemia – può portare a disordini, a recrudescenze di violenza e terrorismo, per non parlare dello sfruttamento della situazione di incertezza e vulnerabilità da parte di gruppi criminali tra cui i trafficanti di esseri umani. Il cessate-il-fuoco permetterebbe agli aiuti umanitari di raggiungere le popolazioni più vulnerabili alla diffusione del Covid-19.
Ad oggi l’appello delle Nazioni Unite per il cessate-il-fuoco ha visto l’adesione di numerosi paesi, leader religiosi, organizzazioni della società civile e altri in tutto il mondo, ma vi è incertezza su quello che si possa ottenere sul terreno. Invece, ecco le buone notizie: una importante risposta sembrerebbe arrivare da alcuni gruppi armati nei conflitti in Yemen e Siria, Cameroon, Filippine, Myanmar, Colombia. L’Ejercito de Liberación Nacional (ELN) colombiano ha annunciato per il mese di Aprile il cessate-il-fuoco.
In Siria resta necessario che le armi tacciano in tutto il territorio nazionale, anche perché i primi casi di Covid-19 sono stati registrati, ormai, ed è un segnale preoccupante considerati i sei milioni e mezzo di sfollati nel paese, già vessati da anni di conflitto. Purtroppo invece nello Yemen – dove è in atto la più grave crisi umanitaria nel mondo – a metà aprile i combattimenti tra gli Houti e le forze leali al governo in esilio sono ricominciati, nonostante fosse stato dichiarato unilateralmente un cessate-il-fuoco da parte dei Sauditi come segnale di consapevolezza rispetto alla pandemia da Covid-19.
L’Italia ha appoggiato subito l’appello di Guterres per un cessate-il-fuoco globale. Fa parte dei principi costitutivi stessi ispiratori della nostra politica estera. Siamo un paese molto attivo sia sul piano politico sia su quello umanitario – piano altrettanto politico – nel mondo, nei conflitti. Svolgiamo un ruolo fondamentale in molti processi di pace con azioni coordinate e continuate di tipo civile e militare sul terreno. L’Italia è membro ad esempio del Gruppo di amici di “Donne, Pace e Sicurezza” nonché del Gruppo di Amici di “Bambini e conflitti armati”, e del gruppo di amici della “Protezione dei Civili”. E’ chiaro che il cessate-il-fuoco resta una misura soggetta a instabilità.
E’ chiaro che fare un appello al cessate-il-fuoco nel contesto della pandemia vuol dire richiamare l’attenzione degli stati sul proprio interesse nel favorire un processo di de-escalation. E sugli interessi si deve lavorare se si vuole assicurare la riuscita del progetto più ambizioso del mondo, ovvero la pace. Ma non è sufficiente aderire idealmente a un appello. L’Italia può avere un ruolo veramente significativo per trasformare in azioni concrete e durature il proposito di un cessate-il-fuoco globale.
Può contribuire concretamente, per la sua reputazione di paese senza agenda nascosta, lavorando sui benefici che deriverebbero dal cessate-il-fuoco per le parti, soprattutto nell’ottica convincente per tutti dei rischi della diffusione della pandemia che porterebbe a un contagio di ritorno e comunque manterrebbe il virus in circolazione ad libitum. I paesi membri dell’UE discutono su come garantire un aiuto concreto all’Africa, ai paesi fragili proprio nel quadro delle interconnessioni e interdipendenze evidenti tra il nostro continente e gli altri.
Identificare insieme agli alleati benefici concreti da mettere sul tavolo nei contesti di conflitto soprattutto sul piano umanitario offre un sostegno enorme all’appello di Guterres, in questo modo anche rassicurando le parti in conflitto. Se da un lato il cessate-il-fuoco è una misura facilmente strumentalizzabile, e in qualche caso può avere ricadute negative, l’idea di renderlo una misura globale e basata soprattutto sull’umanitario appare vincente, anche se può essere difficile da veicolare sul piano locale, tra le parti nei singoli conflitti.
E qui intervengono gli operatori sul terreno, che hanno accesso alle comunità più remote, con contatti diretti. L’Italia in questo può e deve contribuire, perché la dimensione globale le appartiene, in quanto attivissima a livello multilaterale, con amicizie forti con il mondo a livello bilaterale, e soprattutto come contributore di molte organizzazioni internazionali che necessariamente dovrebbero essere coordinate in questo sforzo collettivo.
Al Consiglio di Sicurezza dell’ONU si discute il testo di una Risoluzione sul cessate-il-fuoco globale, fortemente auspicata. L’Italia con il suo straordinario soft power fatto di cultura, empatia naturale e affidabilità, porta da sempre avanti l’obiettivo del cessate-il-fuoco nella sua azione come presupposto di processi politici inclusivi per la gestione delle crisi, forte della partecipazione di tutti gli attori del sistema paese, dal mondo della politica e della diplomazia alla società civile, al privato.
Il Covid-19 – con l’iniziativa di Guterres – ci insegna che questo è il momento del coraggio. Se questa emergenza sanitaria ci porta a mettere le basi per un ordine globale futuro più equo e sostenibile, che l’Italia prenda in mano ancora più concretamente la causa del cessate-il-fuoco, mettendo in campo le sue grandi doti di paese portatore di pace e democrazia.