Caro direttore, vorrei condividere con lei e con i suoi lettori la gioia per aver riportato a casa, dopo una lunga prigionia in mano a gruppi terroristici, padre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiacchio, che ho accolto a Ciampino insieme al Presidente del Consiglio. Si è trattato di un’operazione assai complessa, resa ancora più difficile dall’intricatissimo contesto regionale. La liberazione dei nostri connazionali è stata resa possibile solo grazie allo straordinario lavoro dell’Aise e di tutti i competenti apparati dello Stato, a cominciare dalle donne e dagli uomini del Ministero degli Affari Esteri e dell’Unità di Crisi della Farnesina. Importante è stata anche la collaborazione delle Autorità maliane, pur nella delicata fase di transizione che sta attraversando il Paese a seguito del colpo di Stato dell’agosto scorso. In poco più di un anno, abbiamo riportato a casa sette connazionali che erano nelle mani di gruppi terroristici od organizzazioni criminali. Si tratta di un innegabile successo della diplomazia italiana nel tutelare i connazionali all’estero. Un successo che deve renderci orgogliosi e che, lungi dall’essere casuale, è il frutto di una nostra precisa caratteristica negli scenari internazionali che pone inclusività, dialogo, pazienza, talvolta resilienza, al primo posto nelle relazioni internazionali. Si tratta, in altre parole, della massima espressione del cosiddetto soft power, ossia l’abilità di persuadere attraverso risorse non tangibili ma fondamentali quali la cultura, i valori, il modo di essere e di porsi nel dialogo con l’altro. E certamente padre Maccalli, con il suo impegno a fianco dei meno fortunati, ha contribuito a costruire il nostro «solido soft power», così come fanno quotidianamente tutti i volontari, religiosi e laici, che dedicano la vita ad aiutare il prossimo in contesti difficili e pericolosi. D’altra parte, credo che l’Italia, per la sua storia, la sua posizione geografica, la sua anima profonda e la sua apertura al mondo, incarni al meglio la capacità di usare il soft power per la realizzazione delle priorità di politica estera. E un dono naturale, la sintesi di un’evoluzione fortunata. In particolare, nei rapporti con i Paesi africani, abbiamo sviluppato il nostro soft power attraverso programmi di sviluppo e di emancipazione basati sul rapporto interpersonale. L’Africa rappresenta la priorità della nostra cooperazione allo sviluppo: è un continente a noi vicino, non solo geograficamente, nel quale vogliamo essere sempre più presenti. Vorrei ora soffermarmi su quanto l’Italia sta facendo per la stabilizzazione della regione del Sahel, area attraversata da una enorme turbolenza creata dal crollo dello Stato libico e aggravata dalla proliferazione di gruppi armati affiliati alle principali sigle terroristiche. In tale contesto così difficile, l’Italia è presente non solo attraverso l’opera lodevole di volontari e missionari come padre Maccalli, ma anche tramite un articolato sistema di collaborazione, riconducibile allo Stato, che tocca numerosi aspetti: dalla cooperazione allo sviluppo a quella nell’ambito della sicurezza, dal sostegno alla società civile basata su valori universali come la libertà di religione alla collaborazione in materia migratoria. Per sostenere questo impegno, di cui siamo fortemente convinti, nel 2017 abbiamo aperto un’Ambasciata in Niger, nel 2019 abbiamo fatto altrettanto in Burkina Faso e stiamo lavorando per aprire una Rappresentanza diplomatica anche in Mali. Si tratta di un percorso lungo e non privo di rischi, ma siamo pronti a percorrerlo fino in fondo perché sappiamo che la sicurezza e la stabilità del Sahel sono la nostra sicurezza. E anche perché ci sono tanti padri Maccalli nel mondo che non possono essere lasciati soli e, con il loro esempio, ci spronano a impegnarci al massimo per plasmare un mondo migliore.