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Del Re: «Un accesso libero per gli aiuti ai profughi» (Avvenire)

L’Italia chiede accesso umanitario ampio e senza riserve nel Tigrai attraverso la Vice Ministra agli Affari Esteri e alla Cooperazione internazionale Emanuela Del Re. E dall’Etiopia, dopo giorni di smentite, arrivano le prime aperture. Tutte da verificare nei prossimi giorni, ma la pressione internazionale per l’apertura agli operatori umanitari è diventata forte su Addis Abeba. Prima l’intervento una decina di giorni fa di Josep Borrell per l’Ue che ha sospeso 88 milioni di euro di aiuti al Paese africano subordinandoli all’evoluzione umanitaria, poi la preoccupazione per il precipitare della situazione espressa la settimana scorsa da Londra e poi da Parigi. Intanto l’Alto commissario delle Nazioni Unite peri rifugiati Filippo Grandi prosegue la pressione sul governo federale per entrare nei campi profughi di Hitsats e Shimelba. Quindi l’amministrazione Biden che da una parte ha intimato all’Eritrea di ritirarsi immediatamente dal Tigrai (Asmara ha smentito la presenza di proprie truppe, ndr) dall’altra con la nuova ambasciatrice in Etiopia ha teso una mano ad Abiy Ahmed affermando che il conflitto è stato provocato dal Tplf. Ora l’Italia.

«Riteniamo fondamentale e urgente rafforzare lo staff delle Nazioni Unite e di altri partner umanitari in Tigrai – dichiara la viceministra Del Re – per ampliarne la capacità operativa. Siamo pronti a organizzare nuovi aiuti in particolare in campo sanitario con il concorso della Croce Rossa. Chiediamo il sostegno del governo etiope per ottenere le autorizzazioni necessarie. In virtù della lunga amicizia con Addis Abeba, nostro primo partner subsahariano, sappiamo che occorre muoversi con pragmatismo. E la priorità va data all’assistenza e alla protezione umanitaria urgentemente necessarie in tutte le aree e popolazioni colpite dal conflitto».

Come valuta la situazione umanitaria?

«Complessa e preoccupante. Le organizzazioni umanitarie non hanno la possibilità di raggiungere le zone centrali e occidentali della regione e sappiamo che due campi di rifugiati eritrei sono inaccessibili. E dove si è riusciti a entrare, l’accesso è stato limitato alle vie principali del capoluogo Macallè. Per cercare di passare bisogna affrontare una burocrazia complicata e questo rallenta il loro lavoro. Perciò, lo ripeto, abbiamo chiesto all’Etiopia di lanciare un messaggio forte al mondo nel garantire un accesso umanitario ampio e senza riserve, in linea con i principi e gli standard internazionali. Occorre creare un flusso costante e consistente di aiuti e proteggere rifugiati e sfollati. Mai come questa volta permettere l’accesso è una scelta politica particolarmente positiva».

Come ha risposto l’Etiopia all’appello italiano di apertura del Tigrai?

«Con segnali incoraggianti. Avevo già avuto un colloquio con la coordinatrice degli aiuti, la ministra della Pace Muferita Kamil prospettando le nostre difficoltà nel mandare aiuti concreti. Ho appena parlato con Redwan Hussien, ministro di Stato agli Affari Esteri dell’Etiopia, per aggiornarlo sugli aiuti che manderemo. Spero che nelle prossime ore ci siano sviluppi concreti».

Cosa la preoccupa in particolare?

«Le violenze interetniche, la situazione degli sfollati e la fuga dei profughi in Sudan. E il collasso del settore sanitario nella regione, con numerosi ospedali che segnalano carenze di beni e personale e che incontrano crescenti difficoltà nel venire in aiuto delle persone colpite dal conflitto o da malattie croniche».

I rapporti sono drammatici e mettono il dito nella piaga dei ritardi degli aiuti..

«Tamponare l’emergenza umanitaria è prioritario, poi va costruito un futuro di pace. In vista della missione del ministro degli Esteri finlandese Haavisto che su incarico di Borrell si recherà ad Addis Abeba e a Khartum, in stretto coordinamento con i partner europei, noi continuiamo a intensificare gli sforzi diplomatici». 

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