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Tajani: «Armi e sanzioni, l’Italia resta al fianco di Kiev, ma per ora no a nuovi decreti» (La Repubblica)

Tajani: «Armi e sanzioni, l’Italia resta al fianco di Kiev, ma per ora no a nuovi decreti» (La Repubblica)
Tajani: «Armi e sanzioni, l’Italia resta al fianco di Kiev, ma per ora no a nuovi decreti» (La Repubblica)

«Noi vogliamo la pace in Ucraina. Ma a un anno dall’inizio di questa disastrosa guerra che ha provocato migliaia di morti sappiamo che la si può raggiungere solo continuando ad armare l’esercito di Kiev. L’Italia sta dalla parte del popolo ucraino e farà di tutto perché la soluzione finale non sia una resa sotto l’oppressore russo. Per essere chiari: il governo del quale sono Ministro degli Esteri e Vicepremier è saldamente ancorato all’Europa, agli Stati Uniti, all’Occidente».

Antonio Tajani è seduto su una poltrona bianca del suo ufficio al primo piano della Farnesina. Tono risoluto ma aria rilassata, abito gessato su una camicia bianca sbottonata, senza cravatta. Sarà perché sono trascorse poco più di 24 ore dal voto delle Regionali in Lombardia e nel Lazio, e quelle urne hanno decretato l’esistenza ancora in vita di Forza Italia. Non era scontato. Sotto il 10, ma il partito tiene. È il collocamento internazionale del nostro Paese che ha rischiato invece di subire un contraccolpo dopo l’uscita anti-Zelensky di Silvio Berlusconi, a urne aperte, domenica sera.

Ministro, facciamo chiarezza. Dopo quel che ha dichiarato il leader del suo partito si può ancora dire che l’Italia sostiene appieno la resistenza ucraina? Non si apre al contrario una crepa rispetto alla linea dettata dal premier Meloni in questi primi mesi di governo?
«L’Italia non ha alcun ripensamento, lavora per la pace e per l’indipendenza dell’Ucraina, al fianco della Nato e dell’Europa. Questo non vuol dire che invieremo armi in grado di attaccare la Russia, non siamo certo contro il popolo russo, ma sosteniamo appieno Kiev e la sua resistenza».

Ammetterà che le parole di Berlusconi non sembravano altrettanto nette.
«Contano i fatti. E il nostro presidente, vorrei si ricordasse, ha votato in Parlamento europeo le risoluzioni contro l’aggressione russa. A cominciare da quella durissima del primo marzo del 2022».

Eppure il Ppe del quale siete autorevoli esponenti ha preso le distanze dalle parole di domenica scorsa dell’ex premier.
«Berlusconi vuole la pace. Ma la linea dettata ai gruppi, in Italia e in Europa, non si è mai discostata da quella del Ppe, a Bruxelles, e del Parlamento italiano, a Roma. Anche lui ha espresso sempre i suoi voti schierandosi con Kiev. Detto questo, Berlusconi è l’uomo che ha portato Russia e Stati Uniti a stringersi la mano a Pratica di Mare. Il problema è che i tempi non sono più quelli, purtroppo».

Ma tosi facendo, l’Italia non rischia di trasformarsi nell’anello debole della coalizione occidentale? Potrebbe addirittura uscirne?
«L’Italia non è un anello debole. Cercare una soluzione per fermare le armi non vuol dire essere deboli. Si tratta solo di favorire il percorso di pace nel modo più appropriato. Quello cioè che garantisca l’indipendenza dell’Ucraina e al contempo la fine delle ostilità».

Una pace o una resa?
«La pace. Senza dubbi. Pace che non può passare dal disarmo dell’esercito ucraino. Al contrario. Armi ma non solo. Noi stiamo cercando di garantire in tutti i modi anche la piena assistenza umanitaria: approvvigionamenti sia ai militari ma anche e soprattutto direi ai civili. Ma mai, dico mai, sono venuti meno i nostri voti per l’invio di armi».

A questo proposito, a che punto è il nuovo decreto? Era in cantiere per febbraio, al più i primi di marzo. II governo Meloni invierà altre armi come si è impegnato a fare con gli alleati?
«Il Parlamento ha autorizzato l’invio e abbiamo già varato il sesto decreto nelle scorse settimane. Io e il Ministro Crosetto lo abbiamo illustrato in modo approfondito al Copasir. Ora stiamo lavorando con i francesi per inviare al più presto un sistema di difesa aerea (il Samp-T, ndr). Un nuovo decreto non è in preparazione. Ma in ogni caso Forza Italia lo voterebbe».

Continuerete a sostenere anche le sanzioni contro la Russia?
«Continueremo nella strada intrapresa se non ci saranno segnali di cambiamento da parte di Mosca. Chi ha violato il diritto internazionale è la Federazione Russa. Da qui l’esigenza di difendere l’indipendenza dell’Ucraina e lavorare per la ricostruzione».

In che modo?
«Tra marzo e aprile organizzeremo una conferenza italiana proprio finalizzata a ritagliarci un ruolo nella ricostruzione. Sarà un consesso aperto alle imprese. Siamo in grado di esportare il nostro saper fare e riteniamo giusto che chi si è battuto al fianco dell’Ucraina possa contribuire alla ricostruzione».

Torniamo in Italia, Ministro. Ha vinto la “destracentro”, come rilanciano i vostri alleati di Fdl?
«Nel Lazio Forza Italia ha guadagnato due punti e mezzo rispetto alle Politiche, in Lombardia abbiamo tenuto. C’è uno spazio importante per noi. Fratelli d’Italia è cresciuto ma non a nostre spese. Il centro dello schieramento restiamo noi: i liberali, i garantisti, i riformisti».

Non siete a rischio estinzione dunque?
«Non direi proprio. Vedo spegnersi piuttosto le velleità del Terzo Polo».

Non teme, anche alla luce della crescita esponenziale di Fdl, una deriva a destra del governo?
«No, perché ci siamo noi, il centro dello schieramento. E poi c’è un equilibrio nella coalizione. Io e Salvini siamo vicepremier. E Berlusconi resta uno straordinario elemento di garanzia nel centrodestra».

Vi siete fatti piacere anche la riforma leghista dell’Autonomia, nonostante le perplessità dei governatori meridionali.
«Quella riforma è stata corretta grazie alle nostre indicazioni, accettate per altro senza contrapposizione dal Ministro Calderoli. Abbiamo evitato che le regioni meridionali potessero essere danneggiate dalla nuova autonomia».

Non sono mancate le contrapposizioni nel governo.
«No, solo una discussione aperta. Il centrodestra resta unito nei passaggi importanti. Noi vogliamo governare guardando al futuro con una visione di crescita, ma non perdendo mai di vista i più deboli».

Cambierete le linee guida del Pnrr in Consiglio dei Ministri?
«Non va stravolto, ma reso più flessibile. Lasceremo il quadro invariato ma cercheremo di adattarlo alle nuove esigenze del Paese, mutate rispetto a quando il Recovery è stato pensato, sotto pandemia».

Il Ppe potrebbe allearsi con i conservatori europei di Meloni dopo il voto per il rinnovo del Parlamento europeo del prossimo anno?
«Io sono favorevole. Penso che una collaborazione con i socialisti sia ormai improbabile. Vedremo quali saranno i numeri dopo le elezioni, ma è la strada da seguire».