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Tajani: “La Russia esce indebolita dalla crisi ma noi non siamo in guerra con Mosca” (La Stampa)

Tajani: “La Russia esce indebolita dalla crisi ma noi non siamo in guerra con Mosca” (La Stampa)
Tajani: “La Russia esce indebolita dalla crisi ma noi non siamo in guerra con Mosca” (La Stampa)

Nel caos arrivato fino alle porte di Mosca, mentre i militari della Wagner tentavano un colpo di Stato e in Russia si sfiorava la guerra civile, «abbiamo mantenuto i nervi saldi», assicura il ministro degli Esteri Antonio Tajani, ben cosciente che questo «possa rappresentare un punto di svolta», anche nella guerra in Ucraina. Oggi ne discuterà in Lussemburgo al vertice dei ministri degli Esteri dell’Ue, e per mercoledì Giorgia Meloni ha annunciato delle comunicazioni in Parlamento, ma una cosa, per Tajani è già chiara: «La Russia è più debole. Sono emerse crepe importanti nel suo sistema militare, che aveva la Wagner come fiore all’occhiello. Per Mosca sarà una perdita importante». In Ucraina come nel Nord Africa, perché «la Wagner ha sempre avuto un’influenza nefasta in quelle zone, destabilizzando la regione e incidendo sui flussi migratori. Adesso ci sono queste divisioni, ma — sottolinea più volte nel corso della telefonata— noi non interferiamo nella vita politica russa».

La debolezza però è anche nella leadership di Putin. In strada, a Rostov, si applaudiva il capo della Wagner, Yevgheny Prighozin.

«Colgo la spaccatura, ormai evidente anche nell’opinione pubblica russa, e Putin non ne esce più forte. Detto questo, non abbiamo mai pensato di sostenere il leader della Wagner. Vorrei che fosse chiaro: non siamo in guerra con la Russia. Noi difendiamo l’indipendenza dell’Ucraina, non agiamo per intervenire in Russia».

Putin rischia di vedere la fine del suo regime, ma guida pur sempre una potenza atomica. È questo a dettare prudenza?

«C’è chiaramente un elemento di preoccupazione. Nel pomeriggio c’è stata una riunione delle unità di crisi di tutta l’Unione europea, al quale ha partecipato anche l’unità di crisi americana. Restiamo vigili».

Si temevano ripercussioni sui cittadini europei in Russia?

«La situazione era molto delicata, ma abbiamo contattato uno per uno gli oltre 5300 cittadini italiani che vivono in territorio russo e stanno tutti bene. In quelle ore convulse li abbiamo invitati alla massima prudenza e a non uscire di casa. Sono arrivate alla Farnesina anche tante chiamate di amici e parenti di italiani in Russia, ma adesso non c’è rischio».

Il presidente Usa Joe Biden ha chiamato i leader di Francia, Germania e Inghilterra. Non l’Italia.

«Ma c’è grande considerazione da parte degli Stati Uniti. Abbiamo partecipato al G7 con Blinken, nella giornata di sabato, e Blinken stesso, durante la conferenza stampa con me, ha riservato parole di elogio al governo italiano e al presidente Meloni. L’Italia è fondamentale, perché grazie a noi si garantisce l’unità del fronte europeo e questo deve essere tenuto a mente da tutti».

Continueremo a inviare armi in Ucraina?

«Finché è in pericolo la loro indipendenza, li aiuteremo. Vedremo in quale modo e in quale forma. Se necessario anche con le armi, informando come sempre il Parlamento».

Il nostro aiuto potrebbe comunque non prevedere più l’invio di materiale bellico.

«Stiamo già lavorando per la ricostruzione, ad esempio. Ricordo anche quando abbiamo mandato circa 100 tonnellate di materiale elettrico per evitare che l’Ucraina venisse messa in ginocchio dalle offensive russe. Non esistono solo gli aiuti militari. Si può fornire un aiuto anche di tipo civile e strategico».

L’Italia spinge per un ingresso dell’Ucraina nella Nato?

«Non è ancora il momento per un suo ingresso nella Nato, prima si deve arrivare alla pace, ma si possono compiere i primi passi verso un’adesione già al vertice dell’Alleanza atlantica che si terrà a Vilnius a luglio, dando vita al Consiglio Nato-Ucraina, che l’Italia sostiene con convinzione».

Crede che ora la pace sia più vicina?

«Mi auguro che la Russia comprenda che è arrivato il momento di ritirare l’esercito. Pensava a una guerra lampo, un anno fa, e invece ora esplodono problemi interni e i loro militari arretrano. Il messaggio è chiaro: la Russia deve fare marcia indietro e arrivare a un cessate il fuoco».

Che segnale coglie dalla freddezza con cui hanno reagito gli alleati di Mosca durante il tentato colpo di stato?

«Deve far riflettere i russi. La guerra non conviene a nessuno, neanche ai Paesi a loro più vicini, compresa la Cina, che può spingere la Russia a tornare sui suoi passi e svolgere un ruolo per la pace, con un’Ucraina libera».

Passando a temi di politica interna, qual è il destino di Forza Italia senza Berlusconi?

«Non è un partito allo sbando. Ha perso il leader, ma nei territori c’è una grande mobilitazione e tutti i sondaggi ci danno in crescita. Siamo un partito decisivo nel centrodestra. E ora inizia il percorso che in un anno ci porterà al congresso».

Lei si candiderà?

«Non pensiamo alle candidature, pensiamo a lavorare per costruire e consolidare un progetto politico che ha bisogno di idee e di lavoro quotidiano. Un anno in politica equivale a una vita».

A proposito, di questo passo tra un anno rischiamo di non aver ancora ratificato il Mes. Ormai quello di Meloni sembra un ricatto nei confronti di quei Paesi che l’hanno ratificato pur sapendo che non lo utilizzeranno.

«Non parlerei di ricatto. Ci sono tante altre riforme che sono ferme, come l’unione bancaria o l’armonizzazione fiscale. E poi chi gestisce il Mes deve essere soggetto al controllo del Parlamento europeo. Non si può lasciare nelle mani dello stato più forte».

In Grecia sembra che le elezioni portino a un nuovo governo di Kyriakos Mitsotakis, che è vostro alleato nel Partito popolare europeo.

«È un successo importante: per la Grecia innanzitutto, perché conferma un percorso di stabilizzazione e di consolidamento politico ed economico di un paese fratello che ha vissuto anni di dolore e incertezza. Mitsotakis continuerà a lavorare con forza per il bene della Grecia, ma il suo partito darà un fortissimo contributo al ruolo del Partito popolare europeo e alla capacità dei popolari di far marciare avanti sempre più sicuro il progetto europeo».