Il venerdi nero con gli attacchi terroristici in Tunisia, Francia e Kuwait non nasce dall’ordine di attacco di una supercentrale terroristica. Non un comando unico ma un’unica crisi lega i diversi episodi e impone di fronteggiarli con un’ottica globale. Il che vale in particolare per l’Italia, che la geografia e la storia collocano al centro del teatro della crisi, il Mediterraneo. Non si è trattato di una fiammata improvvisa. Dal 7 gennaio al 26 giugno, le date scandiscono il ritmo degli attentati e del nostro sgomento. Un largo riconoscimento politico e culturale dell’ampiezza della sfida storica che affrontiamo è dunque sempre più necessario.
Quest’anno emerge con forza inusitata, nel Mediterraneo, la sfida di Daesh (Isis). Daesh controlla una parte importante del territorio di Iraq e Siria, e questa è una delle sue pericolose novità. L’altra è che si pensa anzitutto come attore mediatico ed in questo modo entra nelle nostre vite: è forte quando riesce a catturare l’attenzione, oltre che il territorio; è forte quando il suo “marchio” riesce a reclutare e a influenzare, quando i suoi “simboli” (tra cui il simbolo di Roma, che vuole toccarci direttamente) sanno impaurire e generare effetti politici e sociali. Anche per questo, la lotta contro Daesh richiede una strategia a più livelli, dove l’azione militare è certo decisiva, e ci vede impegnati su diversi fronti. Ma ad essa vanno affiancati strumenti di prevenzione e di contrasto in grado di incidere sulle nuove forme di reclutamento. Occorre un coinvolgimento sempre più stretto delle comunità musulmane sui nostri valori condivisi, contro il messaggio di intolleranza e di odio che giunge dal terrorismo. Inoltre, dobbiamo essere in grado di drenare le fonti di finanziamento di Daesh, attraverso una collaborazione internazionale di cui l’Italia è protagonista in quanto co-presidente del “Counter ISIL Finance Group”.
Più in profondità, abbiamo bisogno di una bussola concettuale, che richiede una consapevolezza storica dell’equilibrio del potere e dei conflitti del Medio Oriente, oltre a un approccio multilaterale. Il cuore di questa bussola concettuale è il riconoscimento della sfida cruciale della questione mediterranea. Infatti, oggi il Mediterraneo rappresenta molto di più del confine meridionale dell’Europa. Sempre di più, è la frontiera di civiltà in cui si incontrano tre continenti, con implicazioni culturali, politiche e di sicurezza di un rilievo senza precedenti.
Il “primato” del Mediterraneo nella politica estera italiana è, anzitutto, un principio di realtà per un paese con 8000 chilometri di coste ed esposto nel suo vicinato ai focolai di instabilità, anche nelle loro implicazioni economiche ed energetiche. Consideriamo inoltre il Mediterraneo, in quanto crocevia delle crisi e delle opportunità del ventunesimo secolo, lo spazio in cui l’Europa può e deve fare un salto oltre gli egoismi, per superare la crisi più pericolosa degli ultimi anni, quella che ha minato la fiducia reciproca degli europei. Oggi la questione mediterranea si incarna in tre temi principali, che dimostrano questa centralità.
II primo riguarda il terrorismo e l’instabilità. Affrontiamo un “arco di crisi” molto vasto, che nella sua estensione dal Golfo della Guinea al Pakistan vede nel Mediterraneo diversi epicentri di instabilità, determinati in particolare dagli scontri interni alle comunità islamiche e dalla fragilità statuale, dopo il crollo di numerosi tra gli Stati-nazione emersi dalla disintegrazione degli imperi e dal processo di decolonizzazione, divenuti oggi Stati falliti o Stati fragili. Analizzando il Medio Oriente nel suo ultimo libro, Henry Kissinger sostiene che in nessun altro luogo la sfida dell’ordine internazionale sia più complessa. La fragilità degli Stati, la caratteristica più evidente dall’attuale mappa del Mediterraneo e dovuta anche alla scarsa lungimiranza dell’ultima fase interventista, è il più grande regalo per gli estremisti che vogliono sfruttare per il loro vantaggio i tribalismi e gli scontri interni. Per questo l’esigenza di stabilizzare le aree più sensibili attraverso soluzioni non estemporanee, ma ampiamente condivise, merita tutta la nostra attenzione. Avere a che fare con controparti legittimate e in grado di esercitare un’effettiva “capacità statuale” è, infatti, l’unico modo per affrontare i problemi comuni in modo duraturo e realistico. Questo aspetto riguarda in primo luogo la Libia, la cui stabilizzazione è determinante per la stabilità di tutta l’area mediterranea e per il nostro interesse nazionale. La nostra azione bilaterale e internazionale è focalizzata sull’ampia condivisione necessaria alla distruzione dell’economia criminale del traffico di esseri umani, che minaccia la sicurezza di tutta l’Europa, e sul sull’accordo politico unitario e di compromesso sul governo libico, che l’Italia è pronta a supportare con i suoi mezzi e con un ruolo da protagonista.
Libia, Siria, Iraq: Stati la cui stessa sopravvivenza è oggi messa in gioco. Affrontarne le crisi è importante quanto battersi per impedire che altri Stati precipitino nella spirale dell’instabilità. In primo luogo oggi la Tunisia, terra delle promesse mantenute della Primavera araba. E paesi come Libano e Giordania, soggetti a una pressione migratoria quasi insopportabile. Capacità statuale e ricostruzione istituzionale sono temi essenziali della politica estera del ventunesimo secolo: come ricordato recentemente da David Miliband, metà della popolazione mondiale che si trova in povertà estrema oggi (nel 2030 saranno i due terzi) vive in Stati privi della capacità e della legittimazione per proteggere i loro cittadini, che ricevono soltanto il 38% degli aiuti umanitari. Bisogna invertire questa tendenza, e aiutare per costruire capacità istituzionali. Un nuovo ordine mediterraneo, con un ampio coinvolgimento multilaterale, deve essere la prova di questo metodo.
La seconda grande sfida del Mediterraneo riguarda l’Africa, continente il cui potenziale di crescita è enorme e in cui l’Italia può e deve essere protagonista. Proprio noi, che con i Paesi dell’area mediterranea abbiamo straordinarie relazioni economiche -50 miliardi di interscambio, siamo il quarto partner dell’area dopo Usa, Germania e Cina- possiamo cogliere le potenzialità del Mediterraneo come piattaforma verso l’Africa.
Per troppo tempo, abbiamo considerato l’Africa una terra incognita. In questo secolo, abbiamo già visto un’Africa diversa, non solo per una crescita sostenuta (stimata al 4,5% nel 2015 e al 5% nel 2016) ma anche per lo sviluppo umano, per il ruolo svolto nelle istituzioni multilaterali, per l’impatto capillare della rivoluzione digitale attraverso la tecnologia mobile. La sfida di Expo 2015, “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”, sarà vinta soprattutto in Africa, e la realizzazione delle infrastrutture di cui l’Africa ha bisogno è un’opportunità per l’Europa e per l’Italia. Questo governo, fin dalle prime visite di Stato all’estero del presidente Renzi, ha considerato l’Africa una priorità economica e politica.
L’Africa, e in particolare l’Africa Sub-Sahariana, è al centro dell’azione italiana nella cooperazione internazionale per lo sviluppo, che sarà rafforzata nell’implementazione della legge n. 125/2014. E che rilanceremo con la partecipazione del Presidente del Consiglio al prossimo summit di Addis Abeba sul finanziamento dello sviluppo.
La terza grande sfida che affrontiamo nello scacchiere mediterraneo, e forse quella più delicata, riguarda l’immigrazione. I temi d’attualità sono le tragedie del mare, le liti europee sull’accoglienza e le crisi umanitarie che destabilizzano paesi chiave del bacino mediterraneo. Per affrontare la sfida, abbiamo bisogno di ragionare oltre la partigianeria politica e l’approssimazione: i flussi migratori continueranno a caratterizzare la politica mediterranea. Per le condizioni di miseria e di guerra in cui vivono vaste aree dell’Africa e del medioriente; e per via dello squilibrio tra le giovani popolazioni della sponda Sud e l’invecchiamento dell’Europa. Oggi, il 16% degli europei ha almeno 65 anni, nel 2050 sarà il 27% (e addirittura un terzo degli italiani). Chi pensa di avere una bacchetta magica, davanti a questi cambiamenti epocali, mente sapendo di mentire. Gli avvenimenti dell’ultima generazione dei paesi della sponda Sud del Mediterraneo e dell’Africa, nonché le evoluzioni della prossima generazione, richiedono una mappa mentale radicalmente diversa. E proprio per questo richiedono un reale governo del fenomeno, attraverso una stretta cooperazione con i paesi di origine e di transito, e la massima consapevolezza politica dell’urgenza del problema. È una questione di lungimiranza. Negli ultimi mesi l’Italia, oltre a siglare importanti intese bilaterali, si è impegnata costantemente per rendere i partner europei sempre più consapevoli del fatto che l’immigrazione deve essere una responsabilità europea condivisa attraverso decisioni concrete che tocchino anche il contributo finanziario (come ci si attende da una superpotenza economica), non l’occasione per divisioni e veti reciproci. Dobbiamo ancora dimostrare un concreto “risveglio” europeo sulla questione, perché è proprio su questi temi che l’Europa esprime, o no, una natura di attore globale. E certo il balletto degli aggettivi sulla ricollocazione dei richiedenti asilo (Obbligatoria? Volontaria? Vincolante? Consensuale?) non è all’altezza della situazione. Trasmette l’immagine di un’Europa dimessa, ormai alla periferia della storia, abile a presidiare il passato e rassegnata a subire il presente. L’Italia non si rassegna, e se continuiamo a batterci per una dignitosa politica migratoria comune lo facciamo anzitutto per il futuro dell’Unione.
L’identità mediterranea dell’Europa, infatti, ci porta oltre i vecchi conflitti del continente e oltre le scorie della guerra fredda, costringendoci ad affrontare i rischi cruciali per le nostre società in un mondo nuovo, dal terrorismo alla fragilità statuale alla sostenibilità ambientale. Allo stesso tempo, il Mediterraneo e l’apertura all’Africa incarnano le opportunità della crescita e della sostenibilità del ventunesimo secolo: nell’energia, nella ricerca, nel commer- Paolo cio, nel capitale umano. Solo un nuovo ordine mediterraneo sarà in grado di portare la stabilità in tre continenti. Fernand Braudel scriveva nelle sue “Memorie del Mediterraneo”: “Il Mediterraneo non si è mai rinchiuso nella propria storia, ma ne ha rapidamente superato i confini”. Oggi il nostro mare continua a disegnare i confini di una nuova politica. Sta a noi italiani ed europei saperla a esprimere fino in fondo, vincendo la paura