L’export è vita per l’Italia. Ha un ruolo decisivo per abbattere il debito, per rendere il paese ancora più stabile e credibile, socialmente ed economicamente. In questa fase economica i consumi interni diminuiscono, per questo le aziende non possono che compensare con la domanda esterna. Per questo l’export è una missione strategica per noi del ministero degli Esteri».
Antonio Tajani, vice premiere ministro degli Esteri, con il Sole 24 Ore tracciale linee del governo e della nuova “diplomazia della crescita” della Farnesina, che ha le competenze e le funzioni di vigilanza, indirizzo e monitoraggio su Ice-Agenzia e Simest. «Aumentare il Pil significa aumentare le entrate fiscali e far decrescere il debito, che è il vero peso morto del Paese. Se un’economia funziona, anche grazie al suo export, si genera ricchezza che accresce il benessere sociale del paese. Per fare politiche distributive prima dobbiamo generare ricchezza, non possiamo “comprare” ricchezza facendo nuovo debito. Ecco perché l’export deve essere un compito primario dello Stato e quindi nostro alla Farnesina».
Il 2022 chiude molto bene per le esportazioni italiane.
«Nel 2022 l’export del sistema Italia supererà i 600 miliardi di euro, ben oltre l’importante traguardo del 2021, anche se in parte determinato dall’inflazione. È il 30% del Pil del paese. Il tessuto produttivo italiano si è molto diversificato, e oggi nell’export oltre ai settori tradizionali della meccanica, della moda, dell’alta gamma, si affiancano realtà sempre più solide: aerospazio, farmaceutico, bio-medicale, meccanica di precisione».
Le prospettive per il 2023 sono di un rallentamento.
«L’economia italiana è forte. Su 5 milioni di imprese ben 140mila sono quelle esportatrici, siamo leader in molti settori sensibili. Questo è uno dei principali asset della politica estera dell’Italia, l’export per noi è una partita globale. Non c’è Paese al mondo dove non siamo e che non cerca i nostri prodotti. Questo è il nostro “petrolio”».
Partita globale significa agire in tutti i mercati.
«Durante il mio mandato ogni elemento della politica estera dell’Italia e del Ministero che dirigo verrà improntato a questa visione. Siamo un paese manufatturiero, abbiamo bisogno di mercati, il più liberi possibile, mercati da cui importare materie prime e mercati verso i quali indirizzare il nostro export».
Ma esistono comunque delle priorità, che corrispondono agli obiettivi “politici” del governo?
«Rafforzare la diplomazia della crescita in tutto l’arco del vicinato. Balcani e Africa. Nei Balcani sono stato assieme al ministro Crosetto. Nei primi mesi del 2023 convocheremo vari business forum iniziando da Belgrado e Pristina. Un processo che vedo come collegato alla ricostruzione dell’Ucraina, quando finirà il conflitto. Sui Balcani il 24 gennaio promuoverò col governo una conferenza nazionale a Trieste interamente dedicata alla nostra strategia complessiva».
Poi il Mediterraneo e l’Africa: sia il premier Giorgia Meloni che lei avete parlato di piani a tutto campo.
«Il tema del continente africano è centrale per il mondo intero, e a maggior ragione per noi Italia, che siamo al centro del Mediterraneo. Dobbiamo rafforzare la presenza delle imprese Italiane nei Paesi dell’Africa Sub-sahariana che hanno buone prospettive di crescita. Ma soprattutto puntiamo allo sviluppo del continente, al loro sviluppo, in una logica di collaborazione, non di sfruttamento».
Africa, ricca di materie prime…
«Certo, ma vogliamo muoverci non solo per estrarre materie preziose, come le terre rare o il litio, ma agire con delle joint venture con gli africani, anche per aiutare a far crescere nei paesi una classe dirigente, che magari possiamo formare noi in Italia nelle nostre università. Questo sarà un tema forte della prossima Conferenza degli Ambasciatori che organizzeremo la prossima settimana alla Farnesina».
Ci sono aree del mondo ad enorme potenzialità che sembrano a volte un po’ dimenticate.
«Anzitutto l’America Latina, dove risiedono le maggiori comunità di origine italiana. Per noi è tutto il continente americano che deve essere centrale. A San Francisco il mio ministero in collaborazione con Ice ha attivato nel 2022 il primo “Italian Innovation and Culture Hub”, iniziativa che segue la visita alla Silicon Valley nel 2019 del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Iniziativa che potrebbe essere replicata a Tel Aviv e Shanghai».
C’è poi l’incognita-Cina, definita dalla Ue “rivale sistemico”.
«L’obiettivo è sviluppare sempre le relazioni commerciali ma alla luce di un rapporto che certamente deve tenere conto dei nostri interessi nazionali, a partire dalla concorrenza sleale che a volte viene praticata in certe situazioni. Questo processo si innesta in una attenzione verso l’Asia in un quadro di rafforzamento con l’India che quest’anno presiederà il G20».
Ministro, da mesi siete impegnati per fare assegnare a Milano una delle sedi il Tribunale unico dei brevetti.
«Si, stiamo lavorando con i nostri partner europei, in particolare Germania e Francia, in vista dell’entrata in vigore dell’Accordo sul Tub. L’Italia è uno dei tre principali poli europei dell’industria e dell’innovazione nell’Ue. È quindi strategico ed economicamente giustificato spostare a Milano la sezione assegnata a Londra».
Che strategia intende dare alle vostre ambasciate per la promozione? Un tema-chiave quindi è la Promozione integrata.
«Una strategia che vogliamo raccontare al pubblico straniero. La sapienza, la bellezza, la varietà, l’originalità e la spinta all’innovazione che caratterizzano da sempre il saper fare italiani nei campi della cultura, dell’economia, della scienza e della tecnologia. Ma anche la promozione dello sport, e in particolare in vista della importante RyderCup di Golf in settembre attiveremo iniziative di promozione in tutte le nostre ambasciate e consolati».
La Bce ha appena alzato i tassi, lei è stato critico.
«La Banca centrale è autonoma nelle sue decisioni di politica monetaria. Esprimo una opinione: per me è un errore in questa fase aumentare il costo del denaro per imprese e famiglie, in Europa l’inflazione è legata all’enorme aumento dei prezzi energetici, che si contrastano con il pricecap. Diverso è in Usa, dove i prezzi aumentano per la domanda interna».
E il Mes? Lei ha un’opinione un po’ diversa da altri colleghi del governo.
«Sono sempre stato favorevole al suo utilizzo, esprimo riserve sui regolamenti. Lo strumento dovrebbe essere sotto il controllo del Parlamento europeo. La mia è una critica europeista. Ma troveremo il modo per far sì che chi lo voglia utilizzare possa farlo. Più che parlare senza sosta del Mes, insisterei sulla creazione di un Fondo europeo per l’energia e la competitività, sul modello dei Pnrr, per controbilanciare il Fondo Ira americano che aiuterà le imprese Usa a partire da gennaio, per 370miliardi».