Il Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, è intervenuto alle celebrazioni per il Giorno del Ricordo. La commemorazione, organizzata presso il Palazzo del Quirinale, si è chiusa con un discorso del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
(Check Against Delivery) Discorso del Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani
Signor Presidente della Repubblica,
Autorità,
Signore e signori,
Nel giorno del Ricordo, siamo in ideale raccoglimento di fronte a ogni foiba, a ogni cippo o monumento. Di fronte alle molte semplici croci di legno che punteggiano la terra rossa d’Istria a segnare i luoghi là dove si aprono le ferite del suolo che hanno inghiottito migliaia di sventurati, in quella che è una delle pagine più buie della storia del nostro Paese.
Persone che avevano un nome, scomparso nel cuore dell’abisso in ragione di una furia e di un odio che ancor di più oggi, con la distanza offerta dal tempo, appaiono abominevoli e senza senso.
Caduti della Guardia di Finanza, della polizia, dei carabinieri, delle guardie di pubblica sicurezza. E tante persone normali, farmacisti, avvocati, notabili, insegnanti, professori, medici, negozianti. Sacerdoti, suore, uomini di fede.
Una componente fondamentale della società della Venezia Giulia venne inghiottita dall’odio. Centinaia di migliaia di persone vennero costrette all’esodo portando sulle spalle un indicibile fardello di dolore.
Il muro dell’oblio è stato abbattuto. Il velo del silenzio strappato. Finalmente dal nostro passato emergono i nomi di quei tanti che sono caduti. E con loro, le loro storie.
Penso a Don Francesco Bonifacio, che la Chiesa ha fatto beato nel 2008, denudato, percosso, barbaramente ucciso e gettato in una foiba a soli 34 anni.
Oppure Don Angelo Tarticchio, che venne prelevato nella sua canonica e ucciso dopo lunghe sevizie insieme a 43 suoi parrocchiani, il cui corpo è stato ritrovato con sul capo una corona di spine in filo di ferro.
E poi le donne. Penso alle tre sorelle Radecchi, Fosca, Caterina e Albina, di 16, 19, 21 anni, prelevate nel cuore della notte dalla loro abitazione, seviziate e poi gettate vive nelle foibe.
Oppure Alice Abbà, ancora una bambina quando a soli 13 anni venne rapita e uccisa insieme alla madre, dopo che era stato ucciso anche il padre, vigile urbano.
Ricordiamo quanti vennero costretti ad abbandonare le proprie case, i borghi, in nome di un’ideologia e dell’odio verso l’italiano.
La vicenda dolorosa delle foibe, e il conseguente esodo giuliano-dalmata, furono veri e proprio atti di pulizia etnica.
In quei mesi, alla fine di un tragico conflitto, il più deteriore nazionalismo e l’ideologia totalitaria si fusero, per scavare un solco sanguinoso fra le popolazioni della sponda orientale dell’Adriatico. Popolazioni che per secoli avevano convissuto, in un equilibrio complesso ma fruttuoso per quelle terre e per quelle genti.
Le foibe purtroppo non sono l’unico atto di pulizia etnica che ha funestato i Balcani nel 20° secolo. Si può anzi dire che abbiano anticipato altre tragedie, che mezzo secolo dopo avrebbero accompagnato la dissoluzione dell’ex-Jugoslavia. Ma naturalmente questo è il dramma che ci riguarda più da vicino, che ci tocca più dolorosamente.
Per questo il Governo nel 2004 volle fissarne il ricordo in questa giornata, come doveroso omaggio alle vittime e come monito perché simili drammi non si ripetano.
Ricordare è un dovere morale, civile, politico, ma non significa in alcun modo riaprire antichi conflitti. I responsabili di quelle stragi sono persone fisiche da tempo scomparse, inquadrate nell’ambito di una forza armata, espressione di uno Stato oggi dissolto – l’Esercito Popolare di liberazione Jugoslavo, guidato dal Maresciallo Tito – ed erano ispirate da un’ideologia sconfitta dalla storia.
Gli Stati che hanno preso il posto dell’ex-Jugoslavia non hanno alcuna responsabilità delle violenze di allora.
Sono nazioni amiche e alleate, a partire dalla Slovenia e dalla Croazia, che condividono le nostre scelte di civiltà, il nostro sistema democratico, l’appartenenza all’Unione Europea e all’Alleanza Atlantica. E proprio la lezione della storia ci dimostra l’importanza dell’allargamento dell’Unione Europea nel resto dei Balcani occidentali.
Ricordare quella stagione di conflitti attraverso materiali oggi a disposizione di tutti, ci consente di avvertire ancora meglio il grande valore della pace, della convivenza proficua e cordiale fra popoli diversi ma uniti da una comune identità europea.
È questo il grande valore dell’Europa, la ragione che – prima di ogni altra – ci rende profondamente, convintamente europeisti. Il grande sogno di Adenauer, di Schuman, di De Gasperi, leader di nazioni che si erano combattute aspramente fino a pochi anni prima e che decisero di intraprendere un percorso comune verso un futuro diverso. Un futuro che dopo il 1989 ha coinvolto anche molti Paesi e molti popoli d’Europa fino a quel momento separati dalla cortina di ferro.
Chi come me ricorda con angoscia gli anni nei quali Gorizia era definita la nostra Berlino, gli anni nei quali un confine difficile la separava da Nova Gorica, la stessa città con una sovranità differente, non fatica a comprendere la portata di quanto è successo negli ultimi 35 anni.
Chi come me ricorda il luogo simbolo di questa divisione, la piazza della Transalpina di Gorizia, divisa in due da un muro invalicabile, non può che provare una profonda emozione attraversando oggi liberamente quella stessa piazza, nella quale nulla – se non un segno sul terreno – ricorda le passate divisioni, nella quale italiani e sloveni si muovono liberamente, senza barriere, senza contrapposizioni, senza animosità, con la voglia di costruire insieme un’Europa davvero capace di dire “mai più” alle stragi, alle persecuzioni, alle guerre, alle tragedie come quella delle foibe.
Un sacrificio, quello delle vittime italiane, che non sarà stato inutile se servirà da monito alle generazioni di oggi e a quelle di domani.
E il momento nel quale Lei, signor Presidente della Repubblica, strinse la mano del Presidente sloveno Pahor, proprio sul luogo della Fobia di Basovizza, dove sarò domani per deporre una corona d’alloro, il luogo simbolo della tragedia, è stato la pagina più alta di questo percorso di conciliazione, di collaborazione, di lavoro comune sulla memoria e sul futuro.
Signor Presidente,
Significa riunire in un abbraccio, all’ombra del Tricolore, i caduti di allora, coloro che furono costretti a lasciare le loro case, e i loro discendenti che serbano vivo nel cuore il dolore di quei drammi e di quelle tragedie.
Nei loro confronti abbiamo soltanto il dovere della pietà, del rispetto, della memoria.
Ma la memoria ci pone anche di fronte ad una grande responsabilità.
Oggi nuove ombre si addensano sulla pace. L’ordine internazionale pacifico, basato sulle regole, è posto in discussione in tante aree del mondo, ed anche nel nostro continente.
Oggi più che mai l’Europa e l’Alleanza Atlantica sono di fronte alle sfide decisive per delineare quello che sarà il mondo nei decenni a venire.
Lavorare per una pace giusta, rispettosa dei diritti dei popoli e della sovranità delle nazioni è il solo modo che abbiamo per dire davvero “mai più” a tragedie come quella che ricordiamo oggi.
E quindi anche per onorare le vittime delle foibe, in nome della pietà e del perdono, con un solo modello, quello dell’esempio e riconciliazione.