Questo sito utilizza cookie tecnici, analytics e di terze parti.
Proseguendo nella navigazione accetti l'utilizzo dei cookie.

Preferenze cookies

Intervento del Ministro Terzi al Meeting di Rimini 2012 “Politica internazionale e libertà religiosa”

(Fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)


 


Presidente Nassir Abdulaziz Al-Nasser,


Sua Eminenza Cardinale Jean Louis Tauran,


Segretario di Stato Antonella Mularoni,


Direttore Roberto Fontolan,


Carissimi ospiti,


Ringrazio di cuore la “Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli” per questa opportunità di confronto su tematiche di attualità.


Gli ultimi mesi di governo hanno coinciso con trasformazioni profonde nei Paesi a Sud del Mediterraneo. Il desiderio di libertà ha generato le rivoluzioni della primavera araba, ancora drammaticamente in corso in Siria, e in via di assestamento istituzionale in Egitto, Libia e Tunisia. Quanto sta avvenendo alle porte di casa nostra mi ha suggerito di discutere oggi con Voi di quella che il partigiano cattolico Primo Mazzolari giustamente definì “L’aria della religione”: la libertà.


Ma nel far questo, vorrei sottolineare i motivi più concreti che fanno della sponda meridionale del Mediterraneo un’essenziale priorità economica, politica e culturale per il nostro paese. La nostra economia, la crescita, l’occupazione, la collocazione dei nostri giovani in una società culturalmente ed economicamente aperta rendono prioritari l’amicizia e il rapporto con le società di quella parte del mondo.


L’Italia, tra i Paesi europei, viene percepita dalle nuove leadership arabe come l’essenziale punto di riferimento. Se negli ultimi cinque anni la crisi economica, figlia di una più generale crisi internazionale, è stata in parte bilanciata dall’internazionalizzazione delle nostre aziende a fronte di un mercato interno molto debole, la regione mediterranea è stata la vera protagonista della crescita.


Attiro l’attenzione sui dati che riguardano quello che definirei il “grande mediterraneo”, ovvero Libia, Egitto, Algeria, Marocco, Tunisia, Israele, Libano, Turchia e i sei paesi del Golfo: il nostro export verso la regione è cresciuto nel 2011 di circa il 19% rispetto al 2010; l’interscambio complessivo, pari a oltre 82 miliardi di euro, è aumentato del 4%; oltre 3.300 aziende italiane sono presenti nell’area; il 15% degli stranieri residenti ed occupati in Italia provengono dall’Africa settentrionale e dal Medio Oriente.


Nella fase difficile che l’Italia e l’Europa attraversano, il rafforzamento dei rapporti con i nuovi leaders del Mediterraneo costituisce quindi un elemento fondamentale anche per la nostra crescita economica. Dai loro Governi ho ricevuto apprezzamento per la politica economica del Governo, ho avuto garanzie sul sostegno alle nostre aziende e indicazioni preziose sulla volontà di aumentare gli investimenti in Italia.


In questa complessa macroregione, l’Italia sta assumendo un ruolo da protagonista. Non solo per la nostra presenza politica, economica e culturale, ma soprattutto per la capacità di accompagnarla con una forte propensione al dialogo su temi ancora controversi, ma essenziali per la stabilita delle nuove democrazie, per il benessere di società in trasformazione, composte soprattutto – è bene ricordarlo – da giovani e giovanissimi come Voi.


Prima di proseguire, vorrei lasciare simbolicamente la parola alla platea, proiettando interviste realizzate questa mattina con alcuni partecipanti al Meeting…


“Le luci si sono spente sull’Europa e la nostra generazione non le vedrà riaccendersi”. C’è chi ritiene che sia tornata attuale questa frase che il Ministro degli Esteri della Gran Bretagna, Sir Edward Grey, pronunciò allo scoppio della prima guerra mondiale. Io non sento certo mia questa, o altre visioni malinconiche dell’Europa.


Un’idea intristita e perdente dell’Europa è contraddetta, anzitutto, dalla constatazione che l’Unione Europea continua a essere un punto di riferimento globale per l’avanzamento di valori universali.


E, ben più importante, l’Europa ha una forza crescente di attrazione e di impulso per l’affermazione dei diritti e delle libertà fondamentali: una forza alla quale l’Italia dà vigore con idee e iniziative d’eccellenza.


L’Unione Europea sta vivendo una fase di difficoltà economica, che per molti versi è un momento di ricerca della sua identità, ma non possiamo dimenticare che è nel suo cromosoma di libertà che De Gasperi, Adenauer, Schuman, l’hanno guidata verso una comunità di valori identitari, ancor prima che economici.


La Comunità europea ha così potuto riaccendere, dai Trattati di Roma in poi, le luci della libertà e della prosperità. Sono queste luci che hanno illuminato per decenni la vita di milioni di cittadini europei, azzerando le ombre del muro di Berlino e delle ideologie totalitariste. Con l’allargamento dell’Unione, i popoli dell’Europa orientale hanno scelto con entusiasmo di alimentare la libertà dell’Europa.


Contrariamente alla profezia di Sir Grey, l’Europa è tornata a influire nella definizione degli equilibri globali. Non ho esitazioni nel sostenere che il carattere veramente distintivo della politica estera e di sicurezza europea è quello dei valori fondamentali dell’uomo. Questo è e deve restare il nostro baricentro, per l’Italia e per l’intero continente.


Questo centro di gravità non deve essere alterato; se lo fosse, rischieremo di trovarci su di un piano inclinato, abbassato verso desolati conformismi e compromessi di un malinteso, spesso cinico, realismo. E così tradiremmo la parte fondamentale, quella davvero originale, della nostra identità.


Le sfide globali richiedono invece di erogare nuova energia al faro dei diritti, per raggiungere obiettivi più alti.


L’Europa che abbiamo riunificato in un grande spazio di libertà; l’Europa che abbiamo dotato di una moneta; l’Europa che nei suoi principi e nelle sue norme ha abbracciato valori etici che – come ha rilevato il Presidente Monti – “molto più spesso sono stati assenti nelle politiche degli Stati nazionali”; questa Europa – secondo l’Italia – può e deve fare di più per i diritti fondamentali, nella tutela e promozione della libertà di religione e di tutte le minoranze.


C’è chi sostiene che in passato l’Europa si era “dimenticata di Dio”. Non è mia intenzione riaprire questo dibattito. Occorre però riconoscere che nella politica internazionale il tema della religione è stato per tanto tempo marginalizzato o addirittura escluso.


Affrontare in pubblico tematiche connesse con le sensibilità religiose era considerato “politicamente scorretto”. Persino ritenuto “imprudente” per un diplomatico. Per secoli è stato tacitamente accettato il principio sancito dalla Pace di Augusta del 1555: cuius regio, eius religio. Non ci si stupiva se lo Stato decideva il credo dei propri cittadini.


Il politologo Richard Greco ha rilevato che nella “Storia della diplomazia” di Henry Kissinger, il termine religione non è neanche incluso nell’indice del volume, e la libertà di religione non rientra negli argomenti di dibattito delle relazioni internazionali. Solo negli ultimi anni, dopo che Samuel Huntington ha elaborato il concetto di “scontro di civiltà”, si è cominciato a prestare più attenzione alla religione come dinamica di politica internazionale. Più di recente, tra altre voci autorevoli, l’ex Segretario di Stato degli Stati Uniti, Madeleine Albright, nel suo libro “The Mighty and the Almighty” ha approfondito il ruolo della religione nel definire l’approccio americano di politica estera.


L’Italia ha nuovamente posto in questi ultimi nove mesi il tema della religione e della libertà religiosa al centro del dibattito internazionale. Lo ha fatto nella convinzione che lo spirito di libertà non possa essere segmentato in libertà principali e libertà di serie B. Lo spirito di libertà è come un muro a secco: costruito con blocchi disposti in modo da autosostenersi, senza l’uso di leganti esterni. Se però viene meno un solo blocco, una sola libertà fondamentale, l’intera costruzione cade.


Questo è un concetto che ritroviamo anche in alcune tradizioni africane. La parola “Ubuntu” descrive il concetto di rete, rete sociale: se anche un solo nodo cede, l’intera rete si spezza, e per questo ogni nodo – ogni persona – deve farsi carico della tenuta anche dei nodi apparentemente più lontani da essa.


Allo stesso modo, la libertà dell’individuo non è solo libertà di parola, di stampa, di coscienza. E’ onnicomprensiva; abbraccia la religione.


“Negare o limitare in maniera arbitraria tale libertà – ha osservato Papa Benedetto XVI – significa coltivare una visione riduttiva della persona umana”.


C’è anche un’altra ragione che ci ha spinto a farci promotori della tutela della libertà di religione. Una ragione di carattere operativo. Le violazioni di libertà fondamentali provocano conflitti e generano esodi di massa. Il preambolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sottolinea: E’ indispensabile che i diritti dell’uomo siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione.


Le esperienze dell’Afghanistan, della Somalia e delle primavere arabe indicano che quando i diritti fondamentali dell’uomo – in primis la libertà religiosa – sono conculcati con forza, si creano le premesse per la ribellione e l’instabilità. Non c’è allora contraddizione tra tutela dell’interesse nazionale e difesa dei diritti, nel proprio paese o in nazioni lontane.


Al contrario, prenderci carico della tenuta di “nodi” apparentemente distanti da noi, è davvero parte rilevante del nostro interesse nazionale. Di nuovo dall’Africa, anch’essa culla di civiltà, ci arriva uno spunto importante. Il 25 settembre 2011, dopo una lunga malattia, in un ospedale di Nairobi si è spenta Wangari Maathai, premio Nobel per la Pace, che il mondo continuerà a ricordare per il suo impegno instancabile per il riconoscimento dei diritti umani e civili della popolazione più umile e in particolare delle donne.


In una delle Sue ultime interviste, Wangari Maathai ricordò un’antica favola africana, che parla del Re leone che scappa dalla foresta in fiamme con tutte le altre bestie, e vedendo un piccolo Colibrì che controcorrente con fatica vola verso l’incendio gli urla: “Cosa pensi di fare con il tuo inutile volo?”. E il colibrì gli dice: “Cerco di spegnere l’incendio”. Il Leone allora lo deride e gli dice “Con una sola goccia d’acqua…?”. E il colibri, senza smettere di volare, gli risponde “Io faccio la mia parte”.


In un mondo sempre più interdipendente, prenderci carico dell’altro, delle sue specificità e dei suoi diritti, è quindi un dovere morale globale, ma anche una necessità vitale per la pace e la sicurezza. Non è alzando muri che risolveremo il problema delle tensioni interetniche, del terrorismo internazionale, della violenza sulle donne, dell’abuso sui bambini. Sono problemi che riguardano anche l’Italia, qui ed ora, riguardano tutti noi perché “pezzi” di quelle società apparentemente “altre” convivono quotidianamente con noi sul lavoro e con i nostri bambini a scuola.


Dell’apertura al dialogo con l’altro, principio riconosciuto da tutte le religioni universali, l’Europa deve essere fiera portabandiera nel mondo. Questo principio è un tratto originale dell’identità europea e italiana.


E’ questo aspetto della nostra identità e questa nostra convinzione a guidarmi in ogni incontro istituzionale. In particolare, nei colloqui con i nuovi leader dei Paesi delle primavere arabe ho sottolineato, a nome dell’Italia, l’esigenza di incardinare in una chiara cornice costituzionale il pluralismo, inteso anche come la libertà di religione e dei gruppi minoritari. Abbiamo promosso iniziate destinate alla società civile, tra le quali la creazione a Roma di un Osservatorio sulla libertà di religione.


Ho insistito, a Bruxelles, affinché questa linea sia sempre presente nell’azione esterna dell’Unione.


Abbiamo lavorato molto in questi ultimi mesi per stimolare la sensibilità europea in questo ambito. L’Unione Europea sta assumendo posizioni più determinate: ha creato una Task Force con precise scadenze; l’Alto Rappresentante redigerà da ora in poi un preciso rapporto sulla libertà religiosa. Nelle Linee guida dell’Unione Europea abbiamo ottenuto che la libertà di religione abbia un profilo spiccato.


Insistiamo anche per accrescere stanziamenti e programmi educativi europei tesi alla tolleranza ed al dialogo. Progetti a tutela della libertà di religione rientreranno tra le azioni strategiche dell’Europa nel 2013. Anche nel negoziato sugli strumenti finanziari dell’Unione per il periodo 2014 – 2020 sollecitiamo più attenzione per questi programmi.


Siamo pronti ad aiutare generosamente i nostri vicini e i Paesi più bisognosi, ma occorre incentivare i Paesi più impegnati nella costruzione di società democratiche.


L’Europa deve agire a livello multilaterale. Anche grazie all’Italia, l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato a dicembre una risoluzione proposta dall’Unione sulla libertà di religione, che richiama il dovere di ogni Stato alla massima vigilanza per prevenire e punire le discriminazioni e le violenze verso le minoranze religiose. Lo stesso è avvenuto lo scorso marzo al Consiglio Diritti Umani a Ginevra.


Sono ancora vive nella nostra memoria le immagini spaventose delle atrocità compiute dal gruppo di Boko Haram in Nigeria: massacri perpetrati contro cristiani nei luoghi più sacri, contro fedeli riuniti in preghiera. Se allarghiamo lo sguardo, vediamo altri motivi di grave preoccupazione in Africa, Medio Oriente e Asia.


Desiderate professare una religione?


Volete essere liberi di scegliere di non professarne alcuna?


Volete convertirvi a un credo diverso?


Sono tutti diritti fondamentali che nel nostro paese diamo per assodati, ma che ad altre latitudini richiedono invece grande coraggio. Il loro esercizio è suscettibile di mettere a rischio la vita. Centinaia di migliaia di cristiani che vivono – e non da ora – nel Medio Oriente, sono costretti all’esodo. Componenti vitali di queste società si indeboliscono e le rendono ancor più vulnerabili all’estremismo.


In altri Paesi, la libertà di credere o di non credere è limitata senza ricorrere alla violenza. Anche se non discriminate dalla legge, molte minoranze vivono in un clima di ostilità tollerato dalle autorità locali. La libertà di religione non può ridursi a semplice “riconoscimento formale” da parte dello Stato. Essa implica, al contrario, l’esistenza di un obbligo positivo, un obbligo di fare, in capo ai Governi, per vincere pregiudizi e intolleranza. Occorre fare di più.


Il cuore della questione si pone a un livello più profondo rispetto a quello dei rapporti istituzionali. Occorre allora affiancare l’azione diplomatica e di cooperazione internazionale con un’opera di sensibilizzazione e di coinvolgimento della società civile. Non basta che l’individuo sia considerato dallo Stato libero di fare le proprie scelte se poi la società è dispotica o ostile all’esercizio delle libertà. Le statistiche ad esempio dell’area Balcanica, ma anche della zona di Betlemme, e ancora del sub-continente indiano, parlano chiaramente: la maggiore o minore disponibilità dei Governi a garantire un quadro chiaro sul tema della difesa dei diritti e l’ostilità sociale che matura tra la popolazione sono strettamente interconnesse. E’ necessario quindi sostenere la libertà dell’individuo nella società con progetti incisivi di formazione e di educazione ai diritti e alla tolleranza.


Conosciamo le grandi potenzialità della società civile. Tutti ricordiamo l’opera di Giovanni Paolo II che, da Vescovo e poi da Arcivescovo di Cracovia, con paziente perseveranza e tenace saggezza riuscì a far costruire una nuova chiesa nella cittadina polacca di Nowa Huta. Il successo non fu facile: richiese quasi vent’anni di sforzi da parte di chi sarebbe diventato Papa. Il regime comunista opponeva un fermo rifiuto. Ma quel grande pontefice riuscì ad aggregare da solo buona parte dell’opinione pubblica, e alla fine l’autorizzazione alla costruzione della Chiesa arrivò. Un’operazione dall’alto valore simbolico, che ci indica chiaramente la strada: non cessare mai di agire in coerenza con ciò in cui crediamo.


C’è un punto imprescindibile. Come diceva Don Giussani, “La vera educazione deve essere un’educazione alla critica”. Dalla violenza ci si difende con la diffusione di una coscienza critica e contraria a ogni forma di sopraffazione e intolleranza. La democrazia si inaridisce senza la vitale cultura del dialogo. La libertà esiste finché esiste la possibilità di discussione e di critica.


A questo proposito, vorrei sottolineare l’importanza del rapporto tra società e nuove tecnologie.


Il web e i social networks possono fornirci un aiuto prezioso, come abbiamo visto proprio nelle società del Grande Mediterraneo, per promuovere una coscienza critica, specie nelle nuove generazioni. Sono strumenti ancor più essenziali nei Paesi in cui i luoghi reali di discussione sono limitati, vigilati o repressi. Il web azzera le distanze; rende un problema di pochi o di un gruppo minoritario una questione universale. Anche per questa ragione, l’Italia è stata tra i promotori della risoluzione approvata di recente dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite sulla protezione della libertà di espressione su Internet. Vigileremo perché a ogni individuo sia riconosciuto il diritto di cercare, ricevere, comunicare informazioni liberamente su Internet senza censure o interferenze, anche perché proprio su internet le giovani generazioni costruiscono un proprio modello transazionale di cultura e di cittadinanza.


Nel secolo scorso ci fu qualcuno che s’illuse che l’umanità fosse predestinata a un futuro di libertà. Poi, osservava Norberto Bobbio,


“E’ accaduto, che in fronte ai campi di schiavitù e sterminio sia stato scritto, con una diabolica contraffazione, «Il lavoro rende liberi»”. Questo secolo ha già conosciuto spaventosi orrori…


La realtà è complessa e piena di ostacoli, non consente profezie. Ma sono convinto che se l’Europa – sostenuta dall’azione dell’Italia e dall’entusiasmo di tanti giovani che ho visto qui – riuscirà a confermare una sua autentica leadership nella difesa dei diritti umani e delle libertà religiose, di qualunque credo, anche distante dalla nostra personale sensibilità… allora potremo consegnare alle future generazioni un mondo più tollerante e pacifico, un mondo sul quale continuerà a risplendere – con sempre maggiore intensità – la luce del faro europeo della libertà. E ognuno è chiamato ad alimentarla.


Grazie a tutti voi per questa discussione, per l’atmosfera e il calore dell’accoglienza.