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Intervento conclusivo all’incontro del World Economic Forum “Rebuilding Europe’s competitiveness”

(fa fede soltanto il discorso effettivamente pronunciato)


Dottor Børge Brende,


Dottoressa Irene Khan,


Ministro Moavero,


Dottor Giuseppe Recchi,


Ingegner Mauro Moretti,


Dottor Paul Adamson, 


Signore e Signori,



Vorrei ringraziare il World Economic Forum e, in particolare il Prof. Klaus Schwab, per aver organizzato questo incontro. Sono molto lieto che Roma e Villa Madama siano stati scelti per ospitare un gruppo eminente di personalità così autorevoli per discutere come ricostruire la competitività dell’Europa.


Dobbiamo, credo, ricostruirla all’interno del sistema europeo; al tempo stesso, si deve rendere l’Europa più competitiva nella realtà che la circonda.


In questa sessione conclusiva, mi fa piacere poter sinteticamente tornare su alcuni punti essenziali che il Presidente Monti e altri colleghi di Governo hanno oggi qui illustrato.


L’Unione Europea sta attraversando una fase di profondi cambiamenti. La capacità di diversi Paesi europei di continuare a finanziare il debito pubblico sui mercati ha avuto ricadute serie sull’economia reale. E’ stato necessario agire con decisione; adottare misure anche dolorose. Non poteva essere altrimenti perché l’euro deve essere considerato quale il primo e più importante fattore della competitività dell’Unione Europea nel suo insieme.


Rebuilding Europe’s competitiveness è perciò una sfida cruciale. Una crisi che non è nata in Europa, ma che ha finito col mettere in discussione le basi stesse della nostra costruzione. E’ quindi il momento per promuovere un forte, incisivo rilancio dell’intero progetto europeo, per alimentare tutte le energie disponibili al rilancio della nostra competitività, sia sul piano economico sia su quello politico e istituzionale, sia nei rapporti con i nostri partner.


Sotto il profilo della crescita, la via per lo stimolo alla competitività passa attraverso l’innovazione, la riduzione degli ostacoli burocratici all’impresa, gli investimenti e una cornice normativa più favorevole allo sviluppo, ed in essa la pratica quotidiana dello stato di diritto e della lotta contro la corruzione.


In termini europei, tale programma si traduce in primo luogo nel completamento del Mercato Unico, con la rimozione delle barriere residue, a favore dei cittadini, dei consumatori, delle Piccole e Medie Imprese.


Vi è un enorme potenziale nel Mercato Unico, che deve essere sfruttato: per promuovere la crescita “verde”; la transizione delle nostre industrie verso sistemi produttivi ad alta efficienza energetica; per realizzare le inter-connettività e per aprire in parallelo la concorrenza nelle industrie di rete (energia e trasporti). L’Italia ha già fatto molto in questo campo; altri partners vanno incoraggiati nella stessa direzione.


In queste settimane stiamo negoziando il Quadro Finanziario Pluriennale per il settennato 2014-2020. L’Italia chiede con forza che il bilancio dell’UE sia orientato alla crescita; che le rubriche dedicate a ricerca e infrastrutture, ma anche i Fondi di Coesione e i Fondi per lo Sviluppo Rurale, offrano un più decisivo stimolo per la crescita e l’occupazione, e costituiscano quindi un significativo contributo alla strategia per lo sviluppo.


Per essere riconosciuti dai cittadini occorre che i progressi compiuti nell’integrazione economica siano accompagnati da progressi anche sul piano politico.


Bisogna evitare infatti che quanto compiuto negli ultimi mesi verso un’autentica Unione Economica e Monetaria sia percepito come un esercizio tecnocratico, lontano, se non malamente compreso, dalla grande opinione pubblica.


Il Presidente Van Rompuy nel rapporto cui sta lavorando in vista del Consiglio Europeo di dicembre insiste giustamente sull’importanza di rafforzare il ruolo del Parlamento Europeo e dei Parlamenti Nazionali nella governance economica dell’Unione.


Diverse opzioni in questa direzione sono state indicate anche nel Rapporto finale del Gruppo di Riflessione dei Ministri degli Esteri sul futuro dell’Europea, riunitosi nel corso del 2012 su iniziativa del mio collega e amico Guido Westerwelle. Alcune delle proposte potranno essere realizzate a trattati vigenti; ma richiederanno uno sforzo da parte delle forze politiche europee al fine di giungere finalmente a una vera “agorà” europea che consenta ai cittadini di identificarsi pienamente con le proprie istituzioni. E’ essenziale favorire – nella direzione indicata dal Presidente Napolitano – la realizzazione di un autentico “spazio politico europeo” che possa contare su una forte partecipazione dei cittadini.


Tornerei a insistere sulla necessità che un dialogo sulla competitività dell’Europa non si limiti al campo economico e finanziario, oppure alle necessarie riforme istituzionali. Esso deve includere le motivazioni profonde del percorso europeo. Mi riferisco all’idea di “emotional union” di Jean-Pierre Lehmann. La generazione prima della nostra ha conosciuto un’Europa che ha bruciato nelle guerre un immenso patrimonio di vite umane, di talenti e di risorse. La generazione successiva è stata partecipe di un benessere esistito prima. Se vogliamo salvaguardare questo risultato, credo si debba andare ben oltre l’attualità politica e la congiuntura economica per istaurare un intenso dialogo sul futuro dell’Europa. Le esperienze degli ultimi decenni vanno rapportate alle sfide che abbiano dinanzi a noi. Ne deriva l’esigenza di sviluppare un’agenda positiva, di valori ed interessi condivisi con i nostri partner. Solidarietà, responsabilità, promozione dello Stato di diritto e dei diritti umani devono continuare a rappresentare i principi ispiratori non solo della nostra azione sul piano interno, ma anche del profilo internazionale dell’Unione.


Così come gli Stati anche l’Europa si definisce, viene riconosciuta e rispettata se è capace di proiettarsi all’esterno in maniera efficace e responsabile. Soprattutto nei confronti dei nostri vicini, a Sud come ad Oriente, è inevitabile avere un ruolo di primo piano nel favorirne lo sviluppo e la stabilità. Continueremo ad insistere affinché i mezzi e le risorse dell’Unione Europea siano all’altezza delle sfide cui siamo confrontati soprattutto nell’area della sponda sud del Mediterraneo, dove più impellente è la richiesta di una forte presenza europea.


La sfida posta dalla competitività internazionale per il “sistema Europa” è complessa. Occorre affrontarla senza pregiudizi; con la piena consapevolezza dei mezzi a disposizione, che non sono pochi. Tutta una serie di strumenti dell’Unione – dal commercio internazionale, all’aiuto allo sviluppo, alla gestione dei flussi migratori, ai diritti umani – vanno gestiti con una visione d’insieme.


Gli scambi commerciali sono, ad esempio, l’ambito nel quale l’Unione Europea può e deve svolgere una sua precisa leadership. Le conclusioni dell’ultimo Consiglio Europeo del 18/19 ottobre ci ricordano, infatti, che un’ambiziosa agenda di sviluppo del commercio europeo può portare nel medio periodo ad un aumento del 2% del PIL europeo. L’Europa deve quindi guardare senza prevenzioni al commercio internazionale e deve favorirne lo sviluppo, a patto che – sempre citando le conclusioni – sia “free, fair and open”.


Coerentemente con questo approccio, l’Italia sostiene e sosterrà con convinzione l’azione volta a rafforzare i rapporti con i partner strategici dell’UE, quali Cina, Giappone, Russia e Stati Uniti, da perseguire con un approccio pragmatico e orientato ai risultati.


La misura più efficace della competitività dell’Europa è la forza di attrazione che essa esercita nei confronti dei Paesi che bussano alla sua porta. In meno di venti anni l’Unione Europea è passata da 12 a 27 Stati membri: dal prossimo 1° luglio 2013 entrerà a farne parte la Croazia; altri 8 sono i Paesi candidati o potenziali tali. Il giudizio più positivo sul nostro percorso viene proprio dai nostri vicini. Possiamo deluderli? Possiamo escluderli? E’ interesse reciproco che il processo di adesione avvenga in modo da consentire ai futuri Stati membri di essere al passo degli altri e far quindi parte a pieno titolo del progetto comune. Se un grande vicino come la Turchia si rivolge a noi non possiamo voltare lo sguardo altrove. L’Europa del futuro sarà più forte, più credibile, più competitiva se saprà aprire le porte anche al popolo turco.


In definitiva, il messaggio con cui desidero salutarvi è che tanto nelle profonde innovazioni che abbiamo introdotto nella governance interna dell’Unione quanto nel nostro modo di porci come Unione rispetto al resto del mondo è essenziale che si affermi sempre più chiaramente la volontà politica sottostante. Deve essere chiara, innanzitutto a noi stessi, l’esigenza di radicare le nostre azioni in solidi valori comuni frutto della condivisione del lungimirante progetto politico contenuto nel Trattato di Roma.


Il nesso inscindibile che unisce le politiche interne e l’azione esterna dell’Unione emerge con assoluta chiarezza nelle motivazioni con le quali è stato assegnato all’Europa il Premio Nobel per la Pace per il 2012: “in ragione di più di sei decadi di contributo al progresso della pace, della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa”.


Grazie.