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Intervento del Ministro Terzi al Convegno “Le imprese lombarde ed i mercati globali: come creare valore”

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)


Sono grato di questa opportunità di confronto con gli imprenditori lombardi sulla priorità del Paese: creare valore. La mia presenza testimonia il sostegno del Governo e della Farnesina ai processi di creazione del valore delle imprese italiane; ma vuole anche essere un riconoscimento al grande contributo che le imprese lombarde stanno dando all’economia nazionale in questi momenti difficili.


La domanda estera è cruciale per la ripresa economica. Le esportazioni costituiscono il 30% del PIL e ne rappresentano la componente più dinamica: i tassi di crescita lo confermano. Le imprese lombarde sono un punto di forza della proiezione globale dell’Italia. Il 60% di esse opera nei mercati internazionali ed ognuna, mediamente, esporta in almeno 14 Paesi. Avete una capacità unica di coniugare innovazione, occupazione qualificata e internazionalizzazione. Per fare un esempio, il settore farmaceutico della Lombardia rappresenta la metà dell’occupazione del comparto, il 26% del suo export e il 58% degli studi clinici. Secondo Bankitalia, l’export sarà il principale contributo alla crescita del PIL lombardo anche nei prossimi anni. E la Lombardia continuerà così a essere il perno di quell’industria nazionale, che fa dell’Italia la quinta potenza manifatturiera al mondo e la seconda in Europa.


Oggi sono qui anche per dare continuità al nostro rapporto, che quest’anno è stato molto intenso. Con molti di voi ho partecipato a una quindicina di missioni: siamo stati insieme in Asia, in Africa, nei Balcani, nei Paesi delle “primavere arabe” e nei BRICS. Ho cercato di dare a tali missioni una forte connotazione economica non solo per cogliere nuove opportunità, ma anche per sottolineare che il sostegno al business è parte integrante e qualificante della diplomazia. Le indicazioni che continuo a ricevere dagli imprenditori mi hanno confermato che tale nuova mentalità è acquisita dalla stragrande maggioranza dei nostri diplomatici.


Il cambio di mentalità è stato necessario per tenere il passo di due cambiamenti paradigmatici registratisi nel mondo. I dati sono eloquenti: dal 2001 al 2012 il peso dei G7 rispetto al PIL mondiale è diminuito dal 48% al 38%, mentre il contributo dei Paesi emergenti e in via di sviluppo è cresciuto dal 38% al 50%. Nel 2020 un nuovo, parallelo G7 – composto da Brasile, Russia, India, Cina, Indonesia, Messico e Turchia – supererà il PIL dei sette originari Paesi più industrializzati.


L’altra trasformazione è data dal nuovo modo di fare impresa. Oggi i prodotti sono il risultato di una catena globale del valore, frutto di intermediazioni che travalicano frontiere e continenti. Secondo i dati dell’OMC, più della metà del commercio mondiale dei manufatti e i tre quarti del commercio di servizi sono prodotti intermedi.


E’ cambiata la struttura dei mercati, devono cambiare anche i rapporti fra istituzioni e imprese.


Le nuove filiere globali rendono necessario affiancare alle strategie tradizionali di promozione politiche più innovative mirate ad attrarre le catene del valore nel territorio italiano. Nella competizione risulterà vincente non il Paese che esporta di più, ma il sistema che immette nel prodotto la miglior combinazione di valore e di elementi immateriali, come la creatività e l’innovazione.


Il compito di attrarre in Italia valore non può essere però demandato solo alle imprese. L’impresa persegue il profitto individuale; l’azione politica deve fare la differenza, deve aggregare le energie in una visione generale.


Ho chiesto alle nostre Ambasciate di sviluppare un’attività di intelligence economica per segnalare in anticipo le opportunità di business. Il fattore tempo è essenziale. Durante la guerra fredda era importante sapere cosa stesse facendo l’avversario, ora per il Paese conta sapere prima degli altri dove stanno le più concrete possibilità di attrarre valore. Per questo, ho posto come missione della rete all’estero lo scouting di opportunità economiche e la tempestiva trasmissione delle informazioni alle associazioni di categoria con l’utilizzo di nuove tecnologie.


Possiamo contare su alcuni punti di forza.


Anzitutto, sul “capitalismo di territorio”, costituito da un mix di risorse concrete e immateriali, eccellenze produttive, patrimoni culturali, offerta di qualità e tipicità. Contiamo anche sui distretti industriali, patrimonio dell’Italia manifatturiera e capaci di stare al passo con i tempi e le esigenze del mondo globale: la produzione è organizzata su scala geografica sempre più ampia. Un esempio è il cluster transnazionale fra Lombardia, Piemonte, Baviera e Baden Württemberg nei settori della meccatronica e dell’automotive.


Partendo da questi punti di forza, vorrei stimolare una riflessione comune su cinque direttrici, per delineare insieme le priorità di azione per il prossimo futuro.


1. Le regole del gioco. La crescente assertività delle economie emergenti richiede un forte impegno per la convergenza di standard fra “vecchi” Paesi industrializzati e “nuovi attori” dell’economia globale. E’ necessario un più equo terreno di gioco nella competizione tra imprese e tra sistemi-Paese. La diplomazia delle regole è quindi una componente essenziale del sostegno al sistema produttivo. Penso alla tutela della proprietà intellettuale e ad altri ambiti solo apparentemente tecnici, quali l’accesso agli appalti pubblici, l’armonizzazione delle valutazioni di conformità, la fissazione di standard minimi per la lotta alla corruzione.


Per giungere a standard comuni, dobbiamo promuovere alleanze con i Paesi con cui condividiamo valori e interessi: gli Stati Uniti in primis e anche i Paesi emergenti membri dell’OCSE, quali la Corea del Sud, il Messico, il Cile e la Turchia. L’Italia sta lavorando – con Washington e in seno all’Unione Europea – per definire con gli Stati Uniti un accordo di libero scambio tra due aree, che già oggi si scambiano beni e servizi pari al 40% del commercio internazionale.


Occorre anche continuare a lavorare per una governance globale che regolamenti l’economia finanziaria, ancora troppo svincolata dall’economia reale. La componente finanziaria è in crescita esponenziale, accentuando vulnerabilità e volatilità di un quadro economico ancora fragile per effetto della crisi del 2008. Ad esempio, nei settori dell’oil and gas, le transazioni finanziarie sono 35 volte superiori rispetto a quelle nei mercati fisici; il Chicago Mercantile Exchange negozia ogni anno titoli per un valore di 46 volte la produzione mondiale di farina e 24 volte quella di mais.


2. Migliorare la competitività. Significa aumentare produttività e concorrenzialità, ma anche ridurre la pressione fiscale sul reddito da lavoro, senza pregiudicare gli obiettivi di risanamento del bilancio. Significa modernizzare veramente l’amministrazione pubblica, garantire la certezza del diritto, facilitare le autorizzazioni, velocizzare i pagamenti, e in genere aumentare l’attrattività del Sistema Paese. La “carta geografica” di cosa, dove, come e per chi produrre è continuamente riscritta alla luce delle differenze nei fondamentali economici e nelle politiche nazionali. L’Italia ha fatto molti progressi su fiscalità, lavoro, liberalizzazioni e innovazione ma resta ancora molto da fare.


Al tempo stesso, l’obiettivo per le imprese è quello di darsi strutture più articolate, con ancor più gioco di squadra. E’ essenziale allearsi per crescere, collaborare per competere. Le imprese che condividono i processi di innovazione sono – secondo uno studio dell’OCSE – più efficienti di quelle che conservano gelosamente al proprio interno le funzioni di ricerca e sviluppo. Favorire le alleanze significa rafforzare le economie di scala del nostro sistema produttivo. Questa è una responsabilità della politica, ma anche dei privati: spesso la frammentazione societaria comporta vantaggi fiscali, mentre la rinuncia ad alleanze consente di mantenere in famiglia il controllo manageriale.


3. Consolidare le finanze pubbliche. La politica di bilancio di un Paese e la sostenibilità del suo debito sono fattori-chiave ai quali gli investitori stranieri guardano con grande attenzione. Continuare il percorso di risanamento è prioritario perché è indice della credibilità di un Paese. Il nesso tra consolidamento fiscale e attrazione degli investimenti è sempre più stretto. La recente missione nel Golfo del Presidente del Consiglio testimonia quanto l’Italia sia tornata a essere attraente per gli investitori esteri.


4. Favorire l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. La recente riforma ha affrontato alcune criticità, quali la scarsa partecipazione delle donne e dei giovani e l’elevata precarietà. La disoccupazione giovanile ha superato l’inaccettabile soglia del 35% ed è un serio ostacolo alla creazione di valore. Bisogna allora riflettere su nuovi moduli formativi e fiscali, in un’ottica di complementarietà con le misure normative adottate dal Governo per incoraggiare e sostenere le start up.


Penso, ad esempio, a un sistema di venture capital, che favorisca la mobilità dei giovani anche verso l’estero. E penso a una fiscalità che preveda la detassazione e l’esonero di contribuzioni per le nuove assunzioni di giovani. Ciò comporterebbe incentivi per le aziende ad assumere, incentivi a consumare per i nuovi assunti e inserimento di nuovi talenti nelle imprese. Inoltre, l’onere per l’erario in termini di minori introiti fiscali sarebbe vicino allo zero, trattandosi di nuovi impieghi che altrimenti non si creerebbero.


5. Proseguire nel riassetto istituzionale del sostegno all’internazionalizzazione. E’ necessario per adattarci alle trasformazioni del Made in Italy. La diplomazia ha cambiato mentalità, e vorrei ricordare il punto di svolta: nel 2002 alla Conferenza degli Ambasciatori, il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, chiese alla diplomazia di dare ”maggiore spazio e incisività alla politica di sostegno del sistema economico italiano”. Ed è ciò che è avvenuto nei fatti e nelle strategie di questo decennio. Ora la sfida è dare maggiore continuità e coerenza al raccordo tra diplomazia e sistema produttivo.


Cerchiamo di sfruttare ogni occasione per mettere l’impresa al centro.


Il Ministero degli Esteri ha organizzato per il 2013 grandi Rassegne culturali e scientifiche nei principali mercati esteri, come l’Anno dell’Italia negli Stati Uniti, che inaugurerò il 12 dicembre a Washington. Un obiettivo della manifestazione è favorire la nascita di piccole e medie imprese italo-americane per lo sviluppo di nuove tecnologie.


La progettualità è la chiave per il successo nel mondo globale. Talvolta può essere difficile per un’impresa restare al passo con l’innovazione. Non tutte le aziende riescono a interagire con il mondo della scienza e della ricerca. Per facilitare i contatti tra scienziati e imprenditori in Italia e all’estero, con il Ministro Profumo ho creato una nuova piattaforma informatica, Innovitalia.net.


E’ illusorio pensare di vincere la competizione internazionale solo con prezzi concorrenziali. Nel mondo globale ci sarà sempre qualcuno in grado di fare proposte più economiche. Mentre quando utilizzano le più avanzate tecnologie, le imprese italiane si affermano ovunque. Faccio l’esempio della green economy. In tale settore abbiamo una straordinaria expertise, che ci rende competitivi anche nelle economie emergenti. In quei Paesi le nuove classi medie non intendono più sacrificare la qualità della vita e dell’ambiente all’aumento del PIL. L’EXPO di Milano sarà un’occasione unica per mettere le eccellenze italiane a disposizione di un modello di vita più sostenibile. Per sei mesi le porte di Milano saranno spalancate a milioni di visitatori. E non mi sorprende che molti di loro verranno da Paesi emergenti. Pochi giorni fa il governo di Pechino ci ha annunciato l’arrivo di un milione di cinesi per la manifestazione; forte interesse ho riscontrato l’altro ieri nell’incontro con Jia Qinling, Presidente della Conferenza Consultiva Politica, quarta carica della Repubblica Popolare Cinese.

In conclusione, quello che nel 2002 sembrò ad alcuni un mutamento radicale è diventato l’approccio condiviso della diplomazia italiana. Come diceva Mark Twain, “il radicale inventa le opinioni…il conservatore le adotta”. Ora la nuova svolta è intensificare, dare continuità al raccordo, alle pragmatiche interazioni tra diplomazia e imprese. Se agiamo insieme, in modo coerente e coordinato, continueremo a essere protagonisti nel mondo globale e aiuteremo il Paese a crescere.