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Discorso dell’On. Ministro “Risorse e opportunità per rilanciare le politiche giovanili” – Studiare il mondo è già cambiarlo. Il Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo

Sala Salvadori, Camera dei Deputati, 17 maggio 2017

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)

 

Magnifico Rettore Prof. Anelli,

Chiar.ma Prof.ssa Sciarrone Alibrandi,

Presidente Prodi,

Presidente Guzzetti,

Chiar.mo Prof. Rosina,

Signore e Signori,

Ringrazio l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e l’Istituto di Studi Superiori “Giuseppe Toniolo” per aver organizzato questo importante evento. Ringrazio anche la Camera dei Deputati che ci ospita.

E’ per me un doppio piacere essere qui perché l’Università Cattolica è la mia alma mater, che da giovane mi ha aperto gli occhi sulla ricerca e sul dialogo, nutrendomi di quelle conoscenze e di quei valori che mi hanno profondamente formato. Non sarei qui se non fosse per il percorso straordinario che ho intrapreso a Milano.

Ma essere giovani studenti a cavallo fra gli Ottanta e Novanta, come lo sono stato io, ed essere giovani studenti oggi è cosa ben diversa.

Ѐ aperta, dinanzi a chiunque si interroghi con senso di responsabilità sul futuro del nostro Paese, la delicata questione della condizione giovanile.

Una tematica da sempre complessa e decisiva, che intreccia inevitabilmente altri risvolti del contesto sociale, si connette al disagio produttivo, all’impoverimento delle famiglie, alla contrazione demografica, alla crisi dello Stato.

Una tematica che interroga in maniera trasversale una politica che per lungo tempo ha risposto con il fiato corto dell’improvvisazione alle legittime aspirazioni e alle difficoltà incontrate dai giovani, offrendo in tal modo un determinante contributo alla diffusione di facili slogan, ricette astratte, tentazioni demagogiche.

«Siate voi stessi, siate ottimisti», scriveva nel lontano 1934 un uomo politico a me caro, Alcide De Gasperi, appellandosi ai componenti dell’Associazione universitaria cattolica, in un testo nel quale evidenziava come la difficoltà maggiore di un giovane dell’epoca fosse quella di «essere e rimanere se stesso».

Ho ripreso una simile testimonianza perché credo che il primo interrogativo cui sia necessario fornire risposta è proprio questo: come aiutare i nostri ragazzi a rimanere se stessi oggi, in un tempo storico segnato dal progressivo allargamento del solco tra sogni, desideri, ambizioni ed effettive possibilità di realizzazione.

Come sostenerli nell’impegno a migliorare loro stessi e la società, nel rifiuto a lasciarsi «inghiottire dalla mediocrità» e nel desiderio di fare della loro vita «qualcosa di grande», per utilizzare le splendide parole che Giovanni Paolo II pronunziò durante la Giornata mondiale della Gioventù, nell’agosto 2000, rivolgendosi proprio a loro, le «sentinelle del mattino» all’alba del nuovo millennio.

La crisi ha investito in pieno le giovani generazioni: sul terreno economico e dell’occupazione, così come in ambito valoriale, intaccando financo quella diffusa solidarietà generazionale che ha sempre rappresentato un nostro patrimonio identitario. 

Franchezza, non certo retorica, vuole che si parta da un semplice presupposto: senza l’apporto decisivo di volontà e impegno delle nuove generazioni, non saremo in grado di sciogliere i nodi che ancora ostruiscono la via dello sviluppo del Paese.

Di conseguenza, una delle grandi questioni del nostro tempo è quella che investe il terreno delle politiche da attuare affinché i giovani non debbano rassegnarsi a vivere un presente senza prospettive, ma anzi siano parte attiva e dinamica nella costruzione di un futuro migliore, più giusto e prospero. Un futuro in cui le loro aspettative divengano energia vitale e strumento per la completa realizzazione di sé.   

Il contributo di lettura e analisi che l’Istituto Toniolo consegna alle pagine del suo “Rapporto giovani” fotografa una realtà fatta di ingegno, eccellenza, creatività, ovvero tutto ciò di cui i nostri ragazzi sono splendidi depositari. Creare solide basi per nuove opportunità di crescita e rimettere il Paese al passo con i tempi vuol dire puntare sul loro talento e sulla loro capacità di conquista.

Certo, non sfugge alla mia attenzione l’altra faccia della medaglia: la disillusione di una gran parte di ragazze e ragazzi che dopo avere fatto «un grande bagno di pragmatismo nelle difficoltà economiche» confessano di essere disposti a lasciare l’Italia pur di realizzare quelle aspirazioni di vita, in primo luogo trovare un lavoro e rendersi autonomi, costruire una famiglia e mettere al mondo dei figli, che i coetanei negli altri Paesi hanno già concretizzato.

Lasciare la propria terra perché mosso dal desiderio di migliorarsi, perché spinto dalla voglia di fare nuove esperienze positive e di aprirsi una finestra sul mondo, è qualcosa di bello che può capitare nella vita di una persona. Ma essere costretto ad andartene, perché il tuo Paese non ha la capacità di sostenere i tuoi sogni né di offrire concretezza alla visione del futuro che incarni, è tutta un’altra questione. La più insopportabile delle questioni.

Venire incontro ai giovani oggi vuol dire rendere effettive ed efficaci le politiche di investimento sulla famiglia come quelle che stiamo portando avanti nella nostra azione di governo: interventi economici e legislativi non certo episodici e frammentari, né tantomeno improntati ad una mera logica assistenziale, quanto piuttosto dettati da un convincimento etico di fondo e dalla consapevolezza che per fare fronte alla denatalità, per colmare il margine tra figli avuti e figli desiderati, occorre mettere in campo interventi strutturali.

Io credo che sollecitare tutte le potenzialità inespresse e liberare le energie giovanili voglia dire in primo luogo investire nelle strategie di innovazione culturale e nella qualità del modello formativo. Ad esempio, riannodando un filo unitario tra percorso scolastico secondario e percorso universitario che abbia come sbocco un migliore rapporto di contaminazione con il mondo del lavoro e con le esigenze della realtà produttiva e sociale.  

Lo dico qui, dinanzi ai vertici di una delle grandi eccellenze del panorama accademico e culturale italiano, l’Università Cattolica del Sacro Cuore: un modello che altri Paesi ci invidiano per la capacità di irradiare nuove idee e nuove conoscenze, per l’attitudine a suonare lo spartito di un’offerta formativa d’eccellenza, per la propensione a valorizzare i giovani quali artefici del nuovo e ponte di comprensione sul futuro.

L’Università italiana non può e non deve considerarsi estranea al vento del cambiamento e della trasformazione che soffia sulle nostre società. Ma deve anzi irrobustire, ed essere aiutata a rafforzare, il suo ruolo di centro propulsore dell’innovazione, per riuscire ad intercettare sempre meglio ognuna delle opportunità che il contesto globale pone dinanzi a noi tutti, per offrire ai nostri giovani quel corredo di competenze teoriche e tecniche necessarie ad affrontare le grandi sfide della complessità moderna e a muoversi sulle piattaforme della concorrenza mondiale.  

Da qui la necessità cui è chiamato il nostro sistema formativo, in un’epoca dominata dalla retorica anacronistica sui nuovi muri, di aprirsi verso l’esterno, di sviluppare collegamenti e definire strategie di collaborazione con altri centri di produzione e trasmissione del sapere secondo una logica integrata alle nuove esigenze produttive.

L’internazionalizzazione del nostro sistema universitario, intesa come volano di cambiamento, innovazione, creatività e occupazione, avrà tanto più successo quanto più sarà determinato il nostro impegno ad “unire le forze”, muovendoci finalmente come comunità nazionale. Sui contenuti siamo imbattibili: siamo la superpotenza della cultura e secondi a nessuno in tantissime discipline, dall’area umanistica alle scienze, passando per il design, l’architettura, l’ingegneria, la moda.

Da Ministro degli Affari Esteri non posso non rendervi partecipi del grande impulso con cui la Farnesina ha contribuito a definire il Piano strategico per la promozione all’estero del sistema nazionale della formazione superiore investendo anche in diplomazia economica, ovvero coinvolgendo il settore privato e le imprese che rappresentano l’eccellenza della nostra industria creativa e quindi un pezzo importante dell’immagine culturale italiana.

Tutto questo rientra in una logica strategica finalizzata a moltiplicare le opportunità di creare lavoro per i nostri giovani.

È ovvio che si deve fare di più. La disoccupazione giovanile resta la principale sfida di politica economica, in Italia come nel resto del continente europeo. Fronteggiarla richiede anzitutto impegno da parte dei Governi nel proseguire il percorso delle riforme strutturali, ossia l’unica strada per sbloccare nel medio termine il potenziale di crescita dei sistemi economici.

L’Unione Europea, anche grazie all’insistenza dell’Italia, ha accordato priorità assoluta ai capitoli sulla formazione, l’imprenditorialità e l’accesso al lavoro.

L’Unione Europea deve fare la propria parte, sostenendo lo sforzo riformatore degli Stati e, soprattutto, tornando ad occuparsi non solo di economia e finanza, ma del benessere delle persone.

È questo il senso dell’appello a costruire un’Europa sociale contenuto nella Dichiarazione di Roma dello scorso 25 marzo. Solo se tornerà ad essere un progetto in grado di offrire prospettive e speranze ai giovani, l’Unione Europea potrà avere davvero un futuro.    

Io ho fiducia nell’Europa. L’Europa che definisce e plasma la sua identità investendo sulla grande risorsa della generazione Erasmus, ovvero sulla vivacità dei nostri giovani che mettono in circolo idee, interessi, progetti, speranze, sogni e visioni, condividendo la loro sete di conquista in un enorme spazio aperto di pace, libertà e giustizia. Ed ho fiducia nei giovani italiani, nella loro grande capacità di sognare, ideare, progettare, costruire un futuro migliore e realizzare insieme l’Europa di domani.

I giovani rappresentano quella che un mio illustre predecessore, il Ministro degli Esteri Gaetano Martino, definiva «l’Europa delle speranze»: che «promette di progredire più rapidamente e con maggiore concordia dell’Europa di ieri; che non deluderà le speranze della maggioranza delle persone libere che desiderano conservare la libertà e moltiplicarne i frutti».

Grazie mille.

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