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Saluto finale dell’On. Ministro ai Rome Med Dialogues

(Fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)

 

Signor Presidente Emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano

Presidente Gentiloni,

Colleghi Ministri,

Onorevoli Deputati e Senatori,

Signore e Signori,

Sono stati tre giorni intensi. Il tempo assieme è volato e siamo già alla fase conclusiva della III edizione dei Med Dialogues. Una iniziativa che nasce da una felice intuizione – ci tengo molto a ricordarlo qui – del Presidente Gentiloni quando era alla guida della Farnesina. È lui il padre fondatore di questo grande evento. E ringrazio anche molto l’ISPI e tutta la squadra della Farnesina per l’eccezionale organizzazione.

Queste tre giornate e l’alta partecipazione politica e accademica hanno confermato che i Med Dialogues sono l’appuntamento internazionale più significativo di riflessione strategica sul Mediterraneo.

Quest’anno:

–       hanno partecipato i rappresentanti di 56 Paesi;

–       45 fra Capi di Stato, Primi Ministri, Ministri degli Esteri e Alti Rappresentanti delle Organizzazioni internazionali;

–       complessivamente, 800 personalità del mondo politico, degli affari, della cultura e della società civile del Mediterraneo;

–       e ben 80 think tanks, per approfondimenti ed analisi.

Mi spiace non aver potuto assistere a tutti i panel, in quanto ho avuto una lunga serie di colloqui bilaterali, ma ho chiesto ai miei collaboratori di fornirmi un resoconto dettagliato che leggerò con grandissima attenzione.

Vorrei sottolineare, in particolare, due punti che riflettono secondo me il forte valore aggiunto di questi tre giorni.

In primo luogo, in questo momento di crisi nel Mediterraneo, di visioni fortemente divergenti, se non addirittura polarizzate, abbiamo voluto dare la parola a tutti i protagonisti della politica estera della regione. Lo abbiamo fatto nella consapevolezza che il pluralismo – che noi come Italia promuoviamo nel Mediterraneo – non può prescindere dalla più ampia pluralità di vedute, anche quando sono contrapposte.

Abbiamo assistito in questi giorni a varie discussioni, talvolta anche intense, e siamo contenti di questo risultato perché il presupposto per dialogare non può che essere quello di “mettersi in discussione”. E riteniamo di aver sostenuto questo dialogo costruttivo anche grazie all’attitudine dell’Italia all’ascolto rispettoso dell’altro e a una capacità di mediazione favorita dalla nostra storia di non-ingerenza negli affari interni degli altri.

Non ci facciamo illusioni. Quando le crisi sono così profonde e difficili, le soluzioni non sono mai a portata di mano. Ma il negoziato, anche quando si protrae a lungo, è di per sé un valore fondamentale. Preferiamo i colloqui e le parole, agli scontri violenti e ai proiettili.

Il secondo punto sul quale vorrei riflettere, dopo tre giorni di dibattitti, è che non vi è dubbio che, per collocazione geografica, l’Italia abbia subito un forte e immediato impatto delle onde di instabilità politica, sociale ed economica provocate dalle tempeste nel Mediterraneo.

Ma credo anche di poter dire, come ci è stato riconosciuto da più interlocutori, che l’Italia abbia affrontato queste crisi in maniera dignitosa ed onorevole, e sempre nel rispetto dei diritti fondamentali.

E, aggiungo, che l’Italia è diventata oggi un Paese più responsabile. È  un risultato, questo, ottenuto con una linea politica seria che ha rifiutato le illusorie sirene dei populisti; e che non ha mai cercato di strumentalizzare le difficoltà del vicino per diffondere paura tra gli italiani, nel tentativo di accaparrare facili consensi.

Del resto, Roma nasce dalla storia di un profugo: Enea, che scappa dalla guerra di Troia e inizia qui, in queste terre, la stirpe di Romolo, fondatore di Roma. È ancora un simbolo del nostro tempo, perché Enea compie il suo viaggio, attraverso il Mediterraneo, non solo per salvare la sua vita e quella della sua famiglia, ma anche per mettere in salvo la sua cultura e le sue radici e per preservare la sua identità.

E nel giro di alcune generazioni, da quella fuga, è poi germogliato un futuro di prosperità e di benessere, di cui noi siamo gli eredi.   

La storia di Enea ci insegna che ogni crisi crea nuove opportunità. E in questi Med Dialogues abbiamo dato spazio tanto alle sfide, quanto alle opportunità, promuovendo un’Agenda Positiva per il Mediterraneo.

Uno dei tasti sui quali ho battuto – durante quest’anno di mandato alla Farnesina – è che il Mediterraneo “unisce” l’Europa all’Africa, continente nel quale è stato in missione il Presidente del Consiglio nei giorni scorsi. Il Mediterraneo è una piattaforma di connettività globale, fra l’Europa, l’Africa e il mondo:  di connettività logistica, pensate al raddoppio del Canale di Suez e alla “Via della Seta” cinese; di connettività energetica, pensate alle scoperte di gas nel Mediterraneo orientale; e di connettività culturale, pensate alla necessità di ritrovare il filo del dialogo – in uno scenario post-Daesh – a difesa del patrimonio culturale e del pluralismo politico e religioso.

Così come gli Stati Uniti e il Canada hanno trainato la crescita e lo sviluppo dell’America centrale e meridionale…

…così come la Cina e il Giappone hanno trainato la crescita e lo  sviluppo del Sud Est asiatico…

…è ora che l’Europa investa senza paura nel Mediterraneo e da lì verso l’Africa, perché il ritorno di crescita e di sviluppo sarà enorme.  

Si parla spesso dell’importanza del commercio ed è effettivamente così: la difesa del libero commercio è una priorità condivisa fra le nostre due sponde. Tanto più che la nostra civiltà e la nostra attitudine al negoziato nascono negli empori fenici, dove i nostri antenati hanno imparato che il commercio genera non solo crescita ma anche stabilità: perché dove passano le merci non passano gli eserciti.

Ma, come diceva De Gasperi, non si può essere per la libertà di commercio o per la libertà in genere delle comunicazioni economiche ed essere contro la libertà delle comunicazioni del pensiero, delle idee, delle discussioni. Una libertà è legata all’altra.

Sarebbe tuttavia riduttivo guardare ai nostri rapporti, fra il nord e il sud del Mediterraneo, in un’ottica puramente di export. Ad esempio, pensate al fatto che oggi nel Mediterraneo allargato ci sono oltre 150.000 studenti di italiano e sono in vigore 1022 accordi fra università. È un patrimonio culturale e scientifico che abbiamo voluto riaffermare e rilanciare con la firma di un’intesa tra Italia, Tunisia, Algeria, Egitto, Libano e Libia per promuovere un grande “Erasmus del Mediterraneo”, che avvicini sempre di più le due sponde dell’Europa e dell’Africa.

Gli scambi culturali favoriscono la conoscenza reciproca, ci aiutano a superare l’indifferenza e a sconfiggere i pregiudizi. E in questo senso la cultura è anche il presupposto per sviluppare un grande flusso di investimenti fra l’Italia e l’Africa, attraverso il Mediterraneo.

Per anni si è parlato di un “Piano Marshall per l’Africa” e dell’Italia come “ponte ideale nel Mediterraneo” fra l’Europa e l’Africa. Sono concetti che – per evitare di ripetere meri slogan – necessitano però di essere sviluppati su basi concrete. Tanto più che noi Mediterranei abbiamo un approccio realistico.

Servono appunto programmi pragmatici per avvicinare le due sponde del Mediterraneo, lavorando passo dopo passo, progetto dopo progetto.  E dopo tanti progetti reali, sono sicuro che avremo alimentato un processo irreversibile, che andrà oltre la retorica e che renderà ineluttabile il nostro destino comune nel Mediterraneo. Oggi, mi sento di dire, con questi Med Dialogues, abbiamo fatto un passo in avanti nella giusta direzione.

Grazie mille, e ora invito ad intervenire il Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni.

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