Benvenuti ai sesti Dialoghi Mediterranei di Roma, promossi dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dall’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale. Ringrazio l’Ambasciatore Massolo e il Dott. Magri, e con loro tutta la squadra di ISPI che, assieme al MAECI, ha curato in circostanze che non ci saremmo aspettati questa edizione di MED, in un formato tutto virtuale.
In soli cinque anni Roma è tornata al centro della riflessione sui temi del Mediterraneo e i MED Dialogues sono divenuti il principale foro di dialogo internazionale sul Mediterraneo. Un risultato che ci incoraggia e ci sprona a migliorare anno dopo anno.
Per agevolare il dibattito, abbiamo confermato la suddivisione dei Dialoghi in quattro pilastri tematici: prosperità condivisa, migrazioni, sicurezza condivisa, cultura e società civile. In ciascuno di questi ambiti, tutti decisivi per il futuro della regione, a questioni da tempo insolute e storici fattori di criticità si sono improvvisamente sovrapposte, aggravandoli, le urgenti ripercussioni dirette e indirette del contagio.
Ne emerge un quadro di preoccupante fragilità per gli equilibri politici, economici e sociali dell’intera area del Mediterraneo allargato. Lo scenario regionale, da sempre complesso, esprime oggi un elevato tasso di polarizzazione.
Essa è il prodotto dell’interazione tra crisi di lungo periodo, alimentate anche dalla cronica frammentazione interna, e l’evoluzione nella competizione geopolitica e ideologica, che a dicotomie più tradizionali unisce rinnovate spinte concorrenziali per la sovranità su porzioni di mare e sulle loro risorse, specie quelle energetiche. Di questa eterogenea miscela di instabilità sono visibili tracce evidenti in ciascuno degli attuali scenari di crisi con cui ci confrontiamo nella regione.
Prendiamo il caso della Libia. Rimane essenziale conseguire l’obiettivo di assicurare l’unità, l’integrità e la sovranità del Paese, attraverso una soluzione politica complessiva dell’attuale impasse e a beneficio di tutta la popolazione libica. Dopo mesi di un conflitto che ha portato ai limiti la capacità di sopportazione della popolazione civile, aggravato le condizioni economiche del Paese e messo a rischio l’integrità nazionale, i libici hanno scelto di porre fine alle ostilità, concludendo il 23 ottobre scorso un accordo di cessate il fuoco complessivo e permanente, nel solco del Processo di Berlino e a guida ONU.
In questa prospettiva incoraggiante, l’Italia ha accolto con soddisfazione gli esiti della riunione a Tunisi del Foro di Dialogo Politico Libico (LPDF). Sono state assunte decisioni importanti. Ora abbiamo una road-map verso una soluzione complessiva della crisi, con la creazione di una nuova autorità esecutiva, rappresentativa di tutte le regioni della Libia, e un traguardo fissato al 24 dicembre 2021 in libere elezioni parlamentari e presidenziali nel Paese. Si tratta di sviluppi indubbiamente positivi, ed è importante che siano affiancati e sostenuti da analoghi avanzamenti nel campo della sicurezza.
Alla Comunità internazionale tutta resta l’obbligo di rispettare e proteggere da interferenze straniere e interne lo spazio di dialogo che i libici, anche grazie all’iniziativa di UNSMIL, sono riusciti a crearsi in questo cruciale passaggio. Ma è chiaro che per l’Italia la stabilizzazione della Libia e il ripristino dello stato di diritto su tutto il suo territorio riveste un’importanza assoluta e prioritaria.
Al riguardo, crescente rilevanza assume il tema della proiezione turca nel Mediterraneo orientale, con riflessi non solo sugli assetti politici in Libia, ma anche a Cipro, in Iraq, Siria e, più in generale, sulla cooperazione energetica regionale. L’Italia e l’UE hanno invitato Ankara ad astenersi da azioni unilaterali, sottolineando la necessità di portare avanti un confronto trasparente e costruttivo nei tempi stabiliti dal Consiglio Europeo. Se ne condivide il valore e l’interesse, anche la Turchia deve contribuire concretamente a mantenere un contesto stabile, prevedibile e sicuro nell’area. Questo è il presupposto minimo per tenere in piedi una cooperazione reciprocamente vantaggiosa.
Quanto al processo di normalizzazione dei rapporti tra Israele e mondo arabo, avviato con gli Accordi di Abramo, lo riteniamo un contributo positivo non soltanto alla stabilità e alla pace in Medio Oriente, ma anche al suo sviluppo e alla sua prosperità. Testimonia la forza della diplomazia anche in processi di straordinaria complessità.
Deve però rimanere ben chiaro che per assicurare una pace duratura all’intera regione rimane fondamentale la ripresa del processo di pace israelo-palestinese attraverso negoziati diretti tra le parti, volti a raggiungere una soluzione a due Stati giusta, sostenibile, praticabile e in linea con il diritto internazionale.
L’Italia è pronta a spendersi in prima persona, come dimostrano le mie recenti visite proprio in Israele e in Palestina, e negli Emirati Arabi Uniti. Conto nei prossimi mesi di compiere ulteriori missioni.
Nel Golfo ci troviamo di fronte a un contesto complesso, eterogeneo e volatile sia nei rapporti internazionali tra Paesi dell’area sia al loro interno. Penso all’Iraq, un Paese strategico per l’equilibrio della regione. L’Italia e l’UE rimangono impegnate nel rafforzamento delle sue istituzioni, nonostante i rischi e le difficoltà legati alla sicurezza interna e alla fragilità del quadro economico nazionale.
In Siria l’Italia continua a sostenere il processo politico guidato dalle Nazioni Unite a Ginevra e ne sostiene gli sforzi affinché si registrino progressi nei lavori del Comitato costituzionale e in tutte le altre questioni menzionate dal Consiglio di Sicurezza. Mi riferisco in particolare al rilascio dei detenuti.
C’è poi lo Yemen dove si fa giorno dopo giorno sempre più urgente la necessità di superare l’attuale stallo e progredire verso una composizione politica del conflitto in questo martoriato Paese di straordinaria importanza geopolitica.
Solo una manciata di chilometri dello stretto di Bab el-Mandeb lo separano dal Corno d’Africa, purtroppo tornato a destabilizzarsi con la crisi nel Tigray, e dalle propaggini meridionali di quella fascia saheliana che l’Italia considera un’area di prossimità euro-mediterranea, essenziale per la sua stabilità e prosperità.
Sul fronte iraniano, infine, uno dei nodi principali rimane l’attuazione dell’Accordo sul nucleare, che sconta numerose difficoltà dopo il ritiro americano dall’intesa e la progressiva disapplicazione da parte di Teheran dei suoi obblighi. Siamo consapevoli della fragilità dell’accordo, ma anche del suo valore ai fini della stabilità regionale e della non proliferazione. Riteniamo quindi importante, assieme ai partner europei, tornare alla sua piena applicazione, facendo appello anche al senso di responsabilità dell’Iran, in attesa che siano chiariti gli orientamenti della nuova amministrazione americana.
A tal riguardo, in Europa e nel mondo, molti si chiedono se e come cambierà la politica estera di Washington nei prossimi anni. Ritengo che non possiamo, e non dobbiamo, aspettarci un ritorno al passato. È molto probabilmente finita l’epoca in cui era possibile speculare sull’interventismo salvifico statunitense e confidare in una sorta di delega permanente agli USA anche per la risoluzione di tutte le questioni che riguardano Mediterraneo e Medio Oriente.
Questo non significa affatto che bisogna lasciar spazio ad altre potenze esterne. Possiamo invece provare a percorrere la strada della cooperazione, ma servono impegno e strumenti di governance adeguati.
Ritengo che proprio la pandemia ci abbia ricordato in modo inequivocabile il valore di un approccio cooperativo per fronteggiarne le conseguenze dirette e indirette. Da un punto di vista generale, il quadro con cui oggi l’intero Mediterraneo allargato deve fare i conti a causa del COVID-19 converge verso manifestazioni, seppur variabili, di crescente vulnerabilità sociale ed economica.
Le stime del Fondo Monetario Internazionale per l’area MENA sono eloquenti: si prevede infatti che l’economia della regione si contrarrà del 5,7% quest’anno, a causa del “doppio shock” della pandemia e del calo dei prezzi del petrolio, mentre nei Paesi interessati da conflitti il PIL potrebbe subire riduzioni fino al 13%.
Ad aumentare nei Paesi MENA è stata anche la frammentazione sociale. La diffusione del virus sta inoltre avendo un forte impatto sulle prospettive occupazionali in territori, dove, già prima della pandemia, un quarto dei giovani e più di un terzo delle donne risultavano disoccupati.
Non c’è dubbio che la recessione economica causata dalla pandemia abbia incentivato le opportunità di trarre profitto dai movimenti migratori verso l’Europa, in primo luogo verso l’Italia.
Abbiamo risposto, ancora una volta, scegliendo la strada del dialogo e intensificando la cooperazione in materia di migrazione con i Paesi nordafricani, secondo un approccio integrato e multiforme. Siamo rimasti in prima linea nelle operazioni di soccorso e di accoglienza dei migranti. Abbiamo fondato sulla tutela della dignità di ogni essere umano la ricerca di un equilibrio tra diritti individuali e sicurezza della nostra collettività nazionale.
Il buon esito di questa difficile conciliazione esige però che siano responsabilizzati e coinvolti in un dialogo paritario ma franco non solo i Paesi di destinazione dei flussi migratori, ma anche quelli di transito e d’origine, sostenendone le strutture istituzionali e di controllo. Facciamo fino in fondo la nostra parte, ma chiediamo in cambio limpida collaborazione e impegno concreto.
Questa stessa attitudine da parte di tutti i partner della regione è indispensabile anche per contenere e marginalizzare il fenomeno terroristico. Rimuovere le cause profonde di minacce ibride e transazionali è fondamentale per promuovere pace, stabilità e sviluppo nel Mediterraneo allargato. Ma non basta.
A fronte dei molteplici rischi associati alla crescente polarizzazione, occorre persistere in un dialogo costruttivo con ciascuno degli attori regionali e ottenere il massimo dal potenziale delle strutture di governance già attive nell’area o di più recente istituzione.
La strategia italiana parte dal presupposto che l’interazione tra i Paesi di entrambe le sponde del Mediterraneo debba svolgersi tra partner a pieno titolo, ciascuno dei quali è parte della soluzione e non del problema.
Certo, la sola proiezione geografica non basta a far sì che l’Italia resti centrale per gli equilibri dell’intero Mediterraneo allargato, orientandone in senso esclusivamente cooperativo la governance. Ma non ci mancano determinazione e capacità di iniziativa politica e diplomatica.
Il contributo italiano è indispensabile per mettere ordine nelle molteplici contese che increspano la superficie di questo mare e porre i presupposti perché tutti gli attori regionali in gioco traggano beneficio dalla loro soluzione.
Abbiamo risorse e assetti. Mettiamo sul tavolo capacità addestrative, una riconosciuta perizia nei programmi di consolidamento istituzionale, di riforma dell’economia e del welfare. Offriamo cooperazione in campo sanitario, energetico, scientifico e culturale. Disponiamo di capitale diplomatico e dinamismo economico-commerciale.
Nel 2019 l’interscambio tra l’Italia e l’area MENA ha superato i 61 miliardi di Euro, riguardando per il 43% i soli Paesi del Nord Africa. Il valore delle nostre esportazioni ha sfiorato i 30 miliardi di Euro, corrispondenti al 6,2% sul totale del nostro export. Ma sono certo che ci sia un grande potenziale ancora inespresso.
La promozione di un’agenda così ambiziosa per questo nostro spazio comune richiede uno sforzo congiunto e trasparente anche a livello UE. Da sempre sosteniamo una Politica europea di Vicinato efficiente, in grado di avvicinare l’Unione ai partner della sponda Sud e di favorire la creazione di una grande area di prosperità, stabilità e buon governo nel Mediterraneo.
Proponiamo un nuovo approccio europeo basato sulla gestione congiunta dei “beni comuni mediterranei”, ossia quelle risorse, materiali e immateriali, condivise da tutti i Paesi e le comunità dell’area. L’obiettivo è quello di incoraggiare i Paesi della sponda Sud affinché all’impegno europeo corrisponda un loro contributo più robusto alla stabilità e alla sicurezza dell’area mediterranea, anche con riferimento alle dinamiche migratorie irregolari.
Il ripristino di equilibrio, sviluppo e sicurezza nel Vicinato Sud sono essenziali anche da una prospettiva transatlantica. Questo significa intensificare il dialogo politico e la cooperazione tra la NATO e i suoi partner del Fianco Sud e nel Sahel.
Sotto questo profilo, la realizzazione dell’Agenda 2030 ci offre una grande opportunità. Resta il quadro di riferimento per l’azione della nostra cooperazione bilaterale nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo.
[Ma] può rappresentare anche l’ambito tematico privilegiato per un rilancio di strumenti di cooperazione regionale, che necessitano di un aggiornamento, come l’Unione per il Mediterraneo, che dopodomani festeggerà il venticinquesimo anniversario della Dichiarazione di Barcellona.
Prendiamo, ad esempio, i settori della protezione dell’ambiente, dell’economia circolare e della conservazione delle risorse, a cominciare da quelle energetiche. L’energia resta evidentemente un tema centrale per l’intera regione MENA, che include molti dei maggiori esportatori mondiali di idrocarburi. Su questo terreno si giocherà la competizione per rimodulare gli equilibri locali e globali nel medio-lungo periodo.
Cresce, sotto questo profilo, la rilevanza dei giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo orientale, e con essa il rischio che qui si allarghi rapidamente una nuova faglia di conflittualità regionale. La nostra ambizione, invece, è di giungere a una condivisione delle risorse che sia equa e vantaggiosa per tutti. Per questo, non faremo mancare il nostro sostegno alle occasioni di dialogo e di coordinamento settoriale tra gli attori coinvolti.
Penso alla nostra partecipazione all’East Mediterranean Gas Forum, iniziativa concepita per discutere di politiche comuni per l’impiego del gas estratto dai fondali del Levante e regolarizzare un coordinamento di mutuo beneficio fra Paesi produttori, di transito e di consumo.
Non c’è dubbio che emerga poi un interesse condiviso e collettivo a gestire e favorire la transizione energetica attraverso le fonti di energia rinnovabili, lo sviluppo delle interconnessioni elettriche e delle tecnologie adatte all’utilizzo dell’idrogeno. L’Italia, grazie anche a molte sue imprese all’avanguardia, può fungere da “ponte energetico” verso l’Europa e stimolare nuove forme di crescita economica basate sull’energia verde.
Si tratta di un settore chiave per le nostre molteplici iniziative per lo sviluppo dei Paesi nella sponda sud del Mediterraneo. Crediamo infatti che la creazione di impiego e il sostegno per le piccole e medie imprese locali siano condizioni essenziali per innescare un circolo virtuoso di investimenti e creazione di ricchezza.
È ciò cui vogliamo, ad esempio, contribuire nel Maghreb, dove la nostra azione è concentrata: sull’assistenza tecnica e finanziaria delle filiere produttive; sulla diffusione di pratiche industriali innovative e rispettose dell’ambiente; sulla formazione professionale; sulla creazione di partenariati che permettano di condividere conoscenze ed esperienze, anche adoperando con regolarità lo strumento dei business forum.
Ritengo infatti che tutto il nord Africa abbia ancora importanti margini di crescita e di complementarità con il sistema produttivo italiano. Per questo motivo, vogliamo approfondire le iniziative di diplomazia scientifica e culturale, e le collaborazioni avviate in materia di innovazione tecnologica e start-up, con l’obiettivo di stimolare il talento imprenditoriale di tanti giovani maghrebini desiderosi di costruirsi un futuro migliore in patria.
Perché attività come queste portino i loro frutti, è però fondamentale assicurare il coinvolgimento della società civile, per il contributo alla stabilizzazione e alla costruzione di società più inclusive nel Mediterraneo. A questo riguardo, vorrei citare in particolare il ruolo delle donne. Per sostenere e valorizzare il loro contributo decisivo a pace, sviluppo e diritti nella regione, mi preme ricordare l’iniziativa lanciata nel 2017 dal Ministero degli Esteri: il Mediterranean Women Mediators Network.
Come per le passate edizioni, abbiamo inoltre organizzato con ISPI una serie di eventi che precedono i MED Dialogues, aprendo il dibattito a migliaia di persone collegate da tutti i Paesi della regione. Con loro abbiamo già cominciato a discutere di futuro nel grande spazio del Mediterraneo allargato, di come pensarlo e di come costruirlo dopo la pandemia. Mi auguro che i lavori di MED Dialogues proseguano con questo stesso spirito propositivo e costruttivo, di guarigione e ricostruzione.
Al riguardo, permettetemi un’ultima digressione che renda merito all’impegno del mio Paese per garantire un accesso universale ed equo a vaccini, screening e trattamenti medici per il COVID-19. Ci anima la ferma convinzione che in queste straordinarie circostanze la salute debba essere considerata un interesse e un bene pubblico globale, reso disponibile alle popolazioni di tutti i Paesi.
C’è necessità di progredire velocemente in questa prospettiva. Per questo l’Italia convocherà nel 2021 un “Summit Globale della Salute”.
Ritengo che la pandemia ci offra un’occasione che viene data solo una volta a ogni generazione: quella di delineare un mondo finalmente modellato sul criterio della sostenibilità economica, sociale e ambientale. L’Italia sente di avere nei prossimi mesi una responsabilità particolare nel volgere il coordinamento internazionale in questa direzione, in qualità di co-presidenza della CoP26 e, soprattutto, di Presidenza G20.
La nostra ambizione è quella di fare del Mediterraneo allargato il laboratorio di questo processo evolutivo che ripristini la centralità delle persone, accordi precedenza alla salvaguardia del pianeta e, su tutto questo, ponga le basi per una prosperità condivisa tra le genti e le generazioni.
Nel Mediterraneo allargato c’è ancora spazio per soluzioni a problemi comuni fondate sul dialogo.
Apro formalmente i lavori dei MED Dialogues 2020 e auguro a tutti i partecipanti un buon lavoro!