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Terzi: Il ministro Terzi e i marò prigionieri

«VOGLIAMO sostenere la proiezione dell’Italia nel suo insieme su due grandi direttrici di fondo: la dimensione politica e la dimensione economica. Rientrano in questa profonda consapevolezza la responsabilità di tutelare sempre gli interessi dei nostri connazionali all’estero, quelli delle nostre imprese, ma anche la missione culturale del nostro Paese». Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha concluso il suo tour asiatico, che l’ha visto prima in Indonesia e poi all’incontro tra Ue e i dieci paesi dell’Asean (per l’Italia, un mercato da 10 miliardi di euro) in Brunei e soprattutto effettuare la prima visita di un uomo di governo italiano in Birmania, giusto all’indomani della sospensione delle sanzioni da parte dell’Ue.


Ministro Terzi, quando lei era in Indonesia la Farnesina ha sottratto ai pirati la nave Enrico levali, ma resta aperta la vicenda dei 2 marò: si poteva fare di più?


«Per quanto riguarda i marò, dal momento nel quale sono stati artatamente fatti entrare con la nave Lexie nelle acque territoriali indiane, io e gli altri membri del governo abbiamo costantemente insistito sul principio della legislazione internazionale in alto mare e sul principio della giurisdizione delle forze militari imbarcate anche su mercantili civili in funzione antipirateria. Sarebbe lunghissimo l’elenco delle riunioni internazionali nelle quali ho sollevato questo punto. E ho trovato sempre non solo piena comprensione ma molto spesso anche una disponibilità a intervenire. Sono almeno una ventina i paesi di ogni parte del mondo che mi hanno detto di essere intervenuti presso l’India, riferendomi i contenuti delle conversazioni. Al G8 ho fatto in modo di inserire nel comunicato un esplicito riferimento e ancora oggi alla riunione dell’Asean abbiamo ottenuto lo stesso. E mi ha fatto molto piacere che Lady Ashton sia intervenuta sulla necessità di un salto di qualità nell’azione anti-pirateria e nell’interpretazione dei principi giuridici, con evidente riferimento al caso del Kerala».



La vicenda Battisti e quella marò mostrano che paesi come il Brasile e l’India non accettino ingerenze. Qual è la strategia migliore per interloquire con loro?


«India e Brasile sono due paesi che da molto tempo mostrano una linea di politica estera più assertiva di quanto non fossimo stati abituati a vedere. Entrambi hanno una Sovranità Con l’India e con il Brasile è controproducente battere i pugni sul tavolo. Sono due Paesi che hanno una concezione assoluta della sovranità nazionale Filiera L’Italia lavora in campo internazionale perla pace e la sicurezza. Ma la nostra azione diplomatica vuole anche creare una filiera che sviluppa opportunità economiche concezione assoluta della sovranità nazionale. Ci sono paesi verso i quali battere i pugni sul tavolo è controproducente. Si interromperebbe qualsiasi possibilità di una soluzione accorta e ragionata».



Serve quindi il dialogo, la diplomazia. Ma quali sono le priorità globali della Farnesina?


«In primis l’Europa, il Mediterraneo inteso nelle sue dimensioni di profonda trasformazione e l’Asia. Ed è interessante vedere come ci sia sempre nei nostri interlocutori una grande attenzione nei confronti dell’Italia. Lo abbiamo visto in Birmania, dove l’interesse italiano a sostenere lo sviluppo economico del Paese in una direzione che sia anche di impulso alla democratizzazione è stato molto apprezzato sia dal presidente che dalla signora Aung San Suu Kyi. La stessa attenzione l’ho avuta nelle visite sia negli altri paesi asiatici che in quelli che hanno vissuto la primavera araba, per i quali stiamo lavorando moltissimo per accompagnarli nel loro percorso di consolidamento istituzionale. La nostra azione riguarda anche l’Africa, dove mi recherò a giorni, e dove vi sono grandi prospettive di sviluppo».



Lei ha sottolineato l’aspetto economico come ‘seconda gamba’ dell’azione della Farnesina. Può venire dall’export il motore di quello sviluppo che tanto manca al nostro paese?


«Ne sono convinto. Ed è per questo che la Farnesina si fa portatrice di un ruolo fondamentale. L’intensità di un rapporto politico ha un impatto abbastanza diretto sulle possibilità di fare impresa. E noi vogliamo farcene carico, con una visione della politica estera incentrata sulla dimensione della pace e della sicurezza, sul ruolo attivo del nostro paese nelle situazioni di crisi, ma anche sull’essere una filiera che crea opportunità economiche. E mi conforta che forse mai come ora percepisco una spinta da parte degli imprenditori a favore dell’internazionalizzazione».

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