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La comunità internazionale si è data appuntamento ieri e l’altro ieri a Roma per disegnare il volto di una nuova Somalia. C’è ancora molta strada da fare, ma due giorni di lavoro alla Farnesina di oltre 150 delegati, in rappresentanza di 43 Stati e Organizzazioni internazionali, sono serviti a indicare con maggiore chiarezza il cammino, in vista della fine della transizione fissata per il 20 agosto. A poche settimane da questa scadenza, la riunione del Gruppo Internazionale di Contatto era quindi l’ultima occasione utile per dare risposte concrete alle sfide cruciali per il futuro della Somalia come stabilizzare le aree liberate dal terrorismo? Come ricostruire un sistema giudiziario efficace? Come trovare le risorse per far ripartire l’economia somala? Dopo gli oltre due decenni di caos e sofferenze per il popolo somalo, negli ultimi anni ci siamo concentrati per sostenere la formazione di istituzioni legittime e funzionanti. Abbiamo dato fiducia al Governo Transitorio, che ha ripagato questa fiducia rispettando i tempi della transizione. Ora, perché questo processo sia completo e la stabilizzazione del Paese possa realizzarsi realmente, serve che la cesura rispetto al passato sia profonda. In tal senso, la riunione di Roma ha prodotto i suoi risultati, fornendo la prospettiva di un Governo e di un Parlamento che operano in un nuovo regime costituzionale, definito con un percorso che prevede anche il vaglio di un referendum popolare. Dobbiamo essere realisti: si tratta di un meccanismo complesso. Ma dobbiamo allo stesso tempo essere inflessibili sui principi: precise garanzie a tutela dei diritti umani vanno fissate a chiare lettere nel testo costituzionale finale. Una nuova architettura istituzionale non è infatti sufficiente da sola.


Non avremo davvero una nuova Somalia finché non saranno sanciti sulla Carta e rispettati nel Paese i diritti fondamentali della persona. La cartina di tornasole è la libertà di professare liberamente il proprio credo religioso, in nome della quale l’Italia sta conducendo una campagna in tutti i fori internazionali. L’aspettativa della comunità internazionale, ribadita con forza alla Farnesina in questi due giorni, è che la libertà di religione e di culto rappresenti un pilastro della Somalia del futuro. Domenica scorsa abbiamo assistito con orrore a vili attentati perpetrati in Kenya ancora una volta contro innocenti in preghiera. Esistono forze terroristiche che mirano a destabilizzare il Corno d’Africa. Per contrastare la loro atroce strategia è indispensabile una Somalia più stabile e forte alleato della comunità internazionale. E le parole pronunciate ieri dal Primo Ministro somalo Abdiweli testimoniano l’impegno ad operare affinché il testo definitivo della Costituzione recepisca i principi per i quali ci battiamo, gli unici che potranno garantire al popolo somalo un futuro degno di essere vissuto. La sicurezza è l’altra sfida cruciale. Sul terreno la situazione è migliorata grazie all’impegno congiunto della forza di pace dell’Unione Africana, Amisom, e dei contingenti schierati da Etiopia e Kenya per contrastare il movimento terroristico al-Shabaab. I frutti di questa evoluzione positiva li abbiamo toccati con mano, quando abbiamo potuto restituire sani e salvi all’affetto dei loro cari Bruno Pellizzari e la sua compagna, liberati grazie anche alla collaborazione fornita dalle autorità somale. Tuttavia, pirati e terroristi contano ancora su reti di appoggio nel territorio somalo. La riunione di Roma è servita anche a richiamare tutti gli Stati coinvolti nel contrasto alla pirateria a basare il loro impegno al rispetto dei principi di diritto internazionale: la pirateria è un problema di tutti, e tutti devono condividere responsabilità, principi e linee d’azione. Anche su questo piano l’Italia sta facendo la sua parte, assistendo e addestrando le forze di sicurezza somale. Investire sulla sicurezza e sul futuro della Somalia vuol dire investire sulla nostra sicurezza. La Somalia bussa alle porte – nostre e dell’Europa – molto più di quanto un superficiale sguardo all’atlante lasci credere. Il Corno d’Africa è in fondo l’estremo Sud del Mediterraneo. Proprio ieri, un segnale incoraggiante è venuto dalla liberazione in Libia dei quattro funzionari della Corte Penale Internazionale, in cui l’Italia ha svolto un ruolo importante riconosciuto dalla stessa Corte. Ma, come abbiamo più volte ribadito anche a Bruxelles, si può rispondere alle istanze delle primavere arabe e dell’intera regione solo costruendo uno spazio comune di sicurezza. E perché non resti solo uno slogan, una reale azione di stabilizzazione dell’area deve affrontare anche i fattori di instabilità provenienti dall’Africa sub-sahariana e dal Corno d’Africa. Per tutti questi motivi la “due giorni” alla Farnesina ha posto un mattone importante della nuova casa del popolo somalo ed è stata utile anche per rafforzare le fondamenta di casa nostra.

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