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Dettaglio intervista

L’emergenza spread morde nelle carni dell’economia italiana fino ad apparire uno spauracchio ingovernabile. Tuttavia, dal suo osservatorio privilegiato della Farnesina, Giulio Terzi vede un’Italia oggi con assai più voce in capitolo in Europa e in grado di affrontare con armi adeguate l’emergenza finanziaria. Ad un patto: che le riforme che il governo ha messo in campo siano completate e rafforzate e che contemporaneamente gli italiani – tutti, a partire dalle classi dirigenti – comprendano che occorre un cambio di mentalità. E dopo il 2013? «Penso che assisteremo ad una ricomposizione dell’elettorato su linee fondamentalmente moderate. Credo che sia questo il futuro del nostro Paese».


Ministro, anche ieri lo spread è stato da brividi e il giallo dell’iniziativa a tre Italia-Francia-Spagna poi smentita non ha certo giovato…


«Penso si sia trattato di un normale consiglio ministeriale nel quale è stata ribadita la conferma di voler andare avanti sulle decisioni assunte dal Consiglio europeo di fine giugno. Nessuna drammatizzazione. Quanto alla sua domanda, la preoccupazione maggiore è di modificare aspettative negative da parte dei mercati. Si tratta di un dato immateriale e tuttavia assai percepibile. Ciò che mi aspetto e che auspico è la capacità dell’eurozona di mostrare la solidità e la sostenibilità delle misure che sono state prese nell’ultimo Consiglio europeo. Siamo inseriti in una traiettoria giusta e se sapremo insistere sulla capacità di comunicare le nostre decisioni, ci saranno ancora settimane difficili ma esistono le condizioni per un quadro più sereno ad inizio autunno».


Eppure in tanti sostengono che senza crescita la partita è persa. Il suo ministero, concretamente, su quel fronte come agisce?


«Le riforme già fatte disegnano un quadro importante. All’interno del quale vorrei sottolineare la centralità del ministero degli Esteri. Il mio è un dicastero che ha la missione di sostenere con forza l’internazionalizzazione del sistema produttivo italiano ma anche quella dei servizi, della finanza, del sistema bancario. Abbiamo fatto passi avanti decisivi e non è un caso se negli ultimi dieci anni, pur in presenza di un Pil praticamente piatto, le esportazioni sono cresciute a ritmi fantastici con un aumento di 368 miliardi di euro. Dunque non solo economico: la realtà è che siamo un ministero di crescita, che favorisce la crescita. In questa attività sono stati coinvolti centinaia di imprenditori italiani e, nonostante il senso di sconforto che a tratti si registra, quando si tratta di cogliere queste occasioni si evidenzia una motivazione molto forte».



Ecco, ministro: il senso di sconforto. Come replica ai tanti che dicono: i sacrifici sono inutili visto che i mercati ci bocciano comunque?


«La mia non vuole assolutamente essere una giustificazione, ma è evidente che navighiamo in un mare in tempesta. Gli italiani devono essere convinti che la rotta indicata è quella è giusta. Dobbiamo continuare su questa strada mettendo in campo una grande capacità come Paese di fare sistema. Per esempio investendo sulla formazione. E’ importante che i nostri ragazzi capiscano che le opportunità ci sono e sono considerevoli, sapendo però che l’asse si è spostato da un garantismo esteso ad una situazione di competizione sempre maggiore. Il che obbliga ad un cambio di mentalità difficile da realizzare, mi rendo conto, e che tuttavia è fondamentale. Un cambio di mentalità che deve valere anche per la Pubblica amministrazione. Mi permetto di dire che la Farnesina si è mossa in questi ultimi anni in quella direzione e che allo stato riteniamo di essere competitivi con i partner europei e mondiali pur con risorse inferiori. Stiamo puntando molto sui giovani e su professionalità di eccellenza».



Ministro ma è vero o no che siamo appesi alla Germania, che o la Merkel si ammorbidisce oppure l’Italia affonderà?


«Fra qualche settimana si esprimerà la Corte costituzionale tedesca e tutti confidiamo in una pronuncia che confermi l’entrata in vigore del fiscal compact e dell’Esm. Nell’ultimo Consiglio europeo, la Germania ha condiviso conclusioni che vanno nella direzione auspicata. Assieme alla Francia, l’Italia ha valutato le conclusioni di quel vertice come un successo. I meccanismi per frenare la speculazione ci sono, l’eurozona è attrezzata a fronteggiarla. L’importante è rafforzare il senso politico di una omogeneità europea».



Omogeneità, ministro? Non è dunque vero che Berlino tutela solo i propri interessi?


«Non credo che la Germania abbia interessi sostanzialmente diversi da quelli degli altri partner dell’eurozona nel garantire la continuità dell’euro e il rafforzamento delle nostre economie. L’interesse della Germania è alla stabilità del sistema non al suo sconvolgimento o, peggio, disgregazione».



Al dunque la Germania è consapevole che la crisi dell’euro le si ritorcerebbe contro?


«Ne è straordinariamente consapevole».



Ma l’Europa sarà in grado di far fronte comune contro l’emergenza finanziaria? E l’Italia con il debito che si ritrova potrà giocare un ruolo o resterà spettatrice?


«Sinceramente a me pare che quanto avvenuto nei negoziati europei dimostra esattamente il contrario. E mi sembra anche che nonostante il debito al 123 per cento l’Italia si è presentata a Bruxelles con una credibilità riconosciuta e accettata da tutti. I vertici a tre o quattro lo confermano, e non eravamo lì a spiegare bensì a proporre. Ricordo che il nostro deficit è sceso, e continuerà a farlo. Risultati che ci son stati riconosciuti dalla Bce, dall’Fmi, dalla Ue. Rappresentano il nostro passaporto per pesare nei negoziati comunitari».



Ma è un passaporto sufficiente ? O serve qualcosa di più: una polizza di continuità dell’azione del governo Monti anche dopo il 2013?


«Tocca alla politica stabilirlo: alle aggregazioni che si creeranno, ai programmi che verranno messi sul tavolo. Non esiste alcun Lloyd che possa garantire contro eventuali involuzioni. Però si può essere ragionevolmente certi che nessun esito elettorale farà emergere forze politiche che potranno pensare di riportare il Paese sull’orlo dell’abisso dove ci trovavamo lo scorso novembre».


 


 

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