L’Italia «esclude tassativamente» un intervento militare in Siria, ma la nascita di una coalizione nazionale delle forze di opposizione a Bashar al Assad è «una svolta importante che può creare le condizioni politiche» per la fine del regime. A spiegarlo è il ministro degli Esteri Giulio Terzi, che in questi mesi ha seguito da vicino l’evoluzione politica e militare della crisi. In un’intervista a Pubblico, Terzi non nasconde un certo ottimismo mentre parla di una «svolta credibile, finalmente».
Ministro, cosa è successo a Doha?
«Da molti mesi si stava cercando di convincere le componenti frammentate dell’opposizione siriana a trovare una loro unità, e soprattutto obiettivi e principi comuni per lavorare insieme. Non solo nei confronti della comunità internazionale ma soprattutto nei confronti dell’interno popolo siriano doveva emergere l’esistenza di una vera alternativa politica al regime di Bashar al Assad. Quello che è avvenuto a Doha va in questa direzione, perché si è creata una coalizione di forze che comprende, sullo stesso livello, il Consiglio nazionale siriano, i comitati locali di coordinamento che agiscono all’interno del paese, componenti che fanno parte delle diverse minoranze: cristiana, alawita, drusa e soprattutto curda».
Le varie componenti dell’opposizione si sono impegnate all’unità e soprattutto all’obiettivo della cessazione delle violenze. Reggerà questa alleanza?
«La mia sensazione è che le condizioni per la svolta ci siano, che l’alleanza reggerà. Innanzi tutto, per la qualità delle personalità coinvolte, dall’imam sunnita Ahmad Moaz al-Khatib (che sarà eletto presidente di questa “Coalizione nazionale siriana delle forze dell’opposizione e della rivoluzione”, ndr) a Georges Sabra, capo del Consiglio nazionale siriano (Cns) che garantisce con la sua presenza una tutela delle minoranze cristiane. Oltre a ciò, questo lavoro molto serio e molto molto faticoso è sostenuto all’estero, dall’intero mondo arabo, dalla Lega Araba, dal mondo dei principali player occidentali europei e americani, oltre che dal Giappone».
Come influisce tutto questo sullo stallo militare, come riusciranno a sconfiggere Assad?
«Il cambiamento politico può determinare una maggiore unitarietà anche sul piano militare, nelle forze dell’insorgenza e dell’opposizione armata. Innanzi tutto, creando le condizioni per un comando unificato. Il fatto che ci sia un raccordo più diretto fra le componenti armate e la testa politica dell’intera organizzazione, e che questa testa politica sia rispettosa delle minoranze e inclusiva, oltre a porsi in un percorso di democraticità, tutto questo è molto più rassicurante della situazione pre-Doha, quando c’era frammentazione, i movimenti jihadisti continuavano a infiltrarsi per la comunità internazionale era impossibile trovare punti di riferimento chiari».
La comunità internazionale è stata però finora molto divisa e incapace di intervenire.
«Anche qui, ho riscontrato un cambiamento negli ultimi giorni con la Cina che passa da un atteggiamento considerato un po’ automaticamente legato a quello della Russia a una linea crisi propositiva. Anche perchè ormai guarda alle crisi in Medio Oriente come, non solo a un test per il suo status di attore globale ma anche come a un possibile rischio per le sue potenzialità di sviluppo a partire dall’approvvigionamento energetico. Anche le dichiarazioni del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov che si è detto determinato a portare avanti il dialogo con governo e opposizione è un dato significativo che lascia trasparire una nuova dinamica».
L’Italia interverrà militarmente per contribuire alla caduta di Bashar al Assad?
«Un contributo di tipo militare lo escludiamo tassativamente perché qualsiasi operazione di pace per l’Italia è legata a un quadro di legalità che discende dalle decisioni del Consiglio di Sicurezza e comunque dalla concertazione fra paesi alleati. Non sono mai state ipotizzabili decisioni a titolo nazionale su operazioni di questo tipo. Continueremo però a sostenere l’opposizione come abbiamo fatto finora, ospitando una riunione a Roma ed essendo parte attiva del gruppo “amici del popolo siriano”. Vogliamo impegnarci molto sul versante umanitario, siamo di fronte a una tragedia di proporzioni colossali. Il consiglio dei ministri pochi giorni fa ha indicato nell’assistenza umanitaria al popolo siriano una priorità elevatissima nell’utilizzo dei fondi della cooperazione. Stiamo individuando l’impiego di stanziamenti che ci mettano in linea con lo sforzo fatto dai principali altri paesi europei».
Lei è stato ambasciatore a Washington. La vittoria di Obama è una buona notizia?
«È un’ottima notizia perché io credo che l’America di Obama debba essere vista dall’Europa come un’America più forte nei suoi fondamentali economici. È un’America che continuerà una linea di approccio progressivo alla questione del disavanzo pubblico, ma al tempo stesso anche di rilancio dell’economia e della domanda. L’amministrazione democratica sta lavorando per riequilibrare un aspetto fondamentale che si era andato molto sbilanciando da una decina d’anni a questa parte: quello del rapporto fra classe media e livelli più alti di reddito. La politica fiscale tende a rivedere nel rilancio del potere d’acquisto della classe media un veicolo fondamentale per la ripresa della domanda interna. Inoltre il collegamento con l’Europa è molto saldo. Durante i momenti più difficili per l’ Eurozona i contatti del presidente americano con Roma e con le altre capitali europee sono stati strettissimi. L’ amministrazione Obama ha sicuramente un atteggiamento più aperto e di sostegno nei confronti dell’integrazione europea di quanto non abbiano avuto altre amministrazioni».
I marò torneranno a casa per Natale?
«Stiamo aspettando una decisione della Corte Suprema di Nuova Delhi che tarda ad arrivare. Di certo, dalla nostra ci sono tutte le ragioni giuridiche per aspettarci un verdetto favorevole su due aspetti fondamentali: quello della sovranità dello stato di bandiera per le navi in alto mare, e quello della giurisdizione funzionale sui militari, quali organi dello Stato. Questo secondo aspetto riguarda la dignità delle forze armate rappresentate da due uomini che sono immotivatamente e illegalmente trattenuti da otto mesi da uno Stato straniero e su questo l’Italia è determinata a far valere le sue ragioni».
Si candiderà dopo la scadenza del mandato del governo tecnico?
«Non è un problema che mi pongo».
E se glielo pongono altri, chiedendole di candidarsi?
«Anche se me lo pongono, continuo a fare quello che faccio fino all’ultimo giorno».