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Gentiloni: ”La nuova minaccia nasce nel Califfato, anche il nostro Paese pronto a combattere” (Repubblica)

ROMA. Paolo Gentiloni, ministro degli Esteri, lei oggi partecipa col premier Renzi alla “marcia” di Parigi. Vi aspettavate un colpo come quello contro Charlie Hebdo nella capitale francese?

«La nascita fra Iraq e Siria di un territorio controllato dai terroristi e poi l’utilizzo che il Daesh (la sigla in arabo dell’Is, ndr) ha fatto dei suoi primi successi ci diceva che offese del genere sarebbero state possibili. In Europa saranno ancora probabili. Quando si crea un magnete, un incubatore, un moltiplicatore come il Daesh le conseguenze sono poi prevedibili. In Italia non ci sono allarmi particolari, ma c’è una condizione generale che adesso davvero tutti conosciamo chiaramente. Quando la rivista ufficiale dei terroristi mette in copertina l’obelisco di San Pietro con la bandiera nera non ci sono molte interpretazioni da fare…».

ll nuovo responsabile della Farnesina da settimane ha puntato il suo lavoro sul Daesh, sui terroristi islamici, sugli effetti che la loro azione portano nel cuore dell’Europa e in tutto il Mediterraneo, Libia in testa.

«Nell’area del Medio Oriente per la prima volta si è insediato un gruppo terroristico che non ha precedenti in quanto a capacità militare, economica, organizzativa e direi soprattutto propagandistica, perché penso agli effetti moltiplicatori che si riverberano in Europa. Quello che è accaduto in Francia è la spia di questa minaccia nuova; illudersi che questa minaccia possa essere fronteggiata senza intervenire, astenendosi, credendo di poterci chiudere nelle nostre frontiere è un’idea pericolosa».

Cosa bisogna fare allora?

«Noi dobbiamo colpire, sradicare, estirpare la minaccia nel luogo in cui è più radicata, quello del Daesh: in luglio/agosto la minaccia era incomparabilmente maggiore di quanto non sia adesso sul terreno in Iraq. Ma le onde di ritorno, i movimenti di vari combattenti colpiscono in Europa e proseguiranno a colpire, a prescindere dal fatto che a Kobane o altrove ci possano essere delle vittorie militari per la coalizione a cui partecipiamo. Quella minaccia va estirpata, fronteggiando anche le altre che provengono da AI Qaeda, da Boko Haram e dagli altri focolai di terrorismo».

È una chiamata alle armi, una “sveglia” molto dura quella che lei fa.

«Il non-intervento è illusorio e pericoloso, così come sarebbe ancora più pericoloso pensare che il tema non riguardi noi, ma che ci sia qualcun altro che lo faccia per noi. L’idea che “vabbè, ci sono gli americani, ci pensano loro”, e poi noi magari ci prendiamo il lusso di dire che sono cattivi… non è più così. Tant’è che per battere il Daesh c’è una coalizione di 60 paesi. E per questo il Governo chiede unità al Parlamento non solo per rafforzare e riorganizzare il dispositivo che contrasta il terrorismo all’interno del Paese, ma per combatterlo fuori».

L’Italia è stata sempre poco abituata a presentazioni così crude…

«Non esiste l’outsourcing della nostra sicurezza, come europei e anche come italiani. Una linea isolazionista nuoce al Paese in termini di sicurezza, di economia, di tenuta dell’Italia stessa. ll punto che mi preoccupa è capire se la nostra classe dirigente, politica, giornalistica, economica, è consapevole che il mondo non ha più un equilibrio automatico, basato sull’equilibrio del terrore delle super-potenze o sull’illusione di una onnipotenza americana».

Ministro, il colpo al cuore di Parigi ci fa soffrire tutti, ma lei ha detto chiaramente molte volte che la sola opzione militare non basta.

«Certo, e lo confermo. Così come faccio tutte le analisi e le avvertenze necessarie: l’Islam non è identificabile col terrorismo: i terroristi islamici, come ha ricordato il presidente egiziano Sissi, sfidano anche la maggioranza dei governi e dei credenti islamici. Il terrorismo non si sconfiggerà solo con lo strumento militare, nelle comunità islamiche europee troveremo i primi alleati contro il terrorismo. Tutto questo è vero, tutte queste sono cautele di intelligenza politica da adottare per non aggravare la situazione invece di aiutare a risolverla. Ma queste cautele sono vere in un quadro che non deve avere equivoci: dobbiamo combattere questa minaccia. Punto».

In Italia ci si divide sull’uso o meno della parola “guerra”, il che sottende una divisione ideologica o forse soltanto politico-tattica fra chi appoggia la lotta al terrorismo e chi magari vuol provare a utilizzarla per scopi elettorali.

«Qui siamo di fronte a uno scontro frontale, anche militare. Non conta la parola, contano i fatti. Chiaramente senza metterci a fare delle crociate idiote, stabilire delle equivalenze che non ci sono, e tantomeno confondere i barconi dei disperati che arrivano sulle nostre coste con i terroristi armati di Kalashnikov».

Ultima domanda sullo stato della trattative Italia-India per i due maro’ Latorre e Girone.

«La condizione sanitaria di Latorre è sotto gli occhi di tutti, il Governo italiano si augura che questo aspetto umanitario venga considerato dalla Corte Suprema indiana quando lunedì deciderà se prorogare o meno la sua permanenza sanitaria in Italia. Per noi in ogni caso le condizioni di salute di Latorre sono una priorità inderogabile. Per ora basta così».

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