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Di Maio: «Subito 300 milioni per sostenere l’export, è l’ora dei mercati maturi» (Il Sole 24 Ore)

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«Le nostre esportazioni di merci e servizi rappresentano una priorità strategica nella politica economica estera del governo italiano dal momento che costituiscono la componente più dinamica della ricchezza nazionale, il 32% del Pil deriva infatti dall’export. È chiaro che le nostre imprese dovranno superare molte difficoltà evincere sfide in complessi scenari anche alla luce dell’emergenza coronavirus». Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, spiega così le misure del governo. Per questo – dice il ministro degli Esteri – per il 2020 abbiamo messo a disposizione circa 300 milioni che attraverso l’Agenzia Ice potranno andare a finanziarie il sostegno del made in Italy». Fra un vertice a Palazzo Chigi sul coronavirus e la missione a Belgrado per rilanciare l’allargamento dell’Unione europea, Di Maio, ci tiene a mandare un segnale alle imprese italiane che si trovano a combattere sulla frontiera dell’export in un momento delicato come quello attuale. Sul divieto di voli diretti con la Cina che ha fortemente irritato Pechino, il ministro nega che ci siano due linee nel governo e confermala solidarietà «al governo e al popolo cinese». «Il ministro della Salute – dice – ha agito sulla base non di valutazioni politiche, ma di valutazioni tecniche e scientifiche». Il divieto cesserà – aggiunge – appena cominceranno a calare i contagi. E sullo studente egiziano arrestato al Cairo per l’impegno nel caso Regeni, si limita a dire: «Seguo con attenzione il caso attraverso l’ambasciata a Il Cairo».

Ministro Di Maio, il coronavirus e il probabile rallentamento dell’economia cinese potrebbero creare ulteriori rallentamenti all’economia italiana, proprio a export e turismo internazionale che ne sono le componenti più dinamiche. C’è un modo per scongiurare un altro anno di stagnazione?

Il coronavirus in particolare e il generale rallentamento dell’economia cinese potranno creare rallentamenti all’economia mondiale, non solo a quella italiana. Ma sarà soprattutto la nostra componente export quella che ci consentirà attraverso una mirata diversificazione di mercati di attutire questo fenomeno. Bisogna infatti sapere prevedere e intensificare il nostro impegno verso i principali mercati dell’Unione Europea (Germania, Francia, Regno Unito e Spagna), gli Stati Uniti, mercato strategico per il nostro export sia in termini di interscambio che di attrazione di investimenti esteri, India, Messico e Giappone (dove il trattato di libero scambio sta garantendo notevole successo al nostro export) e i Paesi del Golfo, in particolare gli Emirati Arabi Uniti che ospiteranno il prossimo Expo. Vista l’incertezza mondiale è il momento di puntare su mercati già maturi.

Quante sono le imprese italiane che lavorano in Cina? Pensate a misure di sostegno per chi resta? E per chi esporta in Cina?

Abbiamo oltre mille imprese a partecipazione nazionale (di controllo o minoritaria) che occupano più di 130 mila dipendenti e generano oltre 16 miliardi di fatturato. Si tratta per la maggior parte di medie aziende prevalentemente manifatturiere, specializzate in diversi settori merceologici, tra cui meccanico ed elettro-meccanico, lavorazione metalli, prodotti tessili, settore sanitario, materiali da costruzione, mobili, impianti di refrigerazione e condizionamento. Esistono anche numerose imprese di servizi, in particolare per quanto riguarda la distribuzione commerciale e la consulenza tecnico professionale. Una delle caratteristiche del nostro tessuto imprenditoriale è proprio quella di saper reagire in maniera flessibile alle mutate condizioni dell’ambiente esterno. Queste aziende possono comunque far affidamento sulla presenza di una articolata rete di supporto da parte delle istituzioni del sistema Paese, in primis la nostra rete diplomatico-consolare e quella degli Uffici dell’Ice. Per chi esporta in Cina il programma promozionale Ice per il 2020, che prevede investimenti promozionali per circa 20 milioni, non subirà variazioni.

Che cosa prevede?

È un piano molto articolato che offre sostegno alle strategie di proiezione per un ampio spettro di settori che hanno elevato potenziale di espansione. Soprattutto per quanto concerne i beni di consumo e l’agro-alimentare, proseguono i progetti di collaborazione con i principali attori dell’e-commerce, quali Alibaba, Suning, JD e Tencent offrendo quindi opportunità di internazionalizzazione a imprese anche piccole che non hanno una presenza diretta sul mercato. Si tratta peraltro di un settore – il commercio online – che, proprio a causa della criticità della situazione sanitaria nel paese, sta registrando un forte incremento della domanda interna Di fondamentale rilievo, infine, il supporto promozionale alla meccanica strumentale italiana e ai settori ad alta tecnologia come robotica e meccatronica. Appena sarà confinato il problema del coronavirvs, agiremo con forza anche per sostenere una nuova e più intensa crescita delle nostre imprese su quel mercato con il contributo, ne sono certo, dello stesso governo cinese, che vorrà mettere in campo ogni misura possibile per accelerare la ripresa dei commerci.

Si è parlato di 20 miliardi di investimenti cinesi in Italia per la Belt road. Si sta concretizzando qualcosa?

Sulla scia delle intese istituzionali bilaterali e del continuo interesse espresso da importanti interlocutori cinesi, che vedono nell’Italia un terminale strategico della Via della seta marittima, data la sua privilegiata funzione di accesso ai principali snodi commerciali dell’Europa continentale. In tale processo sono coinvolti massicci investimenti infrastrutturali nei nostri porti e nelle associate Zone Economiche Speciali(Zes). Si tratta di processi complessi e graduali che contemplano orizzonti temporali almeno di medio periodo. Quello che mi auguro, di la dalle cifre ipotizzate, è che tutto questo permetta soprattutto alle nostre piccole e medie imprese di accedere, da fornitori o subfornitori, a questa enorme opportunità.

Più in generale gli investimenti esteri in Italia vivono un momento di fragilità, come dimostrano le multinazionali che vogliono lasciare il nostro Paese.

Al contrario. Negli ultimi anni si è intensificato il processo di attrazione degli investimenti diretti esteri come dimostrano alcuni indici di competitività come quello di AT Kearney che ci posiziona all’ottavo posto nel 2019 fra i Paesi più attrattivi o secondo quanto rilevato dalla Emste&Young in merito al numero di progetti greenfield attivati nel 2018, che ha fatto del nostro Paese quello europeo a maggior tasso di crescita.

Un altro settore che ha sorretto la nostra economia negli ultimi cinque anni e ora è a forte rischio per il coronavirus è il turismo internazionale, proprio nell’anno previsto come picco di turisti cinesi. Si rischia il disastro. Che fare?

È ovviamente un momento delicato, ma non sarei catastrofista Abbiamo appena rinegoziato l’accordo aeronautico, appena la situazione tornerà alla normalità potremo aumentare le rotte turistiche dalla Cina verso l’Italia.

Quali sono gli effetti che stimate dai dazi americani sul Made in Italy? Trump è più forte che mal negli Usa e la minaccia di applicazione di altri dazi su Europa e Italia è continua.

Le misure tariffarie recenti hanno colpito alcuni comparti del settore agroalimentare e alcuni settori dell’acciaio e dell’alluminio. Considerati i valori che il nostro agroalimentare raggiunge negli Usa (5,39 miliardi di dollari nel 2019) e il valore strategico che svolge in funzione della penetrazione del Made in Italy, le misure creano necessariamente preoccupazione. A essere colpiti nel settore agroalimentare sono prodotti che avevano registrato una forte tendenza positiva

Si può fare qualcosa per ridurre l’impatto sul Made in Italy?

La prima forma di risposta non può che essere quella negoziale allo scopo di ridurre le misure adottate ed evitare, al tempo stesso, che siano estese ad altri settori del Made in Italy. Dal canto nostro, non abbiamo lasciatole nostre imprese da sole. Da un lato attraverso un’intensa attività diplomatica siamo riusciti a limitare fortemente i possibili danni derivanti dall’introduzione di dazi ancora più pesanti; dall’altro, con l’Ice, abbiamo messo in campo un piano per assistere le nostre imprese che operano su quel mercato e promuovere la loro penetrazione su mercati alternativi. Negli Usa una forte risposta dal punto di vista promozionale, frutto di consultazione fra imprenditori italiani e statunitensi, si è realizzata con un supporto speciale a partire dalla recente edizione della Winter Fancy Food di San Francisco, costituito da progetti di informazione, comunicazione e formazione per gli esperti del settore e per gli imprenditori. Allo scopo di sviluppare inoltre la penetrazione dei prodotti Made in Italy in quelle fasce di consumatori al di fuori della tradizionale area di presidio dei prodotti italiani, si sta procedendo con fondi promozionali speciali, pari 12 milioni di euro, a una campagna di comunicazione ai consumatori e di formazione agli imprenditori in aree che hanno visto negli ultimi anni un rafforzamento di alcuni indicatori economici favorevoli al prodotto Made in Italy. La piattaforma promozionale si concentrerá su aree metropolitane strategiche come Dallas, Houston, Phoenix, Denver, Seattle, Minneapolis, Philadelphia, Washington D.C. La prossima edizione della Summer Fancy Food, inoltre, vedrà la partecipazione di oltre 400 aziende italiane, che rappresentano la risposta migliore sul mercato per valorizzare i prodotti che esprimono maggiormente lo stile di vita italiano allo scopo di sensibilizzare con efficacia sia i consumatori delle fasce di età più avanzate che dei cosiddetti millennial.

Lei ha voluto rivoluzionare la macchina del nostro commercio estero ma non ha ancora assegnatole deleghe contese fra il sottosegretario Scalfarotto e il viceministro De Stefano. Come finirà?

Le deleghe intanto sono in capo a me e questo mi permette di accelerare vista anche la mia scossa esperienza al Mise, non a caso abbiamo già pianificato per il 2020 diverse missioni sistema, business forum e altre attività di sostegno all’internazionalizzazione delle nostre imprese. La Farnesina è unita e compatta in questo percorso e io e i sottosegretari lavoriamo tutti a un obiettivo comune, che è la crescita del Paese. Tanto che le comunico che nei prossimi giorni convocherò un tavolo straordinario alla Farnesina in cui coinvolgerò tutti gli esponenti di governo interessati per lavorare insieme all’impulso del nostro export e al commercio estero.

ll governo prenderà il consueto provvedimento annuale per favorire la crescita? E, se si, prenderete misure che mirano a favorire il commercio estero e gli investimenti stranieri in Italia?

L’obiettivo è quello, dare il massimo, ognuno con le proprie competenze, per spingere la crescita del Paese, offrire nuove opportunità alle imprese e creare nuovi posti di lavoro.

Sul Ceta lei si è sempre detto contrario alla firma così com’è e alla necessità di pesanti modifiche che appaiono però molto difficili da apportare. Ora che ha la responsabilità ministeriale su quel trattato e avrà sentito più da vicino le osservazioni delle imprese, ha cambiato idea?

Ascoltare il mondo delle imprese è fondamentale, a ogni modo pondereremo ogni passo per il bene del Paese.

Il 5G ha incrinato rapporti solidissimi come quelli fra Usa e Gb mentre l’Europa emana direttive ma fa fatica a trovare un atteggiamento unitario. Dall’altra parte abbiamo Huawei che lamenta atteggiamenti discriminatori. Abbiamo una strategia su un tema così fondamentale per il futuro di cittadini e imprese?

La strategia italiana si pone in maniera equilibrata senza discriminare alcun operatore ma preservando, attraverso il Cvcn e l’individuazione del perimetro di sicurezza nazionale, la sicurezza nazionale e i dati dei cittadini italiani. Abbiamo la normativa tra le più protettiva in Europa, tanto che gli stessi Stati Uniti recentemente in varie occasioni ci hanno riconosciuto serietà in questo senso. E auspichiamo dunque che altri Paesi europei seguano il nostro esempio.

L’Africa secondo lei può essere una opportunità per le imprese italiane?

L’Africa rappresenta sicuramente un mercato che offre grandi opportunità perle imprese italiane le quali possono trarre benefici dai processi di trasformazione economico-sociale in atto. Come governo vogliamo e dobbiamo favorire un incremento della presenza delle nostre imprese. Non solo: dobbiamo creare partnership tra università italiane e nordafricane per creare gli imprenditori locali del futuro, che sul lungo termine daranno inevitabilmente maggiore spazio e respiro alle nostre imprese. Serve una visione e dobbiamo cominciare a costruirla.

Anche in questa area la Cina ha ormai un ruolo decisivo. E l’Europa è in ritardo.

E anche in questo caso le intese raggiunte con la Cina in tema di collaborazione bilaterale in paesi terzi, potranno rappresentare un impulso importante, aprendo nuovi orizzonti strategici nel continente africano, anche in collaborazione con grandi imprese cinesi. L’Africa è indiscutibilmente nel lungo periodo il continente con i margini di crescita più ampi. Bisogna, tuttavia, confrontarsi con il fatto che esistono tante Afriche e altrettante strategie d’ingresso in questi mercati: in alcuni settori l’Italia può vantare elevati vantaggi competitivi, tecnologia avanzata e alta qualità di prodotti e processi. Gode peraltro, rispetto agli altri paesi europei, di una posizione geografica particolarmente favorevole. Bisognerà di certo incrementare la presenza industriale, anche tramite Ide, e accompagnare le imprese anche agendo sulla leva della distribuzione. Alcuni settori in cui l’Italia è riconosciuta a livello mondiale, quali l’agroindustria e la meccanica strumentale, saranno sempre più centrali peri processi di sviluppo industriale in corso in Africa Subsahariana. Un altro asset è il riconoscimento del contributo dato dall’Italia in molti paesi africani (Etiopia, Malawi, Mozambico, Senegal, solo per citare alcuni casi) alla lotta contro la povertà, ai processi di institution building e allo sviluppo sostenibile nella maggior parte dei paesi africani. L’Italia potrebbe essere un partner privilegiato peri paesi africani non solo perché la nostra diplomazia e cooperazione internazionale allo sviluppo possono fornire un valore aggiunto sostanziale ai processi di stabilizzazione e allo sviluppo sostenibile, soprattutto nell’Africa Subsahariana.