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Del Re: Così stiamo cambiando la narrativa sul continente del presente e del futuro (Africa e Affari)

Quale sarà l’Africa del 2021, quali i rapporti tra l’Italia e il continente in questo anno di grandi speranze dopo la tragica esperienza della pandemia? Quale il ruolo della cooperazione? Secondo la viceministra degli Esteri Emanuela Del Re, nonostante le difficoltà, l’Italia ha le idee chiare su quello che può essere il suo partenariato con i Paesi africani e c’è una grande consapevolezza che tale partenariato debba essere interpretato alla luce di quella reciprocità e di quella logica di mutuo beneficio che è diventata una norma e che poggia allo stesso tempo sul tentativo di scardinare cliché e imporre una narrativa diversa del continente.

Viceministra, il 2020 è stato un anno difficile per tutti, ciononostante l’Italia ha mantenuto un’attenzione costante al continente africano e lei in particolare è riuscita anche a spostarsi a più riprese nel continente.

La mia attività nel 2020 non si è mai fermata per quanto riguarda la frequentazione dell’Africa. Il dicembre precedente sono andata in Sudafrica, poi in Sudan prima del lockdown. E negli ultimi mesi ho visitato Niger, Mali, Mauritania, Somalia. Una frequentazione che reputo indispensabile e in cui credo fermamente. Il continente è quello più in fermento per tanti motivi e questa nostra presenza fisica è necessaria, perché si stabiliscono rapporti con le leadership, con la società civile e con quel determinato Paese nel suo complesso. Sono rapporti che poi danno i loro frutti, anche perché sono basati sull’idea che l’Italia debba dimostrare quanto l’Africa sia prioritaria nella sua politica estera.

Cosa ha portato a casa da questi viaggi?

Intanto la sensazione o la verifica che l’Africa in realtà voglia sempre più Italia. Ci viene chiesto costantemente e questo appello costituisce quasi un imperativo nei nostri confronti perché ritengo l’Africa oramai una prosecuzione naturale dell’Italia e di conseguenza è nostro dovere rispondere a questo appello. Il rapporto che si crea con il continente comporta una reciprocità molto importante su tutti i livelli. Sul piano della cooperazione la nostra presenza va avanti da molti anni e si sta articolando in un progetto di concreto sviluppo sostenibile. Poi, un altro elemento molto importante è l’ambito degli investimenti, dell’imprenditoria: quest’anno più che mai emerge la necessità di avere una visione dell’Africa più dinamica sul piano degli affari. E accostare il concetto di Africa a quello di affari, come fa la vostra rivista, è piuttosto lungimirante, perché l’Africa con tutte le sue grandi difficoltà, con le peculiarità di ogni singolo Paese o regione, porta molti investitori stranieri, non solo italiani, a valutare con una certa perplessità il rischio d’impresa, la possibilità di fare previsioni a lungo termine, l’effettivo ritorno dell’investimento, soprattutto nel caso delle pmi. Ma la situazione sta cambiando perché il continente di per sé è molto cambiato. Questa un’altra delle cose che mi porto a casa quest’anno: il tentativo di cambiare la narrativa sul continente.

Sta cambiando nonostante la pandemia?

In realtà, paradossalmente, proprio nel 2020 a causa della pandemia la narrativa sta un po’ cambiando. Mai come oggi si parla di Africa, del suo imponente sviluppo demografico, della sua resilienza… l’Africa può davvero offrire delle opportunità senza nascondere i problemi contestuali. Il 2021 si presenta da subito come anno cruciale e vedrà l’Italia protagonista alla presidenza del G20. Non è un fatto secondario, perché il G20 ci consente un’interlocuzione diversa e più diretta non solo “a 20”: l’idea è di avere un atteggiamento inclusivo, per esempio invitando Paesi africani. E poi abbiamo la copresidenza della Cop26, che sull’ambiente ci vedrà protagonisti e consentirà di evidenziare i nostri progetti in Africa, condotti da piccole e grandi imprese e dalla Cooperazione. Inoltre organizzeremo incontri con l’Africa che saranno la cornice di incontri bilaterali con i Paesi e le organizzazioni del continente, saranno delle occasioni privilegiate per mettere al centro dell’agenda l’Africa in generale su tutti i fronti.

Un anno da protagonisti in effetti.

C’è una grande consapevolezza del ruolo italiano, del fatto che l’Italia è un Paese capace di instaurare rapporti franchi e diretti senza un’agenda nascosta, e questo deve essere un valore aggiunto che ci permetta di collocarci tra i Paesi amici, senza porsi in competizione con nessuno ma semplicemente manifestando le proprie capacità, nell’assoluta trasparenza di quello che si è realmente. Noi ci faremo promotori di una visione diversa dell’Africa e ci faremo anche portatori di voci e istanze del continente. Porteremo avanti battaglie prospettate già in precedenza: riproporremo per esempio una riflessione sul debito.

Lo scorso dicembre, al ministero degli Esteri avete presentato il Partenariato con l’Africa, un vero e proprio documento di policy e visione strategica.

È un documento che rappresenta un’evoluzione della politica estera che va al passo con i tempi. C’è un’esigenza di contemporaneità e ci sono delle sfide della contemporaneità a cui si dovevano dare risposte. Tali risposte sono state date attraverso questo documento di policy, presentato per la prima volta al ministero degli Esteri. Il piano per l’Africa rappresenta una maturazione come mentalità e metodologia e ha l’ambizione di sistematizzare il nostro approccio nei confronti di un continente che in questo momento si pone anche per tutta l’Europa quale obiettivo di sviluppo e partenariato fondamentale. Quando dico partenariato dico anche qui una parola che costituisce una vera e propria rivoluzione culturale nell’ambito politico perché fino ad adesso abbiamo parlato di un rapporto unidirezionale donatore-beneficiario quando invece il rapporto è bidirezionale. Non esiste rapporto in cui reciprocamente non si dia e non si riceva allo stesso tempo. Questo è ormai interiorizzato nella politica estera dell’Unione Europea, tanto è vero che abbiamo una commissaria al partenariato e abbiamo un’Italia che parla di partenariato con l’Africa.

Un rovesciamento di elementi cardini del recente passato.

Siamo consapevoli, prendiamo atto e riconosciamo con doverosa attenzione l’evoluzione storica e politica del continente e ci inseriamo in un solco di contemporaneità rispetto a quello che accade in Africa perché lo sappiamo bene, c’è poca conoscenza in generale dell’Africa, ma sappiamo altrettanto bene che non esiste contesto internazionale sul piano multilaterale dove l’Africa non abbia un peso. Quando mi chiedono a volte in maniera provocatoria «Ma che peso hanno i Paesi africani nei processi globali?», io rispondo «Forse non vi rendete conto che sono 54 dei 193 Paesi delle Nazioni Unite. Di conseguenza un peso nei destini globali ce l’hanno e come…», ma questa consapevolezza è molto recente. Nelle conclusioni fatte in occasione della presentazione del documento, mi ha anche fatto piacere constatare che il mondo dei media si sta rendendo conto di questo passo significativo e a questo punto dovremmo iniziare a rovesciare la visione rispetto all’Africa, perché non basta essere consapevoli delle sfide che l’Africa ci pone, ma dobbiamo anche farci una domanda molto seria in questo momento storico, e cioè chiederci se noi siamo in grado di rispondere a quelle sfide, se siamo in grado di rispondere alle aspettative, perché non siamo solo noi a chiedere ma ci viene anche chiesto.

Affrontiamo i nodi. A fronte di un’Africa che cresce, è indubbio che ci sono ed esistono fragilità. Parliamo del Sahel, del Corno d’Africa, della Libia… queste fragilità ci presentano una vecchia Africa che vorremmo dimenticare ma che ancora esiste. Cosa può fare l’Italia.

Certamente da un lato c’è un’Africa in grande fermento con una classe media molto preparata, molto cosmopolita, che può diventare una classe di grandi consumatori (e qui penso al made in Italy e alla fame di qualità dell’Africa). Però sull’altro fronte rimangono fragilità terribili, che tra l’altro ci fanno soffrire molto se pensiamo che laddove le potenzialità sono straordinarie, i problemi di sicurezza impediscono di sfruttarle a favore di uno sviluppo che davvero potrebbe essere rapidissimo se non ci fossero impedimenti così gravi. La stessa Somalia che ho visitato di recente sarebbe un luogo meraviglioso per il turismo se non ci fosse al-Shabaab.

Cosa fare allora?

Noi naturalmente dal punto di vista dell’azione ci muoviamo su tanti fronti e ci ostiniamo a portare avanti la nostra cooperazione allo sviluppo. Ma dall’altro lato – e veniamo per esempio alla Libia o al Sahel – siamo presenti con tantissime missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite a cui partecipiamo perché crediamo che attraverso questo sostegno si possa incidere sui problemi di sicurezza. Questi sono comunque dossier che vanno seguiti singolarmente: siamo molto attenti all’evoluzione della situazione in Paesi come la Libia o l’Etiopia, abbiamo seguito molto da vicino il colpo di Stato in Mali e io mi sono recata in Mali appena è stato creato un nuovo governo civile riconosciuto dalla comunità internazionale. In tal senso ho favorito al massimo l’apertura di un’ambasciata a Bamako proprio per aumentare vicinanza e presenza, perché quando si ha un’ambasciata vuol dire che si riesce non soltanto a intrattenere un rapporto bilaterale sul terreno continuo e costante, ma anche a partecipare a tutte le iniziative internazionali in maniera diretta. Queste crisi meriterebbero un capitolo a parte, perché si tratta di situazioni complicate. Quello che posso dire è che l’Italia è fortemente coerente nelle sue azioni.

In che modo si esprime tale coerenza?

Siamo coerenti perché accanto alle prese di posizione partecipiamo alla lotta contro il terrorismo, contro le varie minacce di sicurezza. Siamo coerenti nel processo politico: non soltanto condividiamo con l’Europa il nostro pensiero, arrivando a un consenso europeo per quanto riguarda le questioni più scottanti, ma agiamo su più fronti. Se c’è una presenza militare, c’è anche cooperazione allo sviluppo, c’è anche un impegno per fare in modo che ci siano iniziative di investimento, perché sappiamo bene che gli investimenti diretti esteri sono linfa vitale per molti Paesi. È una struttura replicabile, adattabile a diversi contesti e teatri, e dà frutti molto concreti. Per esempio sulla questione delle migrazioni di cui si parla costantemente abbiamo rapporti bilaterali con Paesi come il Niger, molto importanti e collaborativi, che partono dall’idea di protezione dei migranti (lì abbiamo missioni Unhcr e Oim che finanziamo per contrastare i traffici e le tratte).

Stiamo aprendo ambasciate e uffici Ice. Ci sono in programma nuove aperture?

La presenza sul terreno prevede una intensificazione delle aperture delle sedi Ice. Prevediamo di aprire l’ambasciata a Bamako entro la prima metà del 2021 e poi ci sarà anche molto probabilmente un’apertura in Ciad. Tutta questa attività, intensificata e integrata, darà nuovo impulso e ci permetterà di agire in maniera ancora più efficace. Ci sarà inoltre una riorganizzazione delle sedi dell’Aics. E sottolineo che le sedi dell’Aics sono di per sé piccole sedi diplomatiche che intrattengono rapporti fondamentali con le autorità locali e con la società civile.

C’è però nell’arena politica italiana chi ha messo in dubbio il ruolo e il valore stesso della cooperazione.

È noto che ci sono voci molto ideologiche che mettono in dubbio l’importanza della cooperazione o che addirittura auspicano che questo tipo di attività non venga condotta. Però studiando il sistema della cooperazione in Italia, la mia preoccupazione è svanita nel momento in cui mi sono resa conto del fatto che la cooperazione allo sviluppo non è un settore specifico del ministero degli Esteri o di una specifica agenzia, ma è parte della organizzazione sociale italiana, fa parte del dna, del modo di concepire la società, la cittadinanza, la globalità sul piano nazionale. Perché dico questo? Perché se si analizzano tutti gli enti italiani impegnati in attività di cooperazione allo sviluppo salta agli occhi la partecipazione di tutti, dal più piccolo comune che gestisce per esempio un piccolo progetto con il Camerun, all’azienda più importante, all’istituto di ricerca, a tutte le istituzioni. Quindi quando noi andiamo a vedere questa realtà dei fatti, quelle voci critiche si sciolgono come neve al sole. Non a caso per il 2021 i fondi della Cooperazione sono stati aumentati e non a caso il nostro modello di cooperazione, sottoposto a una peer review, ha ricevuto i complimenti dell’Ocse. Inoltre, la pandemia ha dimostrato come fatti che avvengono a migliaia di chilometri di distanza ci riguardano e questo dà sicuramente il senso del valore vero della cooperazione.

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