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Sequi: “Il peso del soft power in una diplomazia al passo con i tempi” (Il Sole 24 Ore)

L’Italia gode, in questo momento, di un’ottima immagine internazionale. Bisogna prendere atto che buona parte di questa reputazione ci viene dall’essere una superpotenza culturale. Il Paese della storia, dell’arte, della civiltà, del saper vivere, del bello e del ben fatto. Che sia stereotipo o afflato sentimentale, poco importa: questa è la componente principale (e anticiclica) alla base della nostra reputazione planetaria. Se è difficile non prenderne atto per qualsiasi italiano abbia varcato i confini nazionali, sarebbe addirittura imperdonabile per chi è chiamato a dirigere la diplomazia di un Paese come l’Italia. Farlo senza sfruttarne il soft power significherebbe privarsi di uno strumento tanto immateriale quanto efficace. Un non-fungible token, o Nft, di inestimabile valore, da incassare quando dobbiamo tutelare i nostri interessi, assistere nostri cittadini e imprese nel mondo, promuovere un’agenda internazionale fondata su pace, sviluppo, tutela dei diritti umani. Sotto la guida e l’impulso del ministro Luigi Di Maio, per spendere ancora meglio questo “gettone infungibile” abbiamo riformato la Farnesina e creato una nuova Direzione generale per la diplomazia pubblica e culturale per rendere la nostra immagine internazionale uno strumento sempre più efficace di influenza e costruzione di un consenso globale sui temi che consideriamo prioritari. Tra suoi obiettivi figura quello di una rinvigorita diplomazia culturale. Essa compone una dimensione formidabile di quella promozione integrata cui abbiamo ispirato l’azione di proiezione esterna del sistema-Paese negli ultimi anni. Ma il contesto internazionale è quello di una diplomazia culturale che assume profili sempre più politici e per certi versi competitivi. L’Italia deve sapervi giocare il ruolo che le spetta. Tramite la nuova Direzione generale rafforzeremo la messa a sistema della rete degli 84 Istituti Italiani di Cultura, che diventeranno 90 nel 2022 con le aperture di Almaty, Amman, Bangkok, Hanoi, Miami e Sarajevo, delle 7 scuole statali, delle 42 scuole paritarie nel mondo, dei 130 lettori di italiano presso università straniere. Valorizzeremo ancor di più editoria, mobilità di studenti e ricercatori, missioni archeologiche, etnologiche e antropologiche all’estero. Avremo una voce più forte nella cooperazione culturale multilaterale, a partire dall’Unesco, nel cui comitato sul patrimonio mondiale l’Italia è tornata a far parte dopo 20 anni. Promuoveremo l’attrattività della formazione superiore italiana attraverso reti di alumni stranieri destinatari di borse di studio o coinvolti in progetti di scambio finanziati dall’Italia. Lingua e cultura italiane nel mondo contribuiscono a sviluppare classi dirigenti straniere italofone e italofile, a valorizzare tratti identitari e storici di Paesi amici (e riconoscenti) che assistiamo con la nostra competenza archeologica e etno-antropologica, a facilitare il dialogo in scacchieri sensibili, a favorire in ultima analisi la stabilità e la pace. La nuova Direzione generale, guidata dall’ambasciatore Pasquale Terracciano, sta già impostando le strategie di azione nei suoi assi portanti: non solo una diplomazia culturale più efficace, ma anche una comunicazione più incisiva, una programmazione e analisi strategica più granulare e predittiva, una presenza italiana più estesa nelle organizzazioni internazionali. La domanda di comunicazione rivolta alla Farnesina è aumentata, imponendoci reattività, adattamento, creazione di contenuti, ma anche intelligente interpretazione di contenuti altrui. Gli scenari internazionali mutano rapidamente, i nostri interessi si giocano sempre più nelle organizzazioni internazionali di cui siamo parte: va ricondotta a unità la nostra politica di candidature e reso coerente il nostro sostegno ai funzionari italiani presenti e futuri. Se l’integrazione di queste competenze rappresenta il valore aggiunto della nuova struttura, uno spirito nuovo di iniziativa e apertura all’esterno ne costituisce la cifra. Apertura alla società civile e all’opinione pubblica nazionale e internazionale, anche quella che ci vede ancora attraverso il prisma di stereotipi infondati. Con esse andrà instaurato un dialogo costante e impostata una narrazione preventiva, più che reattiva. Ne saranno coinvolti media, università, imprese, istituzioni culturali, think-tank, associazioni, collettività locali, comunità digitali. La partita di una efficace diplomazia pubblica si gioca in un’arena diversa da quella dei rapporti tra governi. Un’arena fisica e virtuale, figlia di quella evoluzione della civiltà, da analogica a digitale, ben descritta da Alessandro Baricco in The Game. Se è vero, come scrive Baricco, che siamo migrati in un mondo nuovo, leggero, virtuale e intangibile, sapremo starci grazie al nostro migliore ossimoro: il peso immateriale del nostro soft power.

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