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Sequi: “Quanto conta la politica estera oggi.” (Corriere della Sera)

Caro Direttore, 

quanto conti la politica estera lo leggiamo anche in bolletta. L’impennata dei prezzi di gas e grano che si riverbera su famiglie e imprese ci rimanda all’attualità del conflitto russo-ucraino. Logico che se ne parli e che i lettori si formino opinioni su cause e possibili soluzioni.  

Una politica estera matura va però oltre il singolo scenario di crisi. Deve confrontarsi con diversi orizzonti temporali, rappresentare un patrimonio condiviso dell’intero Paese, in un contesto internazionale sempre più complesso e competitivo.  

Viviamo un’epoca di grandi cambiamenti. O piuttosto un cambiamento d’epoca. È come se con vent’anni di ritardo sia stata infine superata la frontiera tra due millenni, che differiscono nella consapevolezza delle sfide globali con cui confrontarsi; per la pervasività di tecnologie dirompenti; nella fragilità dell’interdipendenza sedimentata con la mondializzazione; nella qualità e localizzazione delle risorse per cui un numero crescente di attori internazionali, sempre più attrezzati e organizzati -talvolta spregiudicati– concorrono, anche senza remore di impiegare la forza.   

Occorre dunque domandarsi se la diplomazia rappresenti lo strumento più efficace per la tutela degli interessi nazionali.  Certamente lo è. Anzi, ne occorre sempre di più. Più diplomazia, più Farnesina. La centralità della politica estera e la sua concreta utilità per la vita quotidiana di ciascuno di noi sono dimostrate dai fatti.  

È fuori dai nostri confini, grazie alla coesione con Paesi alleati e amici dell’Italia, che possiamo creare le migliori condizioni per garantire la nostra sicurezza di fronte a vecchie e nuove minacce. È attraverso la cooperazione multilaterale, soprattutto nell’Unione Europea, che possiamo affrontare problematiche di dimensione planetaria, come le pandemie o il cambiamento climatico. È sostenendo e accompagnando le nostre imprese all’estero che riusciamo a crescere anche in tempi segnati da fattori inflattivi, depressivi e difficoltà di approvvigionamento.   

In queste sfide la Farnesina non è sola, ma anzi persegue un sistematico coordinamento con le altre istituzioni dello Stato, ricerca un costante confronto con il settore privato, con la società civile e le nostre collettività all’estero, recependone il punto di vista e le esigenze. 

Esempi e numeri possono aiutare a comprendere il senso e i risultati del “metodo Farnesina”. Le nuove competenze sull’internazionalizzazione affidate al Ministero degli Esteri, espresse in forma partecipativa nel Patto per l’Export, hanno fruttato il record assoluto delle nostre esportazioni nel 2021 (516 miliardi di euro). Abbiamo sostenuto lo sforzo di diversificazione energetica e ridotto la dipendenza dal gas russo dal 40% al 25%. La rete delle nostre ambasciate garantisce continuità dove gli interessi nazionali sono in gioco: dall’UE alla NATO, dall’ONU al Mediterraneo, sino all’Africa o all’Indo-Pacifico. La Farnesina ha poi adeguato la sua struttura per valorizzare il soft-power italiano attraverso una moderna diplomazia pubblica e culturale. Ha ampliato e rafforzato i consolati per coinvolgere la nuova emigrazione italiana. Ha modernizzato gli strumenti a disposizione dell’Unità di Crisi per tutelare sempre meglio gli italiani all’estero anche in emergenza. La nostra diplomazia agisce negli scenari più difficili, dall’Ucraina all’Afghanistan, alla Libia, per mettere al sicuro connazionali, aiutare i rifugiati, evacuare personale in pericolo, sostenere le imprese, stabilizzare i conflitti. Lo fa molto spesso in silenzio e pagando a volte prezzi alti, come ci ricorda la tragedia dell’Amb. Luca Attanasio. 

Nel pieno di una guerra ai confini dell’Europa e a pochi giorni dal voto, cui saranno chiamati a partecipare, grazie all’impegno della nostra rete diplomatico-consolare, 5 milioni di italiani all’estero, la Farnesina si conferma a tutti gli effetti un “società di servizi al servizio del Paese”. Come tale, è una risorsa da tutelare, anche perché molto conveniente.  

Grava infatti solo per lo 0,3% sul bilancio dello Stato, addirittura lo 0,1 se si toglie l’aiuto pubblico allo sviluppo. Eppure, secondo un recente studio di mercato, ogni euro affidato alla nostra azione diplomatica ne genera almeno 38 in termini di contributo al PIL.  

Mantenere questo livello di efficienza richiede però un costante processo di innovazione nelle competenze, negli strumenti, nei metodi di lavoro, per essere al passo di tempi che corrono veloci come mai prima d’ora.  

È cruciale proseguire lungo la strada di quelle strategie preventive che la Farnesina persegue già da alcuni anni: anzitutto, rendere i servizi per i cittadini, le imprese, per tutti i nostri utenti, sempre più efficaci, accessibili e innovativi; e poi, puntare sulle risorse di una diplomazia pubblica moderna, che comunichi in modo semplice e rigoroso, estragga influenza globale dal nostro patrimonio culturale, sappia leggere la realtà e progettare la sua attività con strumenti all’avanguardia. 

Se occuparsi di politica estera è un percorso obbligato per salvaguardare gli interessi nazionali, destinarvi le giuste risorse diventa sempre più necessario. I fatti dimostrano che la diplomazia italiana sa come usarle al servizio del Paese.   

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