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Tajani: «Giusto reagire all’escalation russa. Putin non può influenzare Trump». (La Stampa)

Tajani «Giusto reagire all’escalation russa. Putin non può influenzare Trump». (La Stampa)
Tajani «Giusto reagire all'escalation russa. Putin non può influenzare Trump». (La Stampa)

Roma – Una delle giornate più tese delle mille trascorse dall’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, il ministro degli Esteri Antonio Tajani la passa a Varsavia. Il cosiddetto “formato Weimar”, Polonia, Germania e Francia, per la prima volta è stato allargato a Italia, Spagna e Regno Unito. Un modo per farsi trovare pronti ai cambiamenti in arrivo dall’altra parte dell’oceano.

Ministro Tajani, ai missili americani in Russia Putin risponde con nuove minacce atomiche, siamo nel pieno di un’escalation?

«Questa situazione ha un responsabile chiaro: Vladimir Putin. Le azioni delle ultime settimane e in particolare la comparsa sulla scena delle truppe della Corea del Nord hanno rappresentato un’escalation da parte della Russia, alla quale gli americani reagiscono».

L’Italia, e lei in particolare, ha sempre espresso contrarietà all’uso di armi occidentali sul territorio russo, eppure da ieri siamo pienamente in questo scenario. Condannate queste azioni?

«Non me la sento di condannare gli Stati Uniti e l’Ucraina. Comprendo pienamente le azioni di queste ore».

Uno scenario nuovo presuppone un cambio di linea nella politica estera italiana?

«No, l’Italia non cambia linea: forniamo armi a scopo difensivo e siamo vicini all’Ucraina, ma non siamo in guerra con la Russia. La nostra “policy” è differente da quella di altri Paesi».

Il vertice a Varsavia con i ministri di Francia, Germania, Gran Bretagna Spagna e Polonia affronta anche il tema delle spese per la difesa, ribadendo l’impegno a raggiungere e persino a superare il 2% del Pil, è un obiettivo lontano per l’Italia, cosa farà il governo?

«Abbiamo ribadito, anche nelle conclusioni di Varsavia, che è necessario scorporare gli investimenti militari dal patto di stabilità e continueremo a portare la nostra richiesta a Bruxelles».

Altra novità nel vertice di ieri è il progetto di emissione di eurobond per finanziare un piano europeo della Difesa. È una cosa concreta?

«Vedremo come arrivarci, quello che va sottolineato è che anche Paesi un tempo restii a fare debito comune, come la Germania, oggi si rendono conto che è una necessità».

Putin sta intensificando le proprie azioni nella speranza che Trump apra presto un negoziato?

«Non credo che l’amministrazione americana, anche quella nuova, si faccia influenzare da quello che fa Putin».

Davvero non avete il timore che con Trump alla Casa Bianca il sostegno all’Ucraina possa venire meno, lasciando l’Italia e l’Europa in mezzo al guado?

«Non credo andrà così, lo stesso Zelensky si dice ottimista sul fatto che la guerra finirà nel 2025 e sono d’accordo con lui. D’altronde al termine del conflitto l’Ucraina entrerà nella Nato e comincerà il suo cammino verso l’adesione all’Ue. Nel frattempo, serve una “pace giusta” come diceva Giovanni Paolo II».

A proposito di pontefici: crede anche lei che a Gaza potrebbe essere in corso un genocidio, come dice Papa Francesco?

«Lui ha detto che la cosa andrà valutata. Io non credo che ci sia un genocidio a Gaza, non ce ne sono i presupposti giuridici. Questo non toglie che siamo molto critici con le conseguenze umanitarie delle azioni del governo israeliano, ci sono troppe vittime civili, con la corresponsabilità di Hamas».

Con Trump alla Casa Bianca Netanyahu avrà ancora meno limiti?

«Non mi aspetto novità. Gli Stati Uniti hanno sempre appoggiato Israele e continueranno a farlo».

Non negherà che le biografie dei futuri membri dell’amministrazione Trump non lasciano ben sperare.

«I cittadini hanno votato in maniera chiara. Sono convinto che i rapporti con la nuova amministrazione saranno buoni».

In questo contesto non sarebbe un suicidio ostacolare l’avvio della nuova Commissione europea?

«Assolutamente sì. La Commissione deve partire il primo dicembre e così sarà».

Ne è certo?

«Sì, ho parlato negli scorsi giorni con tutti, compresi Ursula von der Leyen e Manfred Weber, e sono convinto che i veti sono caduti, anche grazie all’intervento del presidente Mattarella».

Ne ha parlato anche con i popolari spagnoli che stanno bloccando la nomina della commissaria Teresa Ribera?

«Quello dei socialisti su Fitto era un veto ideologico, mentre il Partito popolare spagnolo vuole aspettare che la ministra Ribera dia spiegazioni in Parlamento sull’alluvione di Valencia (l’audizione è prevista per oggi ndr.). Capisco il loro punto di vista, ma non si può bloccare la Commissione».

Lei, da segretario di Forza Italia, è stato l’unico nel centrodestra a esultare per il risultato delle regionali, nonostante la vittoria dei candidati dell’opposizione in Emilia-Romagna e Umbria.

«Sì, perché siamo ormai stabilmente la seconda forza della coalizione e il terzo partito del Paese».

Cosa comporta per la maggioranza di governo?

«Non voglio fare ricatti agli alleati e non sono il tipo da avanzare pretese arroganti. Per il governo non cambia nulla, ma certo le nostre proposte su cittadinanza, tasse e pensioni andranno prese in considerazione seriamente».

Qual è la lezione che il centro- destra deve trarre della sconfitta in Umbria?

«Che i candidati non devono essere solo frutto di una spartizione, dobbiamo puntare sulla personalità più forte, al di là delle appartenenze di partito».

È un modo per dire che con l’ex sindaco di Perugia Romizi al posto di Donatella Tesei avreste evitato la sconfitta?

«Questo non sta a me dirlo, abbiamo candidato la governatrice uscente perché è la regola di coalizione. Noto, però, che Romizi è al primo posto in assoluto per numero di preferenze, in tutta l’Umbria, di tutti i partiti».

  • Autore: Francesco Olivo
  • Testata: La Stampa
  • Luogo: Roma

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