La situazione relativa ai negoziati di pace tra Russia e Ucraina «è ancora molto fluida». L’Europa non deve farsi prendere dal panico, rincorrendo questa o quella dichiarazione, ma deve rimanere unita e agire con freddezza e determinazione». Lo sostiene Antonio Tajani, secondo il quale «l’Europa ha il diritto di sedersi al tavolo delle trattative» e deve far valere il fatto di aver imposto importanti sanzioni economiche nei confronti della Russia. Per questo qualsiasi accordo «dovrà prevedere un nostro coinvolgimento».
Però gli emissari di Trump hanno fatto capire che non sarà così…
«A Monaco ho avuto due confronti con Marco Rubio e due con l’inviato per Russia-Ucraina Keith Kellogg e questo tipo di messaggio non ci è mai stato trasmesso. Con il segretario di Stato americano ho sollevato la questione delle sanzioni che l’Unione europea ha adottato in questi mesi nei confronti della Russia: è chiaro che questa rappresenta per noi una leva fondamentale per poter reclamare un ruolo. E lo stesso Rubio ieri ha riconosciuto pubblicamente la necessità di coinvolgere noi e l’Ucraina. L’Europa deve essere forte, unita e credibile, convinta della sua indispensabilità al tavolo negoziale. Bisogna pretendere di esserci».
Si, però domani ci sarà già il primo round a Riad e l’Europa non ci sarà…
«Ma i negoziati non si chiuderanno nel giro di pochi giorni, sarà una questione di mesi: oggi siamo ancora a livello di azioni preliminari. E poi: siamo sicuri che gli americani non stiano consultando l’Europa, che non terranno conto dei messaggi che stiamo passando? A Monaco che cosa abbiamo fatto noi ministri europei? Il messaggio è chiaro: in un modo o nell’altro Ucraina ed Europa devono essere dentro. Ripeto: non bisogna agitarsi troppo perché daremmo un segnale di debolezza. La calma è la virtù dei forti».
Il vertice convocato in fretta e furia da Macron rischia di dare questo segnale di nervosismo?
«Il presidente francese ha convocato un incontro tra i principali leader europei che servirà proprio per discutere della nostra posizione comune. Per esempio, non possiamo non dare risposte sul tema della Difesa europea, che per noi italiani è una questione fondamentale, come sosteniamo dai tempi di De Gasperi e come abbiamo sempre sostenuto anche con Silvio Berlusconi».
L’Italia, però, è tra i Paesi Ue che ancora sono lontani dalla soglia del 2% fissata dalla Nato…
«Noi siamo per aumentare le spese per la Difesa e sono lieto che la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, abbia recepito le nostre richieste aprendo alla possibilità di scorporarle dal Patto di Stabilità. Un cambio di passo che è già da considerare come un nostro successo diplomatico. Siamo determinati a raggiungere innanzitutto il 2%, ma per farlo non possiamo tagliare la spesa sociale, non taglieremo le spese per gli ospedali o la scuola, quindi l’allentamento dei vincoli Ue era fondamentale».
Dopo l’apertura di von der Leyen, diversi diplomatici sottolineano il fatto che «ora l’Italia non avrà più scuse»: la possibilità di sforare il Patto può essere un’arma a doppio taglio?
«Noi non ci siamo mai nascosti dietro alcuna scusa. Siamo il Paese che, dopo gli Stati Uniti, ha il maggior numero di uomini e mezzi impegnati nelle missioni Nato. I nostri militari sono in tutto il mondo, questo è un impegno che conta e che faremo valere».
Sul fronte interno, teme resistenze politiche sull’aumento delle spese militari?
«Spendere di più per la Difesa non vuol dire essere guerrafondai, ma impegnarsi maggiormente per esempio nelle missioni di pace. E il potenziamento della Difesa europea è fondamentale per rafforzare la nostra presenza all’interno della Nato».
I singoli Paesi avranno maggiori margini di spesa nazionale, ma basta questo per costruire una Difesa comune europea?
«Lo scorporo dal deficit serve innanzitutto per consentire agli Stati di raggiungere gli obiettivi fissati dalla Nato. Dopodiché io sono un europeista e sostengo la necessità di introdurre gli Eurobond per la Difesa, ma bisogna vedere se anche gli altri Paesi lo vorranno… Me lo auguro, visto che sono sempre stato in prima fila su questo, da commissario e anche da presidente del Parlamento europeo. Nel maggio del 2023, nel suo ultimo discorso pubblico prima di lasciarci, Berlusconi ci invitò a batterci per l’esercito europeo».
Visto che gli Stati Uniti hanno chiuso la porta a un ingresso dell’Ucraina nella Nato, l’Europa è disposta a farsi carico delle garanzie di sicurezza per Kiev da assicurare con una presenza militare?
«Le garanzie devono arrivare da un fronte di Paesi più ampio dell’Europa. Anche gli Stati Uniti, vediamo in che modo, devono essere coinvolti. Una eventuale missione militare di peacekeeping non potrà che essere internazionale, magari in una cornice delle Nazioni Unite, coinvolgendo quindi il Consiglio di Sicurezza. In questo contesto, noi come Italia e come Europa siamo ovviamente disposti a fare la nostra parte, come saremmo pronti a farlo in Medio Oriente».
Diversi leader hanno chiesto di nominare un inviato Ue per l’Ucraina: è d’accordo?
«Intanto la Ue deve decidere cosa vuol fare, dopodiché il Consiglio definirà come farlo, con quali figure. Tra l’altro è molto importante che ogni passo venga fatto di concerto con il Regno Unito».
Alla luce delle recenti tensioni, anche sul piano politico e commerciale, c’è il rischio di una frattura tra Europa e Stati Uniti?
«La collaborazione transatlantica va avanti da anni. I momenti di frizione ci sono sempre stati e ci saranno, ma l’atteggiamento deve essere costruttivo. Io dagli incontri con Rubio ho capito che vogliono parlare con noi e non hanno intenzione di escluderci».
Però le uscite del vicepresidente JD Vance non aiutano: il suo endorsement all’Afd è una forma di ingerenza nella politica tedesca?
«Noi come Forza Italia abbiamo invitato i nostri iscritti in Germania a sostenere la Cdu/Csu. Vance fa Vance e io faccio Tajani. Con la nuova amministrazione Trump c’è un confronto aperto e noi dobbiamo essere forti, senza dare segnali di panico. Ben sapendo che da soli non possiamo proteggere l’Ucraina, ma serve un’azione determinante da parte degli americani».
Lo scontro sui dazi non rischia di ostacolare questo confronto?
«Bisogna negoziare. Come ha detto anche il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, una guerra commerciale farebbe dei danni a tutti e spingerebbe l’inflazione negli Stati Uniti, uno scenario che gli stessi americani vogliono scongiurare. Bisogna lavorare a una strategia, per esempio prevedendo maggiori investimenti negli Stati Uniti e aumentando l’acquisto di prodotti dagli Usa. E rimanere coesi come Europa perché uniti siamo più forti».