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De Mistura: “Ma la crisi è solo attenuata. Non molliamo” (Corriere della Sera)

Staffan De Mistura, il nuovo sottosegretario agli Esteri del governo Monti, è un «tecnico» particolare. Diplomatico dell’Onu «sul campo», ha viaggiato in lungo e in largo, soprattutto in Africa e in Medio Oriente. Ha gestito diverse crisi umanitarie in Corno d’Africa, Etiopia, Sudan e ovviamente Somalia. Sa bene cosa vuol dire per tanta gente vivere da disgraziati, stipati in un campo profughi o scappare dal proprio Paese per sfuggire a guerre e carestie. A Mogadiscio è stato capo della missione dell’Unicef durante la guerra tra il 1993 e il 1994. Insomma si può dire che è un profondo conoscitore delle interazioni tra conflitti e carestie. Era ovvio che gli fosse affidata la delega per l’Africa, che nel governo precedente era rimasta vacante. Qualche giorno fa era ad Addis Abeba. Proprio in Etiopia poco meno di trent’anni fa era riuscito a realizzare un’alleanza impossibile: sovietici e americani uniti nel portare aiuto alle popolazioni del nord del Paese travolte da una crisi alimentare drammatica.


Si può considerare conclusa l’emergenza Somalia?


«Assolutamente no. Diciamo che è passata la fase acuta. Occorre aspettare maggio per vedere se l’evoluzione positiva della produzione agricola continuerà. Ma non solo. Bisognerà attendere anche gli sviluppi della guerra. Guerra e fame sono le due facce della stessa medaglia. Ora gli integralisti, gli shebab, sono in ritirata e si sono allargati gli spazi in cui si può distribuire cibo. Non voglio pensare a cosa potrebbe succedere se la guerra dovesse riacutizzarsi».


La crisi di quest’anno ricorda molto quella dei primi anni ’90 che provocò, anche grazie alle terribili immagini messe in onda da tutte le televisioni del mondo, l’intervento della comunità internazionale.


«Certo a causa dei conflitti tra diverse fazioni era diventato impossibile coltivare e raccogliere. Il bestiame non poteva raggiungere le pozze d’acqua. Si intervenne da fuori, ma poi si rimase, ahimè, impantanati nelle guerre tra clan. Ora l’intervento è diverso. Niente militari ma aiuti per combattere fame e denutrizione. Con la fine della fase acuta va raddoppiato il nostro impegno in questo senso. Non si deve assolutamente retrocedere». L’Italia dovrebbe avere un affetto particolare per la sua ex colonia.


«Abbiamo un interesse storico ed emotivo. In questi giorni è venuto in Italia il primo ministro Abdiweli Mohammed Ali. Tutto il suo staff parlava italiano. Hanno chiesto aiuto e abbiamo promesso che non resteremo a guardare». Abdiweli ha fatto visita anche al ministero della Difesa. «Sì, ma non per avere forniture d’armi e men che meno truppe. Stiamo valutando invece la possibilità di addestrare il corpo di polizia somala. Intendiamo anche in questo modo partecipare al processo di pace».


Il governo precedente voleva aprire un’ambasciata a Mogadiscio.


«Piacerebbe anche a noi ed è nei nostri progetti. Anche in questo modo si aiuta la Somalia a uscire dal guado. L’operazione potrebbe andare in porto molto presto. Stiamo procedendo con le valutazioni, compreso quelle inerenti alla sicurezza».


Giovedì il ministro degli Esteri britannico William Hague ha visitato Mogadiscio. E noi?


«Ci andremo presto, molto presto. Il 23 a Londra è prevista una conferenza internazionale sulla Somalia. Sono ottimista. Troveremo la soluzione per far uscire il Paese dal guado».

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