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La crisi siriana è giunta ad un punto di svolta. E può essere una svolta tanto per il popolo siriano che ha subito sofferenze e violenze intollerabili, quanto per la regione.


Il regime di Assad, infatti, dopo aver provato invano, per contenere l’opposizione, a giocare sul “divide et impera” interno e sullo spauracchio del fondamentalismo islamico (ma i siriani sono in maggioranza musulmani moderati) e del terrorismo (sponsorizzato di frequente dal regime stesso) è ricorso al tentativo di regionalizzare la crisi alimentando scontri al confine con Giordania, Libano e Turchia. Il Libano, proprio in quanto esempio di democrazia interconfessionale in Medio Oriente è esposto a costanti tentativi di destabilizzazione, come indicano la spirale di “rapimenti settari” sotto la regia Teheran-Damasco ed il caso di Samaha, l’ex ministro per l’informazione libanese, recentemente arrestato, che programmava attentati terroristici nel nord del suo Paese su istruzioni di Damasco.


La liberazione del popolo siriano e una maggiore distensione regionale vanno, quindi, di pari passo. E sempre più evidente che solo una Siria unita e democratica può diventare un fattore di rassicurazione e stabilità per l’intero Medio Oriente; viceversa una transizione democratica incompiuta condannerebbe la Siria ad una instabilità prolungata che lascerebbe campo libero alle interferenze esterne da parte di forze interessate al caos permanente (è il caso dei gruppi terroristici) o alla modifica in chiave egemonica, degli equilibri regionali (Iran). Per non parlare del pericolo della proliferazione di armi di distruzione di massa (la Siria possiede il maggior arsenale di armi chimiche e biologiche in Medio Oriente).


Con una posta in gioco così alta, che include la nostra “responsabilità di proteggere” e la stabilità regionale, è fortemente sentito, nella comunità internazionale e soprattutto tra i Paesi like minded (il Gruppo dei Paesi “Amici del popolo siriano” di cui l’Italia è parte) il senso di urgenza, la necessità di accelerare i tempi per fermare il conflitto e consentire alla Siria di voltare pagina. La strategia comune si sta sviluppando su due fronti tra loro sempre più interconnessi. Nell’immediato, l’assistenza, in tutte le maniere possibili, con la sola eccezione dell’intervento militare, al popolo e all’opposizione siriani per aiutarli a resistere al regime e a prepararsi alla transizione; l’avvio, allo stesso tempo, dei piani su come aiutare la Siria nel dopo — Assad, nel “day after”, per la sua piena stabilizzazione politica ed economica. La crisi dell’attuale regime è ormai un dato irreversibile. Lo indicano la crescente “fatigue” dell’esercito e il ricorso non più solo alle milizie interne, le shabiha, ma anche alle ‘legioni straniere’ (tra i quarantotto sciiti iraniani rapiti a Damasco il 4 agosto vi sarebbero, asseritamente, anche diversi pasdaran ed ex-militari), il numero crescente di defezioni “eccellenti”, la resistenza ad oltranza dell’opposizione armata, malgrado la sua inferiorità militare. I tempi quindi si avvicinano per una transizione ormai inevitabile, che dovrà essere guidata dal popolo siriano, ma che la comunità internazionale ha il dovere morale, oltre che l’interesse, a sostenere.


L’Italia sta operando in maniera attiva su entrambi questi fronti. Stiamo offrendo concretamente, in varie forme, il nostro sostegno al popolo e all’opposizione siriani. Abbiamo mantenuto un rapporto stretto con il Syrian National Council, l’organizzazione “ombrello” dell’opposizione siriana, i cui responsabili abbiamo ospitato più volte a Roma. Stiamo allo stesso tempo impegnando nel dialogo anche le altre componenti della variegata opposizione siriana, rappresentative delle diverse realtà locali all’interno del Paese, con le quali abbiamo in programma una serie di incontri politici in settembre a Roma. Continuiamo, in raccordo con la Lega Araba ed i nostri principali partner, la nostra azione di persuasione sull’opposizione permettere da parte le restanti rivalità e costituire un cartello politico che possa diventare la base di riferimento per avviare la transizione. Stiamo inoltre considerando, sulla scia di alcuni nostri principali alleati, la fornitura all’opposizione di strumenti di comunicazione utili per poter prevenire attacchi contro civili, soprattutto donne e bambini. Sul piano umanitario abbiamo realizzato e stiamo preparando numerose iniziative in favore dei rifugiati e feriti siriani nei paesi limitrofi, dal Libano, alla Giordania e alla Turchia e, da ultimo, in favore della popolazione di Aleppo.


Stiamo inoltre impostando la nostra azione per il dopo-Assad. Abbiamo al riguardo proposto l’iniziativa di una riflessione informale a Roma nei prossimi giorni con un gruppo di alleati e Paesi partner per approfondire ruolo e responsabilità internazionali nella Siria del dopo-Assad. Una riflessione che toccherà gli aspetti della sicurezza, dell’institution building, la ricostruzione economica e gli aspetti umanitari. L’Unione europea dovrà a nostro avviso svolgere un ruolo di primo piano soprattutto sul fronte umanitario e del consolidamento delle istituzioni della Siria democratica. Ma dobbiamo essere pronti a partire subito anche sul piano bilaterale, con iniziative per il consolidamento delle istituzioni e la ricostruzione economica. Ho per questo motivo deciso l’istituzione di una Task Force sulla Siria all’interno del Ministero degli Esteri e proposto la creazione di un apposito Tavolo interministeriale. La crisi siriana è un’assoluta priorità della nostra politica estera e dobbiamo continuare ad essere all’altezza della sfida.

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