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Per la Siria la soluzione della crisi è politica (Corriere della Sera)

Non siamo, né potremmo mai essere assuefatti spettatori di una tragedia come quella siriana che ci riguarda tutti da vicino sul piano sia morale che della sicurezza. La diplomazia italiana ed internazionale stanno attivamente e costantemente cercando in tutti i modi una soluzione. Il fatto che non la si sia ancora trovata è dovuto alle difficoltà oggettive di questa crisi che la rendono «altra» rispetto alle precedenti. La Siria non è la Libia dove in Consiglio di Sicurezza all’Onu si trovò quasi subito un consenso per fermare la repressione del regime; Gheddafi, a differenza di Assad, non aveva alleati strategici tra i cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu; l’opposizione libica era unita e non divisa come quella siriana; la popolazione libica era omogenea e determinata a cambiare pagina, a differenza della composita popolazione siriana, dove le minoranze cercano garanzie sul «dopo» prima di schierarsi. In Libia, gli equilibri sul terreno, grazie anche ai limiti dell’apparato militare di Gheddafi, poterono presto volgere a favore delle forze anti-regime, mentre in Siria la ben più consistente forza militare di Assad non si è ancora esaurita. Infine, l’intervento della Nato in Libia non presentava i rischi di uno spill-over regionale che sono invece evidenti nel caos siriano, come indica da ultimo il gravissimo attacco di Damasco in territorio turco. L’insieme di queste complessità va ben capito e tenuto presente.


La soluzione della crisi siriana — è evidente — non può che essere politica. E noto che il governo italiano si è ripetutamente attivato, anche al massimo livello, per convincere gli amici russi ad unirsi alla pressione sul regime siriano per cercare di risolvere la crisi. Analoghi sforzi sono stati compiuti dai nostri partner e dalla Lega Araba che invano si è adoperata affinché venissero tradotte in pratica, attraverso una decisione vincolante del Consiglio di Sicurezza, le intese di Ginevra del giugno scorso dove era indicata una «road map» per una transizione politica, condivisa in principio anche dalla Russia. Di fronte allo stallo diplomatico in Consiglio di Sicurezza e alla radicalizzazione degli scontri sul terreno la diplomazia internazionale ha messo in campo una strategia complessa e articolata, che siamo fiduciosi possa produrre presto i suoi frutti. Ne ho discusso a New York la settimana scorsa con i colleghi Ministri degli Esteri del «Core Group» che include i Paesi più impegnati dossier siriano. Al centro di tale strategia c’è l’accelerazione degli sforzi per aiutare e unificare l’opposizione intorno ad una piattaforma politica ed una leadership comuni.


Perché quest’aspetto è diventato prioritario? Perché senza la creazione di una rappresentanza politica unica dell’opposizione che sia riconosciuta come tale dai vari gruppi è impossibile, da un lato, creare, all’interno del Siria, un contesto che possa costringere il regime a negoziare i termini di una transizione politica che per essere credibile non può non contemplare l’uscita di scena di Assad; e, dall’altro, far sì che l’opposizione stessa possa avanzare in maniera coerente le proprie richieste politiche mettendo fine al botta e risposta delle violenze. L’Italia ha stabilito un’ampia rete di contatti con le diverse anime dell’opposizione siriana. Abbiamo svolto un incontro due settimane fa a Roma con un numeroso gruppo di rappresentanti dell’opposizione e delle minoranze per cercare di allargare il consenso comune intorno ai principi democratici della nuova Siria, già in larga parte contenuti in due importanti documenti sottoscritti al Cairo nel luglio scorso, ma che devono essere consolidati e, soprattutto, tradotti in pratica. Stiamo lavorando con i nostri partners per un incontro delle opposizioni intorno alla metà di ottobre in Qatar, per dare ulteriore slancio a questo processo. Il consolidamento di un fronte comune dell’opposizione è necessario per creare il necessario spazio di manovra alla missione di Brahimi ed è anche uno strumento per proseguire in maniera più efficace l’azione, mai interrotta, di persuasione sulla Russia e convincerla che esiste un’alternativa politica ad Assad che può essere rassicurante per Mosca stessa più dello status quo prolungato che incoraggia i gruppi estremisti e radicali sul terreno. Questi sforzi diplomatici si completano con l’azione di pressione sul regime di Damasco, nei confronti del quale adotteremo ulteriori sanzioni questo mese, in ambito Unione Europea.


L’altro fronte su cui siamo fortemente impegnati è ovviamente quello umanitario, dove l’Italia e i suoi principali partners stanno già facendo molto all’interno della Siria e nei Paesi vicini costretti a gestire il crescente flusso di rifugiati. Stiamo considerando, nell’ambito del Tavolo Interministeriale Siria, l’ipotesi di ulteriori stanziamenti per aiutare il popolo siriano. Manteniamo un contatto costante con i Paesi della regione — dove nei giorni scorsi si è recata l’On. Boniver, mio Inviato Speciale per le questioni umanitarie — per sostenerli nell’affrontare l’emergenza e a mantenere la stabilità interna. L’Italia, infine, si sta già attivando per costruire la Siria di domani, organizzando corsi di formazione per i giovani siriani e promuovendo sin d’ora (vedi la riunione del «Core Group» ospitata a Roma il 29 agosto) il coordinamento internazionale.

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