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Della Vedova: “Per fermare i nazionalismi l’Europa deve voltare pagina” (Unità)

Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata. Se gli europeisti misurano le parole e cercano di non scontentare gli anti europeisti al governo per non aizzare quelli ancora all’opposizione, gli antieuropeisti alzano il tono della retorica e delle richieste. Così l’Unione Europea corre il rischio di divenire un guscio vuoto e implodere.

Come dimostra la vicenda della Brexit, la strategia del “troncare e sopire” può essere letale . C’è uno scontro durissimo, dentro e tra i Paesi membri, tra i fautori del nazionalismo sovranista e quelli di un europeismo internazionalista. È uno scontro politico ed elettorale radicale, non conciliabile e soprattutto non eludibile. Ogni mese che passa alla ricerca di decisioni per consensus è un mese guadagnato per i nazionalisti in crescita e perso per gli altri: ad ogni passo avanti dei nazionalisti gli europeisti fanno un passo indietro. Decidere di non decidere sull’immigrazione e rinviare qualunque iniziativa comune, accettando gli stop polacchi o ungheresi, non fermerà Le Pen o Salvini o Petry, anzi, darà loro maggior forza.

Paradosso ungherese

Dal Parlamento ungherese sono praticamente sparite le bandiere dell’Unione Europea, con il paradosso che quel Paese, per ragioni ineccepibili nel quadro della solidarietà comunitaria, è tra i principali beneficiari dei contributi europei pagati dai contribuenti di Paesi come l’Italia. Anche la Polonia è un importante percettore netto di risorse comunitarie così come, anche se in misura minore, lo sono gli altri due Paesi del Gruppo di Visegrad, Cèchia e Slovacchia. Tutti Stati che hanno beneficiato enormemente dell’apertura del mercato unico, anche in ragione degli investimenti diretti di molte imprese, a partire da quelle tedesche o italiane. Ora in alcuni di questi Paesi si assiste ad una torsione protezionista (nazionalismo e protezionismo sono gemelli siamesi) e alla dichiarata volontà di depotenziare il livello comunitario, negoziando le eccezioni sulla base di accordi intergovernativi, sottratti al giudizio delle istituzioni competenti, a partire dalla Commissione Ue.

Bisogna essere fraternamente chiari: la botte piena dei fondi di coesione e dei benefici del mercato unico è incompatibile con la moglie ubriaca della totale indisponibilità a condividere decisioni e responsabilità su rifugiati e migranti che bussano alle porte dell’Europa. Le importanti proposte della Commissione sulla necessità di nuove regole europee per l’asilo e per la ricollocazione dei rifugiati, invece, restano lettera morta per l’ostruzionismo dei governi nazionali. Per questo il presidente del Consiglio Renzi ha fatto bene a denunciare l’ennesimo nulla di fatto europeo su questo punto, in particolare sul fronte nordafricano: per ragioni di merito, ovviamente, ma anche per ragioni politiche. Il disegno dei nazionalisti è lucido: svuotare le istituzioni europee del loro significato e ruolo sovranazionale.

Accordi al ribasso

Lo scontro tra l’apertura e la chiusura, che si gioca nella politica e nelle elezioni nazionali, si sta riproponendo tale e quale nelle sedi comunitarie. Accettare nel Consiglio Europeo gli accordi al ribasso imposti dai Paesi nazionalisti e anti europei, non servirà a rabbonire i nazionalisti che non hanno ancora la maggioranza, li rafforzerà. Da questo punto di vista, le istituzioni dell’Unione Europea non sono più da tempo un territorio neutrale, dove le decisioni maturavano seguendo orientamenti strategici grossomodo condivisi nei Paesi sia dalle maggioranze che dalle opposizioni del momento. Oggi l’Unione Europea, i suoi poteri e le sue regole di funzionamento, sono oggetto dello scontro politico domestico e i vertici europei hanno definitivamente “perso l’innocenza”, che nessuno più restituirà loro. Quando Matteo Renzi, con il plauso di Guy Verhofstadt, chiede delle decisioni e non dei rinvii sull’immigrazione apre una stagione obbligata, in cui la vita dell’Unione europea si giocherà sul confronto e non più sul consenso.

Il consenso oggi è possibile solo al ribasso e gioca a favore delle tante Brexit che covano nel continente. Il mercato unico sopravviverà solo se perderanno i fautori della chiusura nazionalista e protezionista, non se si proverà a rabbonirli con concessioni, che ne richiameranno delle altre e poi delle altre ancora, fino alla dissoluzione dell’Unione e al ritorno dell’Europa delle patrie in conflitto tra loro. Proprio la strategia del Gruppo di Visegrad, del resto, si mostra inconsistente laddove quei Paesi minacciano il veto a qualunque accordo sulla Brexit che consentisse a Londra una qualche partecipazione al mercato comune, ma limitasse la libera circolazione dei cittadini est europei nel Regno Unito; giusto, l’Unione a là carte è una contraddizione in termini, non può sopravvivere.

Gli europei saranno rilevanti in questo secolo, in cui le gerarchie demografiche ed economiche sono stravolte rispetto al passato, non se gli Stati riconquisteranno un simulacro di sovranità, ma solo se la condivideranno in una sovranità di scala continentale. Molti elettori, politici e uomini di governo, pensano l’opposto: a questo confronto politico elettorale non ci si può più sottrarre, ma si può vincerlo.