Ministro Paolo Gentiloni, l’ex ambasciatore italiano in Usa, Giovanni Castellaneta, avverte: con Trump alla Casa Bianca l’Italia e l’Europa non potranno più contare sugli Usa come negli ultimi anni. Anche lei ne è convinto?
«Collaboreremo con il presidente eletto. Gli Usa sono il nostro principale alleato. Mi sembra difficile capire ora quanto il Trump presidente sarà diverso dal Trump candidato. Personalmente non credo a un isolazionismo da America degli anni Trenta, interrotto allora solo da Pearl Harbor. Immagino semmai gli Stati Uniti più concentrati sui propri interessi economici».
Con annessi riflessi nei rapporti con l’Ue e l’Italia…
«Non solo, ma potenzialmente anche con la Cina e altri partner. Ma un conto è dire “America First” e promettere di riportare lavoro in patria, un conto è rivoluzionare le relazioni commerciali internazionali. Il livello di interdipendenza è tale da rendere improbabile il successo di azioni unilaterali: la Cina possiede una quota decisiva del debito americano. Mi preoccupa piuttosto un riflesso politico-culturale che non si traduce in scelte economiche o diplomatiche immediate. Abbiamo vissuto anni in cui qualcuno descriveva addirittura la sovranità nazionale come superata dalle multinazionali, dalle comunicazioni integrate mondiali. Oggi temo una spinta opposta, un iper-sovranismo che si diffonde in varie aree del mondo. Una prospettiva preoccupante per chi, come me, crede in una evoluzione positiva della globalizzazione nel mondo liberale integrato, a patto che sia capace di superare molte diseguaglianze».
Con Trump occorrerebbe una Unione Europea più compatta e più forte.
«L’Unione Europea ha avuto due campanelli d’allarme: la Brexit e l’elezione di Trump. La reazione c’è stata, ma parziale e timida. Qualche piccolo passo sulla difesa europea, sulle politiche economiche per la crescita non più considerata un’eresia, sulle politiche migratorie. Scelte che hanno visto un ruolo determinante o esclusivo del governo italiano per far uscire l’Unione dalla sua crisi più seria da 60 anni».
Ci vorrebbe più grinta, più determinazione.
«Per usare un eufemismo… Se questa crisi non produce una reazione forte, rischia di essere un’ultima spiaggia per l’Europa. Altro che grinta».
Trump, Putin, la Cina. L’Europa sembra un vaso di coccio.
«E divisa rischia l’irrilevanza, come ammoniva Helmut Schmidt. Ma il punto non è essere preoccupati da Trump. Sta nell’avere politiche su difesa, immigrazione, crescita economica che rendano credibile un ruolo globale dell’Ue. Se ci arrovelliamo su Trump siamo lontani dal risultato. Se lavoriamo alle risposte, facciamo il nostro lavoro».
Quali sono i passi avanti sulla difesa comune?
«Dopo la Brexit, col ministro della Difesa, Roberta Pinotti, proposi una Schengen della difesa europea, n governo italiano è sempre stato il più convinto. Dopo vent’anni di chiacchiere qualcosa si muove. Lunedì scorso la riunione dei ministri degli Esteri ha registrato progressi. Ma si può andare oltre: Italia, Francia, Germania e Spagna potrebbero ricorrere agli articoli dei trattati che prevedono una cooperazione permanente rafforzata tra alcuni Paesi. Nelle prossime settimane i ministri degli Esteri e della Difesa di questi Paesi torneranno a riunirsi, spero, per decidere concretamente».
Trump vede la Nato quasi come un «regalo» degli Usa all’Europa. Allarmato per le conseguenze?
«La Nato non è un’organizzazione benefica degli Usa ma è una collaborazione tra due sponde dell’Atlantico. La nostra missione Nato più impegnativa da quindici anni è in Afghanistan, organizzata in base all’articolo che prevede la comune difesa di un Paese sotto attacco. Quel Paese sono gli Usa: l’impegno è costato molto in termini di vite umane, oltre che economici, anche all’Italia. Lo ricordo non per presentare il conto ma per rammentare a tutti noi che sono passati settant’anni dalla liberazione dell’Europa da parte degli americani e che il quadro è cambiato. Certo, la difesa europea deve crescere».
In Medio Oriente teme un asse Trump-Putin?
«L’Italia sarebbe la prima a rallegrarsi di un dialogo più fruttuoso Usa-Russia. Ma non credo possibile un cambio radicale delle politiche americane in quel quadrante. In Siria, ad esempio, una strana alleanza Washington-Mosca-Damasco-Teheran non mi pare probabile. Anche qui, diamo comunque tempo all’amministrazione Trump di costituirsi e prendere in mano il timone della politica estera».
L’Europa è sempre impopolare tra gli italiani, solo il 38% pensa che l’Ue porti benefici all’Italia. Intanto Renzi usa toni molto duri e polemici verso l’Ue. Non è dannoso?
«Non mi appassiono agli aggettivi. Penso che l’Italia abbia finalmente un ruolo nelle dinamiche europee. Dalla presidenza Barroso, l’Europa ha imboccato una strada debole e dannosa per l’Italia. Per anni non abbiamo reagito, anche perché alle prese con una gravissima crisi economica. L’attuale governo ha migliorato la situazione economica ed ha acquisito un diritto di parola in quelle scelte europee, penso all’immigrazione e al Fiscal compact, che avevamo subito negli ultimi dieci anni e ora cerchiamo di correggere».
I sondaggi danno la vittoria del No. Preoccupato?
«Dagli Usa all’Africa, e in tutta Europa, c’è l’idea di un’Italia che sta faticosamente risalendo la china. Non tutti sono esperti di articolo 70 della Costituzione: vedono il rischio di un’interruzione di riforme e ripresa. Ma io sono ottimista e confido nella saggezza dei nostri elettori che smentirà questo rischio».