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Tajani: «Legittimo contestare scelte politiche, forse bisogna aprire un’inchiesta» (La Stampa)

Tajani Legittimo contestare scelte politiche, forse bisogna aprire un’inchiesta (La Stampa)
Tajani Legittimo contestare scelte politiche, forse bisogna aprire un'inchiesta (La Stampa)

Le polemiche sulla presunta indagine aperta dalla Corte dell’Aja nei confronti del governo italiano raggiungono il ministro degli esteri Antonio Tajani in Israele, dove si trova per la missione Food for Gaza. La notizia viene presto smentita, nessun procedimento per ora, ma la denuncia è stata depositata. «Possono fare tutti gli esposti che vogliono, ci vuole molta pazienza» commenta in un colloquio con La Stampa Tajani, stizzito sulle prime al punto tale da ribattere che «forse bisogna aprire un’inchiesta sulla Corte penale internazionale e chiedere chiarimenti su come si è comportata». A tarda sera i toni scendono ma resta il fastidio, il discorso del presidente Mattarella che mercoledì, dall’università di Marsiglia, ha messo duramente in guardia dal delegittimare le organizzazioni internazionali, ha fatto fischiare parecchie orecchie al governo. «Con la Cpi vale quel che vale per l’Europa, non è che se sei europeista devi essere sempre d’accordo con tutto – continua Tajani -. Criticare non significa porsi contro le istituzioni. Trovo inoltre del tutto legittimo contestare certi atteggiamenti della Corte che ha preso decisioni politiche, le istituzioni sono fatte di uomini e se obietto per esempio che l’Onu si è mossa in ritardo sull’Ucraina non sto affatto contestando la funzione delle Nazioni Unite».

I rapporti con l’Aja sono in realtà la punta dell’iceberg di quelli con gli Stati Uniti di Donald Trump, che proprio ieri ha minacciato di volerne perseguire i giudici. Ed è proprio qui, in Israele, che quell’amicizia si misura al centimetro, qui dove Tajani è venuto a porgere la mano a entrambe le parti in conflitto mentre Washington ne riconosce solo una e vagheggia addirittura il trasferimento di quella palestinese di Gaza in Egitto e Giordania. Il ministro degli Esteri italiano su questo non arretra: «La nostra posizione è chiara, l’orizzonte è e resta quello dei due popoli per due Stati. Altre soluzioni non ce ne sono, lo hanno ripetuto anche gli altri partner regionali. Nulla si può fare senza il consenso dei palestinesi e neppure senza la sponda del Cairo e di Amman». Chiusa qui. Lo ripete anche dopo che dal pulpito affianco a lui il suo omologo israeliano Gideon Sa’ar ha dichiarato sereno che «Gaza è un’esperienza fallita, allo stadio attuale non ha futuro, è il momento di sperimentare nuovi scenari». Tajani non si sposta: «Siamo al primo step della tregua, dobbiamo passare al secondo e poi al terzo per muoverci infine in direzione della pace. Oggi non possiamo riconoscere la Palestina perché in quanto Stato non esiste e farlo invierebbe solo un messaggio ostile a Israele, ma l’unica soluzione per noi rimane quella di due popoli per due Stati».

E pazienza se da Roma il collega vicepremier Matteo Salvini pianifica a stretto giro un viaggio in Israele per confermare magari il proprio dichiarato interesse verso i piani fantasmagorici del presidente americano. «Ciascuno può dire quel che vuole» taglia secco Tajani, che minimizza anche l’offensiva di Trump contro la Cpi e la difesa a spada tratta del premier Benjamin Netanyahu, su cui grava un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra: «L’America non fa parte della Corte dell’Aja e neppure Israele. Quanto all’Italia, ho detto mille volte che ci vuole pragmatismo. Seppure Netanyahu venisse in visita da noi, come potremmo arrestarlo? Ve lo immaginate? Ingaggiamo un conflitto a fuoco con gli agenti del Mossad? E poi, perché? Perché lo dicono tre giudici, uno dei quali è andato a lavorare in Libano e ripete che il suo nemico è Israele? La giustizia è una cosa seria. E comunque io sono sulla posizione francese, i capi di Stato non si arrestano: bisogna essere realisti».

Di realismo Tajani conta di ragionare con l’omologo americano Marco Rubio sabato 15 febbraio a Monaco, durante la riunione dei ministri degli esteri del G7: «Ci siamo confrontati giorni fa, abbiamo parlato al telefono in spagnolo, in Germania inizieremo a chiarire come muoverci su Gaza ma anche sull’Ucraina, a partire dall’evoluzione dei contatti diretti tra Trump e Putin così come dei sospetti del presidente ucraino Zelensky, di cui avevo già avuto sentore nelle settimane passate viaggiando nei Balcani e nei Paesi dell’est Europa». L’Ucraina e Gaza. Con realismo. Trump permettendo.

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