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A 9 mila metri di altezza, in volo sul Mediterraneo a bordo di un Falcon 900 del 31° Stormo dell’Aeronautica militare, il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata ragiona con Famiglia Cristiana dei principali temi dell’attualità internazionale. L’agenda del ministro è fitta di impegni. Ha ospitato a Roma l’incontro del Gruppo dei Paesi 5+5 sul Mediterraneo, poi è andato a Londra per il vertice sulla Somalia e a Tunisi per l’incontro dedicato alla Siria. Il 27 febbraio Terzi è stato a Bruxelles e a Ginevra, quindi è partito per un viaggio in Asia con tappe a Singapore, in India, in Vietnam e a Istanbul. Bergamasco, 65 anni, diplomatico di carriera, Giulio Terzi guida la Farnesina dopo essere stato ambasciatore in Israele, rappresentante permanente presso l’Onu, a New York, e ambasciatore negli Stati Uniti.


– Ministro Terzi, il mondo presenta delle aree di instabilità che fanno temere nuovi conflitti armati. Una guerra annunciata potrebbe coinvolgere l’Iran, a causa dei suoi programmi nucleari che minacciano la sicurezza di Israele. Quanto siamo vicini a un nuovo conflitto in Medio Oriente?


«Il rischio di un intervento militare c’è, ma mi sembra al momento poco probabile. Credo che la trasparenza dell’Iran sui suoi programmi nucleari debba essere totale perché la sola preoccupazione che Teheran possa dotarsi di armi atomiche avrebbe effetti destabilizzanti sull’intera regione».


– Per fermare la sanguinosa repressione del regime di Bashar al-Assad contro il popolo siriano è possibile un intervento militare in Siria, simile a quello che ha portato alla caduta di Gheddafi in Libia?


«Un intervento simile a quello libico non è replicabile. lo non sono troppo pessimista sul fatto che la crisi siriana possa risolversi con un percorso che consenta la cessazione delle violenze. Noi salutiamo con favore la nomina dell’ex Segretario dell’Onu Kofi Annan a inviato speciale in Siria. È un ottimo esempio di saldatura dell’azione congiunta delle Nazioni Unite e della Lega araba. In questo momento comunque la priorità è porre fine alle sofferenze spaventose della popolazione siriana. Noi italiani siamo in prima linea, abbiamo già inviato aiuti attraverso i campi profughi oltre confine e siamo disponibili a proseguire in questa direzione».


– In Siria, come in altri Paesi della regione mediorientale, è a rischio il futuro delle comunità cristiane. È preoccupato?»


La condizione delle comunità cristiane in Medio Oriente mi preoccupa. In Irak, in Turchia e in Palestina assistiamo a uno spopolamento delle città e dei paesi dove erano radicate antichissime comunità cristiane. Il mio obiettivo di trovare una soluzione politica per la crisi della Siria ha anche lo scopo di tranquillizzarne le minoranze religiose».


– Nei suoi recenti viaggi nella regione che atteggiamento ha colto da parte delle autorità civili e religiose?


«Nelle visite che ho compiuto in Tunisia, Libia ed Egitto ho sempre riaffermato la necessità del rispetto per le minoranze cristiane. In questo senso ho ricevuto rassicurazioni dai leader politici e religiosi. In Egitto le massime autorità musulmane mi hanno ribadito l’impegno a garantire l’integrazione nella società delle comunità cristiane. Mi sembra importante un documento del centro islamico di Al Azhar, sottoscritto dai Fratelli musulmani e anche da alcune componenti salafite, nel quale si enfatizza la necessità di riconoscere pienamente la libertà di opinione, di fede, e la dignità della persona».


– La difesa dei diritti umani resta una priorità per la politica estera italiana?


«Posso dire senza nessuna ombra di retorica che la difesa dei diritti umani appartiene da sempre al patrimonio genetico della politica estera italiana. A livello bilaterale e multilaterale ribadiamo sempre la necessità di tutelare i diritti delle donne, dei bambini, della famiglia, delle minoranze religiose. Ormai nella comunità internazionale c’è una forte presa di coscienza sul fatto che i diritti umani sono intimamente collegati ad altri temi importanti come la sicurezza e lo sviluppo».


– In tema di diritti umani, però, finiamo a volte sul banco degli accusati. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per i respingimenti verso la Libia attuati nel 2009. Come ha reagito alla sentenza?


«Prendo atto della decisione. Posso dire che da parte italiana c’è una fortissima volontà di mettere in atto tutte le misure affinché non si creino più situazioni come quella andata a giudizio della Corte europea. Ricordo che noi siamo non solo fedeli e scrupolosi aderenti a tutte le convenzioni delle Nazioni Unite sui diritti umani, ma addirittura le abbiamo noi stessi proposte. Penso al ruolo dell’Italia nella creazione della Corte penale internazionale, all’impegno per la moratoria contro la pena di morte, nella tutela dei bambini soldato e al contrasto delle mutilazioni genitali femminili».


– Un anno dopo le primavere arabe come sono i rapporti dell’Europa con l’altra sponda del Mediterraneo?


«C’è un grandissimo fermento. Le nuove dirigenze arabe vogliono recuperare il terreno perduto proprio perché la qualità e l’intensità delle relazioni fra i Paesi arabi e l’Europa non si erano potute sviluppare a causa dei regimi che soffocavano le società di questi Paesi. C’è anche la consapevolezza che bisogna fare presto e la necessità molto forte di sviluppare attività economiche, assorbire la disoccupazione giovanile, dare una risposta a quella domanda di condizioni di vita migliori che hanno innescato le rivolte di un anno fa». – E l’Italia che ruolo sta giocando?


«In questo fermento l’Italia si posiziona in modo efficace grazie anche a un lavoro di squadra che, oltre al ministero degli Esteri, coinvolge i ministri Cancellieri, Severino, Passera, Riccardi e Clini. Il Governo ha percepito nella sua interezza questa sfida mediterranea. Si lavora a tutto campo in modo estremamente coordinato con missioni, contatti, promuovendo iniziative anche della società civile italiana e del mondo imprenditoriale».


– Nella politica internazionale Paesi come l’India e il Brasile sono sempre più decisi a far sentire la loro voce. Le tensioni create dal caso Battisti e dal fermo dei due marò italiani in India la preoccupano?


«I nostri rapporti con l’India e con il Brasile sono ottimi. Ci possono essere incidenti di percorso che a volte portano a una crescita dei toni. Ma è compito della diplomazia far abbassare i toni e tenere distinti gli incidenti di percorso dall’insieme delle relazioni internazionali».


– L’Onu può funzionare meglio?


«L’Onu deve dotarsi di strumenti più incisivi e realistici perla soluzione delle crisi internazionali e dei conflitti. Vanno anche sviluppati e rafforzati i rapporti di collaborazione con le organizzazioni regionali. A mio parere questa collaborazione non andrebbe a indebolire, come alcuni temono, le prerogative del Consiglio di sicurezza, anzi darebbe gravitas (peso e autorevolezza, ndr) alle azioni della comunità internazionale contro le crisi».


– Ministro, lei ha un profilo su Twitter, come si trova?


«Mi aiuta ad avere il polso dell’opinione pubblica più informata e mi offre utili impulsi su cui riflettere. Inoltre è un mezzo nuovo e moderno per far conoscere, sia pure in soli 140 caratteri, il lavoro e l’impegno della nostra diplomazia».

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